Sulla panchina di fronte a casa un ragazzone piange con la testa fra le mani. In piedi una donna inveisce contro un uomo, paonazza in volto: “Non si permetta di toccare con un dito mio figlio…”. E lui, non intimorito, formale, replica qualcosa che non sento. Lei la madre, lui un poliziotto, un agente, è chiaro. Comincio a interpretare la scena sulla base dei miei pre-giudizi. A comporre un quadro verosimile. Non c’è segno di incidenti di auto. Sono pressoché certo che il ragazzone ha preso una multa parcheggiando, come molti fanno, dietro il bidone dei rifiuti. Lui, che immagino un ragazzo spavaldo e gradasso fra gli amici, adesso è disperato perché la madre dovrà pagare la multa. E, col pianto, un po’ si ripara dalla collera materna. Un bamboccione. O forse lei è una madre di quelle che difendono i figli o la memoria dei figli morti, vittime della violenza cieca e sadica delle forze dell’ordine, come la madre di Aldovrandi? Insomma, che diavolo avrà fatto quell’agente al ragazzone che piange? Oscillo fra la versione “bamboccione” e la versione “vittima del sadismo di poliziotti”. E non mi decido a varcare il cancello di casa. Poi mi accorgo di lei, appartata, una giovane carabiniera, pulita e bella come le donne in divisa. Scrive qualcosa. Un verbale. Tranquilla. La sua tranquillità mi tranquillizza. Ho la certezza assoluta che non può aver assistito a nessun gesto di violenza o di arbitrio. Credo in lei.
P.S.Per questo ho votato Laura Puppato? Un tantino sì.
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