Ho partecipato ieri a un incontro sul tema “Un filosofo in ogni azienda” presso l’Università Roma Tre. Relatori erano i protagonisti di una esperienza formativa/lavorativa realizzata, oltre che da Roma Tre e dalla Sapienza (facoltà di lettere e filosofia), da Epistematica, società di servizi di knowledge management alle imprese. In breve la società sostiene le aziende interessate a formalizzare e archiviare il patrimonio di conoscenze possedute affinché non siano disperse e ne sia socializzata e ottimizzata la fruizione. Dopo essersi naturalmente dotata di competenze informatiche, Epistematica ha compreso il bisogno di una competenza diversa che mettesse in comunicazione e unificasse i linguaggi multidisciplinari prima di immetterli nel calcolatore. La competenza è stata individuata nella filosofia e nella logica filosofica. E l’Università ha completato la preparazione filosofica di base, “curvandola” al compito previsto, con un tirocinio rivolto a laureati specialistici di filosofia. Attualmente Epistematica collabora, ad esempio, con l’Ente Spaziale Europeo cui fornisce strumenti logico-filosofici-informatici.
La filosofia in azienda non è una novità assoluta. E’ presente da qualche tempo, in competizione con sociologia o psicologia delle organizzazioni, nella forma di consulenza filosofica per chiarire e sostenere le motivazioni aziendali, in particolare dei dirigenti. Su questo cerco di esprimere il mio favore e la mia perplessità. Il mio favore riguarda la giusta intuizione che il clima aziendale, i valori e le credenze di proprietari, dirigenti e operatori siano decisive quanto e più di una battaglia vinta con la concorrenza o con il sindacato. La mia perplessità riguarda invece il rischio che vedo concreto della inefficacia pratica di molte “consulenze”, della ritualizzazione della formazione e consulenza con formule seduttive, della ricerca snob in talune aziende di atteggiamenti “colti” e innovatori. Su questo avevo e conservo una riserva critica. Altra diffidenza riguarda quello che a mio avviso è il risultato di spinte “corporative” contrapposte che stabiliscono gratuiti steccati fra albi e discipline (psicologi, sociologi, filosofi, appunto) e inibiscono l’ottimale collocazione delle competenze.
Più pienamente convinto sono sugli esiti di altre esperienze filosofiche non consuete come Philosophy for children, pratica non nuova eppur poco diffusa, intenzionata a fornire ai giovanissimi strumenti concettuali indebitamente sequestrati dai licei e dalle facoltà universitarie. Ragionevolmente convinto sono stato altresì dall’esperienza incontrata ieri a Roma Tre.
Questa è la prima parte della mia riflessione sulla giornata di ieri. La seconda è solo apparentemente più marginale. Ho impiegato mezz’ora a trovare nella facoltà di filosofia di Roma Tre l’indicata sala delle conferenze. Non era presente nella segnaletica. Non era conosciuta dai diversi studenti interrogati né dal personale incontrato. Non era l’aula magna verso cui mi aveva indirizzata una studentessa, meritevole per aver cercato di reinterpretare un codice linguistico. Insomma, infine ho trovato per caso la sala conferenze, salendo e scendendo scale e girando qua e là. Questo mi ha fatto interrogare sull’orientamento degli studenti e sulla loro possibilità di fruire di spazi e opportunità. La perplessità è cresciuta entrando nella sala, accolto con grade cortesia. Non più di 20 ascoltatori. Forse un paio di studenti.
Concludo. Ero e sono convinto che – a differenza di quanto ritengono la Gelmini, Sacconi e Sallustri - non siano troppi i laureati in filosofia o in scienze della comunicazione, come, per altri aspetti, non siano troppi gli attuali docenti precari. Non basta riferirsi alla mitica domanda cui dovrebbe adeguarsi l’offerta. La qualità dell’offerta determina altresì la domanda. Se i cineasti italiani producessero più capolavori la domanda degli italiani si sposterebbe un tantino dal consumo di pizzette e gratta e vinci al consumo di film. Sono troppi filosofi, comunicatori e docenti se restano invariate le attuali opzioni politiche, le nostre scelte di vita e di consumo, se resta quella che è l’intelligenza media degli imprenditori. Sono comunque troppi se non crescono le motivazioni degli studenti, le loro capacità di orientamento, le loro capacità di autoimprenditività e marketing. E se non cresce l’investimento sociale e delle istituzioni formative nella guida e nell’orientamento continuo dei giovani. Nella sala conferenze di Roma Tre ieri non dovevano essere presenti un paio di studenti.
