Due modelli di barbarie
La mobilitazione dell’Occidente ha salvato la vita (per ora) di Sakineh, l’iraniana che rischiava una barbara morte per lapidazione. La avrebbero sotterrata in piedi, con la testa scoperta ed esposta ai lanci di pietra. Le pietre sarebbero state, come da protocollo, né così piccole da essere inoffensive né così grandi da essere troppo velocemente mortali affinché la colpevole patisse quanto giusto prima di ricevere la morte a quel punto agognata. Non ho studiato la storia di questa forma di esecuzione. So solo che viene da lontano. Al cinema ce ne ha mostrato una forma meno protocollare Amenàbar in Agorà. Lì è Ipazia, nella colta Alessandria di Egitto del V secolo D.C, colpevole di essere filosofa e donna, ad essere condannata senza processo dalla folla di fanatici cristiani e solo l’eutanasia praticatale dall’innamorato risparmia alla colpevole il supplizio consegnando alle pietre della massa imbestialita un corpo già spento. Ancor prima, nella Palestina ebraica, i Vangeli ci testimoniano, con l’episodio di Cristo che salva l’adultera dalla lapidazione, la diffusione di questa pratica. Questo per dire della permanenza nella storia e nei diversi fanatismi religiosi della barbarie che pretende la massima sofferenza del colpevole.
Ieri invece, venerdì 23 alle ore 3.00, gli USA, laici e civili, in Virginia hanno spento la vita di Teresa Lewis, colpevole, oltre che di aver progettato un assassinio (gli esecutori hanno avuto “solo” l’ergastolo), di essere 2 punti sopra il livello di insufficienza mentale che le avrebbe salvata la vita, per incapacità, burocraticamente definita, di intendere e di volere.
Certo, Teresa Lewis è morta con tutti i comfort in una esecuzione “civile”, sterile, asettica, igienica. Così si conviene nel Paese più sviluppato del mondo. I testimoni, giornalisti e parenti delle vittime, hanno assistito disciplinatamente nei posti assegnati. Quando Teresa è stata sdraiata sul letto di morte una tenda ha difeso la sua privacy. Le hanno infilato un ago nelle vene. Le hanno messo in circolo un sedativo, poi una sostanza catatonica, poi il veleno. Non ha sofferto alcun dolore fisico. Si soffre di più dal dentista. Ha sofferto “solo” il dolore del cuore e della mente negli anni in attesa di una revisione della sentenza e poi fino all’ultimo giorno nella speranza che il telefono squillasse nella stanza della morte e il governatore ordinasse il rinvio dell’esecuzione. Ha cantato e pregato, racconta il suo legale, ma era terrorizzata. Fuori dal carcere su un cartello degli abolizionisti era scritto: “Perché uccidiamo persone che hanno ucciso altre persone per insegnare che uccidere è sbagliato?”.
Quelli della mia generazione non dimenticano l’agonia di Caryl Chessmann, criminale diventato esperto giuridico nel tentativo di scongiurare la sedia elettrica e poi anche scrittore di diversi libri sulle sue vicende criminali e sulla sua lotta per la vita. Caryl, riconosciuto colpevole di sequestro di persona e stupro fu condannato alla camera a gas. Riuscì a sopravvivere 12 anni ottenendo 8 rinvii fino all’esecuzione avvenuta il 2 marzo del 1960. Gli stessi fautori della pena di morte, numerosissimi negli USA e numerosi anche nel nostro Paese, erano diventati prevalentemente contrari di fronte al coraggio dell’uomo e alla progressiva condivisione della tortura dell’attesa. E si moltiplicavano gli appelli per la clemenza, mentre Chessmann si rifiutava di chiedere la grazia continuando a proclamarsi innocente. Anche nell’imminenza di quel maledetto 2 marzo pochi credevano che l’esecuzione ci sarebbe stata. In effetti il telefono squillò nella sala che ospitava la camera a gas. Chiamava per ordinare l’ennesimo stop il governatore della California, Edmund Brown, notoriamente contrario alla pena capitale ma che aveva dichiarato di essersi arreso di fronte ai meccanismi della legge. Aveva trovato un’altra motivazione per una sospensione. Ma era troppo tardi. Per salvare Caryl si sarebbe dovuto aprire la camera dove le pillole di cianuro calate nella bacinella stavano sprigionando i primi gas letali. Non si poteva aprire la camera per i pericoli che avrebbero corso i presenti nella sala. La macchina infernale della giustizia era più forte degli uomini che l’avevano lanciata e ora avrebbero voluto fermarla.
