Ce lo hanno insegnato e crediamo di averlo deciso. Giochiamo con un inizio e una fine. Studiamo con un inizio e una fine. Lavoriamo con un inizio e una fine. Facciamo sesso con un inizio e una fine. Siamo re e siamo papi, ma anche genitori e figli, con un inizio e senza fine . Abbiamo deciso cosa debba avere inizio e cosa fine. Dopo averlo deciso dimentichiamo di averlo deciso e che avremmo potuto decidere diversamente. Avremmo potuto decidere più libertà e meno istituzioni. Le fasi delle vita si istituzionalizzano e non ne siamo più padroni. Burocrazia e istituzioni hanno bisogno di saperci eguali perché contabilità e amministrazione siano facilitate, anche se siamo eguali solo nell’inessenziale, nell’anno di nascita o nella città in cui siamo nati. Capita che una scoperta tenti di liberarci dalle catene che ci siamo dati. Freud ci fece scoprire la sessualità infantile e ci disse che il sesso non ha inizio. Il più grande forse dei distruttori della convivenza civile nella storia italica ci ha ricordato, a suo modo, odioso e volgare quanto volete, che il sesso non ha neanche fine.
Ogni tanto la libertà ci chiede di rinunciare alla fama. Successe alla più acclamata delle cantanti italiane. O ci fa rinunciare a un regno. Successe ad Edoardo VIII di Inghilterra, innamorato di una borghese divorziata. Ora la rottura più forte. Ratzinger che lascia il papato. L’ultimo segno della libertà che mina istituzioni e convenzioni. Istituzioni e convenzioni decisero che dovessimo lavorare fino a 65 anni. Se smetti prima, hai una punizione severissima e perdi tutto, senza recuperare niente. Questa cosa almeno sta succedendo in modo così evidente e per tanti – gli esodati – da assurgere alla dignità di dramma pubblico. E, viceversa, il limite superiore, oltre il quale non è consentito lavorare era così ovvio che dovesse valere solo per i lavoratori dipendenti? Non per gli artisti? Non per i politici? Altrettanto ovvio che non ci fosse fine alcuna per il lavoro di Papa? Non ci è stato consentito pensare a un papa senza più forza e energia o intelligenza o addirittura senza motivazione a continuare la sua missione. Abbiamo pensato forse che comunque la curia avrebbe provveduto al governo. E che il simbolo dell’unità e del potere potesse restare intatto comunque. Anche se diventato una peso intollerabile. Anche se contraddetto da una nuova vocazione, quella della preghiera e della contemplazione “oziosa”. Perché anche ad ottanta anni, o più, nascono nuove vocazioni. Normalmente le censuriamo e spegniamo sul nascere, mancandoci l’audacia di valicare i binari assegnati alle fasi della vita. La nostra vita, fisica e psichica, è un continuum liquido con poche “rotture” : l’improvvisa rottura di un vaso sanguigno o un incontro decisivo. Ma poi altri contenitori istituzionali frenano il libero dispiegarsi liquido della vita che vorrebbe compresenze negate: studio e lavoro, imparare filosofia, ad esempio, mentre si insegna informatica, un amore accanto a un altro amore. Oppure il ritmo della vita chiederebbe una carriera lavorativa discendente, con tempi di lavoro decrescenti e mansioni nuove, accanto ad altre “carriere” ascendenti (la carriera di nonni, ad esempio).
Capita che la TV intervisti l’ottuagenario che sostiene “inutilmente” l’esame di laurea in psicologia o in giurisprudenza. Lo guardiamo con un sorriso compiacente. “Che carino!”, “Che buffo!” Vogliamo dire: “Fa una cosa inutile. Sì, bravo, certo. Ammirevole. E però, per quanto tempo potrà godersi la sua laurea inutile?”. Beh, l’ottuagenario ha scelto una laurea perché voleva un riconoscimento, voleva l’attestazione della libertà, non solo il piacere di studiare. Quell’ottuagenario è un ribelle e un uomo libero come Ratzinger.