venerdì 29 aprile 2011
venerdì 15 aprile 2011
Vittorio Arrigoni: la vita degna di essere vissuta
Il mio primo pensiero è questo: spero intensamente che Vittorio Arrigoni abbia sentito prima di morire che la sua vita è stata degna di essere vissuta. E’ il pensiero che consola sua madre: lo dimostra con il suo quieto dolore, la sobrietà che non appartiene alle madri degli omicidi uccisi, perché anche i figli educano le madri. Questo è il mio modo di esprimere il mio amore per lui. Dico apposta amore perché in suo omaggio vorrei restituire significato alle passioni importanti, come il sentimento gratuito che lui ebbe per Gaza e per le sofferenze della sua gente: è giusto chiamare amore quel sentimento, più che i sentimenti che riguardano i nostri rapporti interessati con l'altro sesso o con i parenti. La sua morte adesso mi conduce a una rete contraddittoria di significati. Ho cercato velocemente su internet di ripassare qualche informazione sui suoi assassini. Ma francamente non mi attraggono molto i dettagli sui salafiti. Mi avvalgo dei miei utili pre-giudizi per arrivare all’essenziale. Sono attratto e atterrito, riscoprendo sinistre vocazioni umane, dalle analogie con altri assassinii e altri assassini, i gruppi minoritari che credono (o fingono di credere) ad una rivelazione - divina o laica che sia -riservata a pochi eletti. Penso agli assassini delle Brigate rosse (fra quelli che fingono di credere, per riempire una vita priva di amore e priva del dono dell'intelligenza) che finsero di credere di spiegare all’operaio Guidi Rossa, col suo sangue, cosa fosse la lotta di classe. Penso a un’altra vittima che conobbi fuggevolmente, ma intensamente: Ezio Tarantelli, incontrato a un seminario, uomo inequivocabilmente mite e generoso, dolcemente "imbranato" con i suoi lucidi e la lavagna luminosa.
E' il mio modo per dare un significato all'assassinio di Vittorio Arrigoni.
Un altro rimando mi suggerisce la ritualità di quegli assassinii: la ritualità delle esecuzioni di Stato in cui la macchina cieca della giustizia asetticamente uccide, in assenza di passioni, ormai spente, come accadde per Saddam.
E allora sento l'amore indignato di Lucrezio (De rerum natura, Liber I) nel ricordare il sacrificio di Ifigenia: "Tantum religio potuit suadere malorum"! A quanti orrori inducono religioni (o superstizioni), anche laiche, nella sconfitta della ragione!
Restiamo umani era l’invito di Vittorio. Diventiamo umani è la correzione che gli proporrei, oppure Torniamo animali, amputando da noi le perversioni dell’umano.
E' il mio modo per dare un significato all'assassinio di Vittorio Arrigoni.
Un altro rimando mi suggerisce la ritualità di quegli assassinii: la ritualità delle esecuzioni di Stato in cui la macchina cieca della giustizia asetticamente uccide, in assenza di passioni, ormai spente, come accadde per Saddam.
E allora sento l'amore indignato di Lucrezio (De rerum natura, Liber I) nel ricordare il sacrificio di Ifigenia: "Tantum religio potuit suadere malorum"! A quanti orrori inducono religioni (o superstizioni), anche laiche, nella sconfitta della ragione!
Restiamo umani era l’invito di Vittorio. Diventiamo umani è la correzione che gli proporrei, oppure Torniamo animali, amputando da noi le perversioni dell’umano.
venerdì 1 aprile 2011
A volte ritornano
Oggi mi piacerebbe non avere memoria. Mi piacerebbe non aver studiato quel poco di storia d’Italia che ho studiato. Mi piacerebbe non poter trovare nella cronaca politica di questi giorni sinistre analogie con l’avvento del fascismo. Invece le trovo e mi manca il respiro. Ho sentito la Russa vantarsi del proprio “coraggio” nell’affrontare fischi e monetine lanciate dai manifestanti davanti a Montecitorio e poi aggiungere, rivolto a Franceschini e ai banchi dell’opposizione: “Voi non avreste avuto questo coraggio”. Confrontate per favore queste parole con quelle che nella seduta del 30 maggio del 1924 pronunciano i fascisti – lo squadrista Roberto Farinacci in primis – contro Giacomo Matteotti (nel suo ultimo discorso) che contesta le violenze che hanno impedito a tanti cittadini di votare nelle recenti elezioni. “Perché avete paura. Perché scappate” è l’insulto machista alla scarsa virilità dell’opposizione. E non giovò allora la replica di Filippo Turati.”Si, avevamo paura, come quando nella Sila c’erano i briganti”. * Perché penso che non giovò quella risposta che noi “radical chic” giudichiamo “colta”, nitida e tagliente ? Ho il ricordo amaro di una esperienza didattica che ebbi qualche tempo fa con un gruppo di detenuti. Un esercizio di drammatizzazione con il testo del resoconto di quella seduta del 30 maggio. Grande passione e sforzo interpretativo dei detenuti. Poi chiedo un commento sui protagonisti. Lì avviene la sorpresa. I miei allievi stanno con i fascisti. Ne condividono la veemenza, la forza, la “virilità”. Matteotti e gli oppositori sono deboli e perdenti. Non si possono ammirare. Una lezione per me indimenticabile.