Chi ha modellato la mia testa?
Torno a Sakineh e a Teresa Lewis per ricordare che il presidente iraniano Ahmadinejad, al consesso dell’ONU, ha rinfacciato all’Occidente l’ipocrisia di quel silenzio nell’imminenza dell’esecuzione negli USA, a fronte della mobilitazione per Sakineh. Un amico mi ha ricordato un aforisma di Benigni: “Anche Hitler e Mussolini avranno fatto dei ponti”. Appunto, anche il leader iraniano può dire verità. Un’altra verità aveva detto a proposito del nucleare (peraltro, dichiaratamente, per scopi civili) che esponeva il suo paese a pesanti ritorsioni, mentre sul nucleare bellico di Israele, accertato, contrario ai trattati internazionali, permaneva un assurdo silenzio. Come contraddirlo? Come è stato contraddetto? Ma qui inizia la mia confusione assoluta. Ahmadinejad ha anche dichiarato che non era stata mai pronunciata la condanna a morte per Sakineh. Nessuno gli ha creduto. Neanche io, ovviamente. Poi, adesso, mentre cominciavo a scrivere queste righe, ho fatto altre ricerche su internet. Ebbene scopro in un sito di controinformazione http://www.ipharra.org/article-la-storia-delle-lapidazioni-in-iran-e-una-bufala-56823151.html che la pena della lapidazione è sospesa in Iran da tempo (ultima moratoria nel 2008) . Sto imparando a non prendere per buona nessuna notizia e non do per buona neanche questa. Continuerò a cercare. Forse. Ma le domande cruciali sono: “ Chi foggia le nostre opinioni e credenze? Chi ci mobilita per Sakineh? Chi decide di non informarci e non mobilitarci per Teresa Lewis? I mass media? Chi controlla i mass media? E internet almeno è libero? E allora chi mi ha fatto trovare il sito che prima ho linkato? Come si decidono in Google le gerarchie delle fonti ? Non è un’utopia oggi la libertà di informazione e la libertà di essere informati nell’Occidente liberale che ha sconfitto l’Utopia comunista? Chi ha modellato la mia testa e le mie opinioni? Le domande sono mezze risposte. Almeno selezionano un campo di ricerca.
Uno spunto autobiografico per concludere e per rimproverare me stesso e la mia credulità. Per tutta la vita scolastica fra le mie varie credenze in materia di storia c’era la convinzione, comune praticamente a tutti, sulla crudeltà e la follia di Nerone. All’università lo studio della storia romana del grande Santo Mazzarino mi aprì gli occhi su questa credenza (e su altro). I dati documentali dimostrano riforme neroniane nel segno di politiche strutturali avverse alla classe nobiliare e favorevoli alle plebi, a partire dalla svalutazione dell’oro e dalla rivalutazione della moneta di bronzo. La riforma di segno opposto fu fatta dall’imperatore Costantino che così fissò l’alleanza con la Chiesa e la classe possidente. Chi scriveva la storia che ci è stata tramandata e che acriticamente i libri di scuola ancora ci raccontano? I senatori puniti da Nerone e premiati da Costantino.
Il rimprovero che mi rivolgo è di essermi addormentato di nuovo pigramente sulle verità rivelate. Intanto rivolgo il mio pensiero a Teresa Lewis chiedendole di perdonarmi per non essermi mobilitato per lei. Non sapevo. Ma non ho neanche cercato di sapere. Ero troppo occupato a rispondere agli insulti rivoltimi sul forum del Pdnetwork e in analoghe futilità.