giovedì 27 giugno 2019

Salvate i ragazzi!




Carola, per la sua parte, lo sta facendo. Penso che le ragazze abbiano sogni, progetti e migliori risorse per salvarsi da sole. Al più alcune (non poche) debbano imparare a non idealizzare la dimensione maschile: sicurezza, forza, audacia, e cosucce simili. Debbono imparare a sottrarsi alla sindrome di "io ti salverò", anticamera della testa chinata al femminicidio. Ma assai più numerose sono quelle che studiano e si laureano (assai più che i ragazzi e con voti più alti) e intanto aggraziate servono ai bar. Mentre qualcuna , più pericolosamente, si prende cura degli ultimi in fuga da guerra e miseria.
I maschi oggi rischiano assai più delle nostre ragazze. Hanno il terrore di fallire e deludere. Una volta era il rischio fatale della prestazione erotica. Ora è il lavoro, la competizione perdente coi padri, quella incerta coi pari. Si inventano allora progetti sadomasochisti: dar fuoco al senzatetto, seviziare un disabile, sferrare un cazzotto al primo che passa (in voga a Trastevere, ho appreso) per divertire le amiche. O infilzarsi saltando un cancello. O salire sul tetto di un treno e farsi fulminare dall'alta tensione. O farsi un selfie guidando a 200 l'ora. Etc. Etc. Talvolta con svariate vocazioni etniche e religiose: ammmazzare il giornalista o il politico riformista nella stagione perversa, italiana ed europea, del terrorismo o ammazzarsi per ammazzare nella perversione di stampo islamico.
Per favore, non perdiamo tempo con frivolezze politiche: antieuropeismo d'accatto, minibot, quota 100, navigator e nomi inventati che non si sa di cosa riempire. Offriamo ai nostri ragazzi progetti alternativi all'andare fuori di testa. Serve aver cura della nostra intelligenza per aver cura della loro intelligenza. E serve l'esempio di chi pianta un albero contro chi distrugge rumorosamente foreste. Serve l'esempio di Carola.























mercoledì 26 giugno 2019

Perché Carola lo fa


Ho speso, come tanti, parole di ammirazione per Carola, la capitana Antigone della Sea Watch. Con il consenso di alcuni, amici fb, silenzio di altri (che magari non condividono o semplicemente non mi leggono). Però significativo è soprattutto il commento di una amica (amica fb, naturalmente): significativo perché – ritengo – rappresentativo di un sentire maggioritario. Obietta l'amica al mio elogio:
“ chissà quanto la pagano...della serie: "neanche il can mena la coda per niente..."
Ho pensato che l'amica fb rappresenta il mio Paese assai più di me. Un Paese della serie “a me non la dai a bere”. Un Paese che esclude passione e generosità come moventi dell'agire umano. Un Paese caricaturalmente “materialista”. Di quel materialismo che il materialista Marx avrebbe collocato nel “materialismo volgare” cioè ingenuo, cioè superficiale. Marx che aveva disvelato le strutture economiche e materiali sottostanti alla pretesa autonomia di ogni soggetto.
Ecco, spiego a chi la pensa come l'amica che, da materialista, non solo non credo nell'anima. Soprattutto non credo – come lei non crede – che sia possibile superare il proprio Ego. Impossibile, insomma, agire senza personale tornaconto. Ma il tornaconto non è per forza misurabile in euro o in dollari. Non guadagna dollari il genitore che sacrifica la vita facendo scudo al proprio figlio. Guadagna l'intensa felicità di un istante. Alcuni egoismi sono straordinariamente altruistici. E così difficile comprenderlo, Francesca? Il proverbio sul cane è corretto. Va solo interpretato al di là delle suggestioni materialistiche che oggi ci conquistano perché ci esimono dall'accettare che ci siano persone migliori di noi. Bene, io che ho tanti vizi, non ho questo. Riconosco che Carola è molto migliore di me ovvero assai più utile al mondo di quanto non sia io. E le sono grato. P.S. Sono convinto che il materialista Marx mi darebbe ragione.

lunedì 24 giugno 2019

Qual è la mia casa?


