venerdì 31 gennaio 2014

The wolf of wall street: cattivi, perversi e vincenti


Ancora un film sui cattivi della finanza Jordan, Wolf, il lupo, il protagonista, è un campione dell'etica del successo. Negli Usa degli anni '80 e oltre la via più seducente e facile è rappresentata dalla finanza. Il mestiere di broker non richiede necessariamente né denaro, né lauree né particolari competenze diverse da quella dell'imbonimento seduttivo. Ha vie d'accesso democratiche (per così dire...). Per la verità – secondo Scorzese – richiede anche una competenza farmacologica per miscelare opportunamente eccitanti e sedativi : (alcol, cocaina, sesso, valium, etc.). Jordan ha anche la fortuna di trovare un buon mentore che non perde tempo ad insegnargli economia e sofisticati algoritmi. Gli insegna invece il ritmo ottimale nell'alternanza di coito e masturbazione. Ritmo ottimale perché la mente del broker vada al massimo. In ogni caso la ricchezza è il segno tangibile e ubriacante del successo, niente altro che questo. Tanto è vero che il denaro prodotto può essere buttato via in quantità, senza rimpianto alcuno. Ed è scontato per l'etica del broker che la ricchezza non sia il premio per avere creato ricchezza attorno a sè. Tutt'altro. E' legittimo creare miseria, invece. Sicché Jordan, impiantata una propria società, sarà bravissimo nel selezionare i collaboratori fra le pieghe di una società di tossicomani, alcolisti, sessuomani, tutti dotati del talento che non si apprende a scuola, quello della persuasione. La società appare pervasa da uno spirito coeso attorno al leader carismatico. Assai simile alle sette di successo. Ammetto di non aver pensato solo a scientology o simili stregonerie, ma anche ai segni della politica oggi vincente. Alla quale gli adepti chiedono solo il successo e gli ammiratori chiedono emozioni. Di progetti si parla come mero pretesto. Jordan sarà sconfitto alla fine. L'agente intreprido dello FBI, incorruttibile e curiosamente pago di servire il proprio Paese, riuscirà a vincere. Ma Jordan non è finito. Uscito di galera ricomincerà da zero. Il film si chiude con gli sguardi ammirati delle nuove vittime, indirizzati all'irresistibile “lupo”. Divagazioni per una estetica materialistica L'estetica classica vuole giudicare un'opera, in sé, come testo chiuso, a prescindere dalla genesi. E fin qui consento. Ma anche a precindere dagli occhi di chi la giudica e dal contesto in cui l'opera si cala, comprese le opere che l'hanno preceduta. Non è ammesso che l'opera acquisti o perda valore, per il divenire dello stato d'animo del fruitore, i film visti prima, la sua digestione, la sua saturazione. Su questo non consento. Infatti non riesco a condividere l'entusiasmo o almeno il favore manifestato da critica e pubblico verso l'ultimo Scorzese. Esco dal cinema perpesso. Tento di capire. Sicché immagino di essere disturbato e un po' annoiato dall'ennesima replica del finanziere cattivo. Con variazioni sul tema, ovviamente, rispetto al protagonista di Blue Jasmine di Allen o a quello del protagonista dell'italiano Il capitale umano del nostro Virzì, entrambi assai più sobri del lupo di Scorzese. O, per allargare verso il comun denominatore del successo e della ricchezza, penso alla Grande bellezza di Sorrentino e al Grande Gatsby di Luhrmann. Nel comun denominatore il cinema rivolge ai vincenti uno sguardo duplicemente critico. Critico per l'etica del successo comunque e per il dolore che il successo sparge attorno a sé. Critico altresì per l'incapacità dei protagonisti nel darsi felicità. In tale narrazione mi è sembrato che il lupo di Scorzese non aggiungesse tanto. Aspetterei un nuovo capitolo, un film che ci dica come il mostruoso sia fra noi. Che insomma non ce la caveremo liberandoci dei finanzieri perfidi. Ma piuttosto liberando i finanzieri insieme agli altri umani. Un cinema che ci suggerisca la possibilità di una umanità riconciliata con se stessa.

lunedì 27 gennaio 2014

Il giorno della memoria. Che fare?


