Ancora un film sui cattivi della finanza
Jordan, Wolf, il lupo, il protagonista, è un campione dell'etica del successo. Negli Usa degli anni '80 e oltre la via più seducente e facile è rappresentata dalla finanza. Il mestiere di broker non richiede necessariamente né denaro, né lauree né particolari competenze diverse da quella dell'imbonimento seduttivo. Ha vie d'accesso democratiche (per così dire...). Per la verità – secondo Scorzese – richiede anche una competenza farmacologica per miscelare opportunamente eccitanti e sedativi : (alcol, cocaina, sesso, valium, etc.). Jordan ha anche la fortuna di trovare un buon mentore che non perde tempo ad insegnargli economia e sofisticati algoritmi. Gli insegna invece il ritmo ottimale nell'alternanza di coito e masturbazione. Ritmo ottimale perché la mente del broker vada al massimo. In ogni caso la ricchezza è il segno tangibile e ubriacante del successo, niente altro che questo. Tanto è vero che il denaro prodotto può essere buttato via in quantità, senza rimpianto alcuno. Ed è scontato per l'etica del broker che la ricchezza non sia il premio per avere creato ricchezza attorno a sè. Tutt'altro. E' legittimo creare miseria, invece. Sicché Jordan, impiantata una propria società, sarà bravissimo nel selezionare i collaboratori fra le pieghe di una società di tossicomani, alcolisti, sessuomani, tutti dotati del talento che non si apprende a scuola, quello della persuasione. La società appare pervasa da uno spirito coeso attorno al leader carismatico. Assai simile alle sette di successo. Ammetto di non aver pensato solo a scientology o simili stregonerie, ma anche ai segni della politica oggi vincente. Alla quale gli adepti chiedono solo il successo e gli ammiratori chiedono emozioni. Di progetti si parla come mero pretesto.
Jordan sarà sconfitto alla fine. L'agente intreprido dello FBI, incorruttibile e curiosamente pago di servire il proprio Paese, riuscirà a vincere. Ma Jordan non è finito. Uscito di galera ricomincerà da zero. Il film si chiude con gli sguardi ammirati delle nuove vittime, indirizzati all'irresistibile “lupo”.
Divagazioni per una estetica materialistica
L'estetica classica vuole giudicare un'opera, in sé, come testo chiuso, a prescindere dalla genesi. E fin qui consento. Ma anche a precindere dagli occhi di chi la giudica e dal contesto in cui l'opera si cala, comprese le opere che l'hanno preceduta. Non è ammesso che l'opera acquisti o perda valore, per il divenire dello stato d'animo del fruitore, i film visti prima, la sua digestione, la sua saturazione. Su questo non consento. Infatti non riesco a condividere l'entusiasmo o almeno il favore manifestato da critica e pubblico verso l'ultimo Scorzese. Esco dal cinema perpesso. Tento di capire. Sicché immagino di essere disturbato e un po' annoiato dall'ennesima replica del finanziere cattivo. Con variazioni sul tema, ovviamente, rispetto al protagonista di Blue Jasmine di Allen o a quello del protagonista dell'italiano Il capitale umano del nostro Virzì, entrambi assai più sobri del lupo di Scorzese. O, per allargare verso il comun denominatore del successo e della ricchezza, penso alla Grande bellezza di Sorrentino e al Grande Gatsby di Luhrmann. Nel comun denominatore il cinema rivolge ai vincenti uno sguardo duplicemente critico. Critico per l'etica del successo comunque e per il dolore che il successo sparge attorno a sé. Critico altresì per l'incapacità dei protagonisti nel darsi felicità. In tale narrazione mi è sembrato che il lupo di Scorzese non aggiungesse tanto. Aspetterei un nuovo capitolo, un film che ci dica come il mostruoso sia fra noi. Che insomma non ce la caveremo liberandoci dei finanzieri perfidi. Ma piuttosto liberando i finanzieri insieme agli altri umani. Un cinema che ci suggerisca la possibilità di una umanità riconciliata con se stessa.