Torno a casa (Ostia) dopo un breve ritorno a casa (Siracusa). Non ho partecipato ad eventi culturali. Neanche le rappresentazioni classiche al Teatro Greco, come invece pensavo avrei fatto. Non ho neanche rivisitato il Caravaggio del seppellimento di Santa Lucia. Ho mangiato granite di mandorla, cassatine siciliane e peperoni alla brace: sapori irraggiungibili, specialmente i peperoni. Ha prevalso la voglia di rivisitare i miei luoghi, le case abitate ad Ortigia e in borgata e i luoghi dove giocavo bambino. E poiché appartengo a quest'epoca malgrado io faccia lo schizzinoso, ho fotografato quei luoghi. Malamente perché sono un pessimo fotografo né ho voglia di imparare. Per la verità non ho tempo e voglia di imparare niente. Ho fotografato, irriconoscibile per la vegetazione spontanea che lo cela, l'antico arsenale greco, a pochi metri da casa, dove giocavo da ragazzino. I giochi crudeli dei ragazzini, dando fuoco a colonie di formiche e tagliando la coda alla lucertole. Lì una volta ragazzi più grandi presero una biscia e mi inseguirono per la borgata per tirarmela addosso. Mi tuffai in una casa a pianterreno, con la porta spalancata, e quelli lanciarono la biscia là dentro. Due signore si presero cura di me e mi sedarono con vino cotto. Le mie prime esperienze del prendersi cura. Come, poco dopo, il custode del circolo nautico che mi raggiunse a nuoto: appena in tempo. Non sapevo nuotare ed ero caduto mentre praticavo una pesca facile con la canna ed un amo -arpione in un mare affollato di cefali perché lì sboccava una fogna, paradiso per quei pesci. Il custode mi portò a casa sua e mi fece fare una doccia. Sua sorella lavò i miei panni e li stirò. I miei non hanno saputo niente della mia avventura. Mentre ancora mi chiedo se io mangiassi i cefali che più volte avevo pescato lì. Non lo ricordo o non voglio ricordarlo. Mia moglie invece ricorda bene che buttai fra i rifiuti i cefali che anni dopo, ignara dei miei traumi, aveva comprato al mercato del pesce. Ho rivisto i superstiti compagni di lavoro nella solita pizzeria presso l'inespugnabile Castello Eurialo (poi espugnato dai romani). Ho incontrato Natale e Peppe, vecchi compagni della mia militanza nel Pci, ora dispersi a sinistra. Mi sono unito al pranzo squisito organizzato dai compagni di scuola di mia moglie: i superstiti. Poi una preziosa conoscenza del tempo in cui lavoravo e che ora mi appare felice: la professoressa Maria Giovanna, adesso acquisita amica fb. Con lei e con MariaGrazia, esempio della gioventù italiana impegnatissima nella cura ai migranti, fra i non pochi conosciuti in rete e diventati amici veri, ho consumato – ad Augusta - la granita più buona.
Per il resto ho visitato Siracusa anche da turista. Perplesso. Una città divisa fra l'isola di Ortigia ripulita, elegante ed affollata di ritrovi per i turisti, e la vecchia borgata ed anche la Siracusa nuova dove – ancora in costruzione – trovavo monete greche, romane e bizantine. Marinavamo la scuola noi improvvisati archeologi quando una pioggia leggera rendeva visibili le antiche monete sul terriccio. Borgata degradata e Siracusa nuova, decadente e spopolata. In borgata ho fatto fatica a ritrovare la vecchia casa sul vecchio negozio di famiglia. Ho chiesto ad un vecchietto dove fosse il caffè Bottaro che stava proprio di fronte casa e negozio e dove imparai a bere caffè a ripetizione. Quello mi ha dato il numero della strada, aggiungendo "unni uora ci stanno i niuri". Era irriconoscibile, tranne che per il vecchio nome quasi illeggibile. E frequentato da neri in effetti.
Per il resto i luoghi del turismo sembrano tutti assomigliarsi, come tutti sembriamo assomigliarci, seduti in bar che si assomigliano e con eguali smartphone. Si assomigliano anche le ragazze che servono ai tavoli: a Roma, Berlino, New York e Toronto. Adoro quelle ragazze che non hanno tempo per smartphone e si prendono cura di me e di noi. La ragazza siracusana che mi serviva la granita davanti alla antica Chiesa di San Giovanni dove recitai ragazzo, già ateo, nella parte di un fervido credente,quando la Chiesa (con latomie) era governata dal mitico frate, Padre Pacifico (tale e quale il suo nome) che ci dirigeva, quella ragazza – dicevo – era tale e quale – bella e gentile - a quella che ci serviva la cena a Toronto un mese fa circa. Che accompagnava ogni servizio – portare acqua, vino, sparecchiare, etc. - con un aperto sorriso accompagnato da un "Are you enjoy"? Avrà chiesto dieci volte se eravamo contenti. Ma lo diceva con tale grazia che avrei gradito un undicesimo "are you enjoy?". Con la stessa grazia Alessandra, del bar vicino casa ad Ostia, domani mi saluterà con il suo "Ciao, Salvatore". Non vedo l'ora.