Il giorno della memoria. E sempre quel dubbio, sempre quell'incertezza. Cosa posso fare per dare un contributo vero nella lotta contro la barbarie e l'orrore? Avverto il dubbio che qualunque dichiarazione di rito sia non solo inutile, ma anche nociva. L'ho sempre temuto. E lo temo di più oggi all'indomani dell'offesa alla comunità ebrea di Roma. Mi sono indignato e ho provato stizzoso dispetto, ad esempio, come tanti, per quella scritta sul muro: Hanna Frank bugiardona. Cosa abbiamo pensato? Fanatici e ignoranti. Io ho pensato anche: ragazzini. Per quel linguaggio infantile: bugiardona. Non è un dettaglio l'approssimazione ortografica, ma neanche l'indizio anagrafico. Avverto il segnale di un'opposizione totale al mondo degli adulti, alle sue convinzioni, ai suoi rituali, alla sua ipocrisia. Da tale opposizione a un mondo escludente e incomprensibile discende prima il sospetto e poi la convinzione che gli adulti, i democratici, le persone normali siano vittime o agenti di un complotto. E la voglia di un pensare contro. Contro comunque. Contro a sproposito. Credo che non ne usciamo facilmente. Vedo vie difficili e impervie da percorrere. La prima: recuperiamo a tutti i costi al tessuto sociale e alla comunità i troppi giovani analfabeti e disorientati. Li mettiamo al lavoro ad esempio. Li chiamiamo a proporre. La seconda: ridicolizziamo le loro battaglie su obiettivi inventati (dalla fede nella squadretta di calcio a quella nell'antisemitismo), con animatori, Crozza di strada. La terza: li sfidiamo a nuove e serie battaglie, quali il lavoro e l'eguaglianza. La quarta, più costosa e difficile: costruiamo una scuola nuova. Una scuola capace di spiegare perché è importante scrivere Anna e non Hanna. Una scuola capace di curvarsi su tutte le ignoranze e porvi rimedio, ragazzo per ragazzo. Facendo desiderare l'istruzione, non imponendola maldestramente e inutilmente. Tempo fa avevo postato un pezzo sul mio blog, rossodemocratico, sull'esperienza affascinante di una insegnante fiorentina. Lo ripropongo. http://rossodemocratico.ilcannocchiale.it/?yy=2011&mm=1 La quinta proposta è: smettiamo di essere indulgenti giacché l'indulgenza è il contrario dell'attenzione

