sabato 19 marzo 2016

In ricordo di mio padre

Lo fanno in tanti. Perché non io? Un pensiero per mio padre, mancato troppo presto, mutando profondamente i percorsi di vita dei miei familiari. Il mio ricordo più forte è questo. Quando lo vidi per la prima volta smarrito. Era il 6 giugno del 1968, il giorno in cui fu assassinato Robert Kennedy, il secondo assassinato nella famiglia Kennedy. Mio padre era uno sfegatato fan dei Kennedy. Io avevo 25 anni. Ero più o meno comunista, comunque politicamente la pecora nera in una famiglia di commercianti, una famiglia (compresi ascendenti paterni e materni) che guardava a destra, verso i liberali e Malagodi. Mio padre mi apprezzava per alcune mie prestazioni scolastiche, ma era deluso e preoccupato per le mie scelte di vita e universitarie. La filosofia che amavo e avevo scelto non era consona al successo professionale che avrebbe voluto per me. Il successo era il suo valore. Non teneva in nessun conto le mie opinioni sul mondo. Almeno così mi pareva. Per questo ricordo quel giorno. Per la prima volta - eravamo di fronte alla TV che parlava dell'omicidio - mi chiese: "Perché "? Non era una domanda retorica. Ne sono sicuro. Mi guardava negli occhi e voleva davvero sapere da me perché succedesse quel che succedeva. Per la prima volta dubitava del suo mondo e delle sue categorie mentali, cercando aiuto in altri mondi mentali. E per la prima volta mi sentii riconosciuto. Non ricordo se risposi o cosa risposi. Mancavano sette mesi alla sua morte inaspettata. C'erano state e ci sarebbero state dopo altre morti inaspettate.

venerdì 18 marzo 2016

Sorpresa per Lula?

Il grande ex Presidente Lula, uomo del popolo e per il popolo, amato e venerato, prossimo agli arresti è soccorso dal successore, guerrigliera a suo tempo e torturata. La Presidente nomina Lula ministro per salvarlo dagli arresti. Ma i giudici bloccano la nomina. E' triste. Ma dobbiamo farcene una ragione. E' strano - ma continua a succedere - che un santo o un eroe dilapidi il suo credito per arraffare un milioncino da aggiungere al suo tesoretto. Siamo fatti così noi umani. Un ottimo motivo per apprezzare le buone opere di alcuni politici ma rifiutare di santificarli.

venerdì 11 marzo 2016

The danish girl: l'amore è quello di dopo

Critiche divise su " The danish girl" di Tom Hopper. Tutti d'accordo però sull'ottima prova di Alicia Vikander, premiata con L'Oscar come migliore attrice non protagonista. Di fatto una co-protagonista. Lei interpreta il ruolo di Gerda, moglie di Einar  (Eddie Redmayne). Pittore paesaggista lui, pittrice ritrattista lei. Qualcuno ha trovato il film "calligrafico" o "estetizzante". Io mi colloco fra quanti lo hanno apprezzato molto. Il regista ribadisce il gusto della misura già manifestata con "Il discorso del re",  premiato con l'Oscar per la migliore regia nel 2011. Anche questa peraltro è la storia autentica di un disagio. Nella Danimarca degli anni '20, come in tutto il mondo di allora, scoprirsi donna in un corpo maschile era una catastrofe esistenziale. Ora lo è un po' meno solo perché il transgender è accolto nella cultura ufficiale come un modo di essere e di vivere l'identità sessuale. Nella cultura medio-alta almeno, se non nelle emozioni più comuni, sempre in ritardo. Ma allora, negli anni '20 anche i medici e gli scienziati non sapevano affatto cosa significasse quella sensazione di estraneità rispetto al proprio corpo. Sarebbero divertenti, se non fossero drammatiche le diagnosi dei medici consultati da Einar. "Purtroppo la diagnosi è la peggiore: lei è un omosessuale" oppure "schizofrenia" etc. Credo che gli autori si siano sentiti investiti da un compito pedagogico. Quando Einar dice alla moglie di non essere interessato al presunto corteggiatore perché quello è un omosessuale - non cioè l'uomo etero che Einar  vede nel suo futuro di donna - gli autori lo stanno dicendo al pubblico invitando a non far confusione. Quella che ancor oggi si fa fra omosessuale, transgender e addirittura pedofilo, con significativa e rozza confusione fra tutto quello che non si accetta.
Capita comunque che i protagonisti trovino la via giusta indirizzandosi ad un chirurgo tedesco, precursore della moderna pratica chirurgica. Il regista è maestro nel dire molto in un gesto minimo. Ne "Il discorso del re" lo fece, ad esempio, nella scena in cui Giorgio VI riappare alle figlie appena incoronato re. La figlia minore, Margareth, sta per saltargli addosso chiamandolo "papà". La maggiore, Elisabetta, futura regina, la ferma e suggerisce alla minore, con un inchino e una parola, il comportamento adeguato: "maestà". In "The danish girl"  il chirurgo riconosce la femminilità del cliente prossimo all'intervento, ormai non più Einar, ma intimamente Lili, con un semplice e veloce baciamano.
La storia della coppia è la storia di un rapporto intenso anche dal punto di vista erotico dapprima. Dapprima. Con la scoperta dell'identità femminile di Einar- Lili , iniziata per un gioco di travestimento, il rapporto muta profondamente, prima lacerandosi nella disperazione della moglie, poi diventando altra cosa, di maggior valore. Mi piace dire che dopo, solo dopo, diventa amore. Non più il godere del corpo dell'altro e dei servizi materiali ed affettivi dell'altro, ma l'empatia profonda e gratuita verso le ragioni e il mondo dell'altro. Lì soprattutto la coprotagonista è di estrema efficacia. Credo che il film, a suo modo militante, ci suggerisca anche questo: cosa merita di essere chiamato "amore".

giovedì 3 marzo 2016

La pietà dei cuccioli






E' un sentimento di lunga durata nella storia dell'uomo. Da quando l'uomo apprese a darsi cura del  proprio  cucciolo. La disperazione incommensurabile di non esserne capace. Il sentimento tragico di inadeguatezza. Talvolta un disperato chiedere scusa perché il mondo non è come lo avremmo voluto per lui, non a misura dei suoi bisogni. E noi stessi genitori siamo colpevolmente inadeguati. I cuccioli dell'uomo rispondono con pietà sconsolata e i figli diventano padri dei genitori. 
La foto del bimbo siriano che tende la mano pietosa al padre che ha conquistato un qualcosa da mangiare (forse troppo poco), davanti al recinto invalicabile del confine macedone ,  ripete storie e sentimenti antichi.  Come nell'immagine di "Ladri di biciclette", il capolavoro di De Sica e del neorealismo italiano, con il  padre fattosi  ladro per provvedere ai bisogni del figlio bambino,  lui che era ritenuto giusto e onnipotente come un dio,  scoperto e umiliato davanti ai suoi occhi.  E il figlio, forse coetaneo del bimbo siriano, tende la sua mano pietosa verso il dolore e la responsabilità dei padri. L'arte indistinguibile dalla realtà che rende tragicamente eterna.