Il vaffa del famigerato ministro alla Presidenza della Camera non fa temere che possa un giorno non lontano risuonare in Parlamento qualcosa di simile al mussoliniano “Io potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco per i miei manipoli”? Del resto definire le camere attuali sorde e grigie non sarebbe neanche una falsità. Perché questo è un problema. Difendere le istituzioni mentre il premier lavora a rendere gli attori che le incarnano, a partire dai parlamentari, sempre più squallidi e ricattabili si da preparare il consenso per il giorno in cui lui o il suo erede decideranno di sbarazzarsi di tutti. Cos’altro? L’insulto di un leghista, Massimo Poliedri, alla deputata, disabile, Ileana Argentin: “Handicappata di merda”. Come un pensiero troppo a lungo trattenuto e che ora si pensa di poter finalmente urlare. Non si perdono voti. Tutt’altro. Si parla alla pancia della gente, col linguaggio dei giovani disoccupati che preferiscono alle manifestazioni lo stadio dove vuoto e disperazione trovano il bersaglio del “negro” e dello “handicappato”. E poi, e poi tutto il resto che in questo periodo ci tocca registrare. Pensionati e massaie che, quando non invidiano o non ammirano, assolvono le spregiudicate pratiche erotiche del premier. “Gli piacciono le donne. Embè? Dovrebbero piacergli i gay?” Quanto lavoro ancora per il movimento delle donne del 13 febbraio sceso in piazza anche contro il machismo della sopraffazione, dell’omofobia, della tronfia stupidità.
C’è un’altra Italia, d’accordo. C’è l’Italia dell’anziana di Lampedusa che, nella sua semplicità vera, grida al premier di vergognarsi per l’esibizione di quella casa acquistata tempestivamente nell’isola (in tutto, la dodicesima?) “mentre la gente fa fatica a comprare una rosetta da 20 centesimi”. C’è un’altra Italia, ma è in difficoltà e non capisce come uscire dall’incubo mentre i suoi rappresentanti si dividono perché ognuno, come Giulio Cesare, preferisce essere primo in un villaggio che secondo a Roma.
*http://it.wikisource.org/wiki/Italia_-_30_maggio_1924,_Discorso_alla_Camera_dei_Deputati_di_denuncia_di_brogli_elettorali#cite_note-2
Il vaffa del famigerato ministro alla Presidenza della Camera non fa temere che possa un giorno non lontano risuonare in Parlamento qualcosa di simile al mussoliniano “Io potevo fare di quest’aula sorda e grigia un bivacco per i miei manipoli”? Del resto definire le camere attuali sorde e grigie non sarebbe neanche una falsità. Perché questo è un problema. Difendere le istituzioni mentre il premier lavora a rendere gli attori che le incarnano, a partire dai parlamentari, sempre più squallidi e ricattabili si da preparare il consenso per il giorno in cui lui o il suo erede decideranno di sbarazzarsi di tutti. Cos’altro? L’insulto di un leghista, Massimo Poliedri, alla deputata, disabile, Ileana Argentin: “Handicappata di merda”. Come un pensiero troppo a lungo trattenuto e che ora si pensa di poter finalmente urlare. Non si perdono voti. Tutt’altro. Si parla alla pancia della gente, col linguaggio dei giovani disoccupati che preferiscono alle manifestazioni lo stadio dove vuoto e disperazione trovano il bersaglio del “negro” e dello “handicappato”. E poi, e poi tutto il resto che in questo periodo ci tocca registrare. Pensionati e massaie che, quando non invidiano o non ammirano, assolvono le spregiudicate pratiche erotiche del premier. “Gli piacciono le donne. Embè? Dovrebbero piacergli i gay?” Quanto lavoro ancora per il movimento delle donne del 13 febbraio sceso in piazza anche contro il machismo della sopraffazione, dell’omofobia, della tronfia stupidità.
C’è un’altra Italia, d’accordo. C’è l’Italia dell’anziana di Lampedusa che, nella sua semplicità vera, grida al premier di vergognarsi per l’esibizione di quella casa acquistata tempestivamente nell’isola (in tutto, la dodicesima?) “mentre la gente fa fatica a comprare una rosetta da 20 centesimi”. C’è un’altra Italia, ma è in difficoltà e non capisce come uscire dall’incubo mentre i suoi rappresentanti si dividono perché ognuno, come Giulio Cesare, preferisce essere primo in un villaggio che secondo a Roma.
*http://it.wikisource.org/wiki/Italia_-_30_maggio_1924,_Discorso_alla_Camera_dei_Deputati_di_denuncia_di_brogli_elettorali#cite_note-2
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