venerdì 17 gennaio 2014

Il capitale umano: quelli che valgono poco


Il capitale umano che dà il titolo all'inquietante film di Virzì è il nome che le assicurazioni danno alla formula che stabilisce il prezzo di un incidente in funzione della persona coinvolta, la sua età, la sua capacità di reddito, etc. E' facile scandalizzarsi di questo. I moralisti in cattiva fede si scandalizzano ogniqualvolta il mercato esibisce spavaldamente i suoi algoritmi. Un'operazione di verità quella del mercato; un'operazione futile il moralismo di chi accetta tutto dal mercato tranne la verità. Ci sarebbe caso mai da verificare la razionalità del mercato che stima il valore della ricerca che ci salva la vita assai meno del lavoro di chi ce la complica e imbruttisce: i gestori di slot machine, i cementificatori, gli inquinatori. Fortunatamente però il film di Virzì non indulge in moralismi. Non vedo cattivi nel film. Vedo stupidi e inconsapevoli. Virzì ha ambientato in Brianza la sua trasposizione del romanzo di Stephen Amidon che aveva come riferimento il Connecticut. Una Brianza livida e sconnessa quella “selezionata” da Virzì, con le ville inutilmente sovradimensionate disseminate nel territorio. Una Brianza da “usare” più che da vivere. Da usare per fare soldi. Cos'altro? Non è l'unica Brianza, come hanno osservato irritati alcuni brianzoli, ma è Brianza ed è metafora dei nostri tempi. Il film connette storie individuali coinvolte nel “casuale” omicidio ad opera di un conducente di Suv di un povero diavolo in bicicletta, dallo scarso valore ipotizzabile in termini di “capitale umano”. Fabrizio Bentivoglio è esemplare nella rappresentazione di un campione dei nostri tempi e dei nostri valori. Agente immobiliare, ritiene di aver capito tutto quello che merita di essere capito. Per fare il salto da una vita normale verso le gratificazioni del lusso serve il miracolo di un investimento riservato a pochi eletti. E gli eletti sono quelli che sanno acquisire la rete giusta di relazioni. Abbastanza giusto, no? E' ragionevole studiare, faticare, lavorare, se in un colpo solo, grazie all'amicizia giusta, si può partecipare alla moltiplicazione magica del pane e dei pesci? Allora meglio inserirsi per vie traverse nella vita del ricco finanziere, vuoi con la socializzazione del tennis, vuoi valorizzando il flirt nato fra la figlia e il figlio del drago. Fabrizio Gifuni è il drago della finanza. Elegante, sobrio come invece non sanno essere i neo- ricchi, investe sulla rovina dell'Italia. Perché non dovrebbe? Una scommessa come altre e che gli andrà bene. Anche se non riusciamo a capire quale uso farà della ricchezza. Comprendiamo meglio chi pagherà il disastro: i piccoli uomini che vanno in bici nella Brianza affollata di inutili Suv. La ricchezza del drago non dà felicità evidentemente al figlio che – orrore! - sarà sconfitto nel concorso da una nuova italiana rigorosamente nera. No, il sobrio Gifuni non farà polemiche, si limiterà a trasalire. La battaglia contro i neri che tolgono case, sussidi e successi ai purosangue italiani sarà condotta dal proletariato padano. Sapete, i finanzieri sono politicamente corretti – finché possono - e magari votano a sinistra. La Lega e la plebe vigilano per loro. Il figlio infelice e alcolista, coinvolto innocente nell'omicidio da Suv, è iperprotetto dalla madre. Una dolente Valeria Bruni Tedeschi (qui ben più che sorella di Carla) che è il peggio femminile: quello dell'impotenza e dell'indulgenza colpevole. L'indulgenza delle madri rassegnate a ricevere vaffa continui dai figli ben nutriti che nulla hanno fatto per meritare la ricchezza. Ma alla fine tutto si risolve. L'immobiliarista nel momento in cui l'investimento nella rovina dell'Italia sembra andare malissimo riavrà i suoi soldi grazie al ricatto: il capitale investito (con profitti promessi) in cambio della salvezza del figlio alcolista del finanziere. Peraltro il colpevole è un distratto giovane proletario, rivale in amore del giovane privilegiato. Come dire: lasciamo che siano i proletari a sporcarsi di sangue e a meritare la galera. La élite ha le mani pulite e la legge è indulgente con chi uccide senza usare le mani. Valeria Bruni non potrà realizzare il sogno della giovinezza, il teatro, ma pazienza. Vivrà solo un attimo di Eros devastante con l'attore “impegnato”, come un ritorno alla giovinezza e alla vita “normale” perduta, quella nella quale a momenti si sa perché si vive. Tutto bene quindi, tranne che per l'Italia e chi per caso andava in bici nella notte oscura della Brianza, uno che comunque valeva poco.

giovedì 2 gennaio 2014

Buon 2014 della lunga preistoria


2014 dell'Età moderna, anzi contemporanea? Non condivido. Direi: 2014 della lunga interminabile preistoria. Sì, certo abbiamo moltiplicato la lunghezza della vita (e del dolore). Siamo sbarcati sulla Luna, a due passi dalla Terra. Però ancora oggi nel secondo Paese al mondo per tasso di sviluppo, l'India, non si ferma la pratica dello stupro di gruppo. Oggi una sedicenne ripetutamente stuprata e poi assassinata. E pare che non ci sia deterrente possibile, neanche la pena di morte. Allora - preistoria per preistoria - sono costretto a scegliere la mia Italia in declino, con l'orrore di una generazione bruciata dalla disoccupazione. Coraggio, la storia non è ancora iniziata. Per molti Natali ancora regaleremo, compiaciuti, a figli e nipoti i prodotti delle sempre più avanzate tecnologie della preistoria avanzata. Forse fra un secolo inizierà la Storia, quando ci si scandalizzerà davvero dell'orrore per i nostri simili senza tetto, cibo e lavoro e dell'orrore senza pari dello stupro di gruppo nel secondo Paese del mondo per tasso di sviluppo. Allora si girerà pagina e inizierà la storia dell'Uomo.