mercoledì 12 giugno 2019

A mano disarmata: la mafia che c'è e non vedo


A mano disarmata, è la trasposizione cinematografica diretta da Claudio Benivento dalle memorie di Federica Angeli (Claudia Gerini, l'interprete), la giornalista ostiense protagonista coraggiosa di una lunga battaglia contro la mafia del litorale romano. Ripetutamente minacciata con famiglia e figli dai padroni occulti di Ostia, Federica appartiene allo stuolo di giornalisti sotto scorta per avere osato sfidare i poteri criminali: nel caso di Ostia, mafiosi, imprenditori e politici collusi. Il film (e la storia vera) si sviluppa lungo sei anni, dalla scoperta giornalistica di Federica sul marcio del litorale fino alla vittoria segnata dal processo che con le sue condanne certifica le ragioni di una eroina dei giorni nostri. E' un film utile e necessario. A maggior ragione perché alla scuola è sottratta la storia contemporanea. E perché è un terno al lotto trovare docenti che scelgano di trattare temi attuali e "pericolosi". Se lo fanno poi corrono il rischio di perdere il posto di lavoro: vedi recente esempio della docente palermitana, salvata solo dalla mobilitazione popolare, oltre che da quella dei colleghi. Il film mi ha commosso e spaventato. Sento la stranezza, l'anomalia di vivere da undici anni ad Ostia e di non vedere e sentire per strada, nei locali, nel godibile centro storico Liberty, un riconoscibile puzzo di mafia. Il film mi ha costretto a chiedermelo ancora. Quei bar e ristoranti in piazza o vicino casa quale rapporto hanno con la mafia? Potrebbero essere "loro" i proprietari? I ragazzoni che ti aprono l'ombrellone in spiaggia e le ragazze deliziose che servono ai tavoli sono messi lì o raccomandati da "loro"? E' solo o prevalentemente nel "pizzo" la presenza mafiosa? Solo una tassa aggiuntiva? "Solo" si fa per dire. Ma non è solo questo. E' il litorale largamente cementificato col prezzo risibile delle concessioni che sottraggono risorse alla comunità. E però - ammetto - resto sorpreso che, malgrado questo, malgrado mafie, imprenditori criminali, politici e funzionari corrotti e la zona grigia di chi tace, questa Ostia che mi ha accolto nella mia maturità conservi angoli di bellezza, di gradevolezza, e il sorriso impagabile delle ragazze (ditemi che non hanno rapporto alcuno con "quelli") che servono ai tavoli. E' strano anche questo. Il film mi ha mostrato luoghi noti e da me frequentati: spiagge, viali, porto e il mitico pontile. Me li ha mostrati anche in panoramiche dall'alto, di sera, con le luci. Tutto era reale e però mi sembrava orribile. E' proprio vero - voglio dire- che uno sguardo (quello di Federica e del regista) trasforma in incubo o mostra l'incubo sottostante alla bellezza accogliente. .

giovedì 6 giugno 2019

Il prezzo per salvare Noa


I media italiani (da Repubblica ad Avvenire) hanno frainteso qualcosa. Ed io ho creduto loro. Non credo a d alcuna perfida intenzionalità: solo un fraintendimento. Nessuna eutanasia di Stato nella circostanza, eutanasia pur permessa dalla legge olandese anche per i minori. Non sono convinto però che il rifiuto sia stato giusto. Lo Stato si è deresponsabilizzato, come praticamente in tutto il mondo. Però non l'ha salvata. A me preme che le ragazze come Noa non muoiano più. Che non subiscano violenza e che, se la subiscono, non ne siano devastate. Sento il dovere di non dire cose inutili, di non farmi bello contro questo e quello, inveendo a vanvera. Meglio offrire pensieri divergenti al dibattito. Allora dico che il problema va affrontato dal lato degli stupratori, anche potenziali, con una educazione sessuale vera oggi inesistente, oltre che con una vera liberazione sessuale che risponda anche ai bisogni di eros dei "brutti, sporchi e cattivi" e poi eventualmente con pene severissime (lavori socialmente utili anche a vita e prelievo sul reddito anche a vita, oltre alla prigione). Ma va affrontato subito sul piano delle vittime. E' (anche) la nostra cultura sessuofobica ad uccidere. La sfera genitale è sacralizzata. E' tabù. Se viene indebitamente violata non è come dare un cazzotto sul naso. Se invece insegnassimo che lo è? Se sdrammatizzassimo un tantino la violenza sessuale? Se punissimo egualmente - anche con 30 anni di carcere, se si vuole - chi da un cazzotto gratuito e chi stupra? Si leverà un coro di no. Ma solo sdrammatizzando la violenza sessuale e liberandola da significati mortiferi avremmo salvato Noa.
P.S. Penso che quasi tutti i problemi degli uomini abbiano soluzione. Si tratta solo di pagare il prezzo per risolverli. Sapendo che ogni soluzione apre nuovi problemi. Bisogna scegliere. La nostra vita è costituzionalmente drammatica. Oreste dovette scegliere se essere colpevole di matricidio o di offesa al padre assassinato e non vendicato. Scelse il matricidio. E noi cosa scegliamo?