Una volta nel linguaggio scritto erano considerate inaccettabili imperfezioni, errori ortografici, sgrammaticature, cose del tutto accettate nel linguaggio parlato. Questo inibiva i meno colti nell’uso della scrittura. Diciamo che era un limite all’espressione del pensiero e alla democrazia. Mi pare che tali timidezze siano superate. Oggi l’ortografia dei messaggi murali somiglia assolutamente a quella delle lettere di una volta alla fidanzatina di campagna o agli sms. Ho letto sui muri di Ostia un manifesto e un titolo che solo per un attimo mi ha procurato un soprassalto. Poi ho fatto spallucce. Il manifesto era intitolato PRESIDIO DI MANIFESTAZIONE DI DISSENZO. Il presidio era minacciato per lo scorso 11 luglio davanti a Montecitorio da una sedicente legaitalica Ho scoperto vivendo da poco nel territorio romano quanto normalmente la Z prenda il posto della S. Non molto tempo fa scoprii l’insegna di un negozio che impavidamente pubblicizzava BORZE. Poiché non sono un purista e poiché voglio essere un democratico, ho polemizzato un tantino con mia moglie che continuava ad arricciare il naso davanti al manifesto. Al di là della Z il problema era invece a mio avviso nel testo. Era una violentissima quanto assolutamente vaga invettiva contro il governo delle tre banche (non chiedetemi quali siano), contro le tasse ingiuste (senza dettaglio alcuno) e contro l’immancabile Equitalia che pare avere preso il posto degli immigrati. Mi venga un colpo ma, mentre capivo benissimo che dissenzo significa dissenso, nulla ho capito della proposta politica. Non era comprensibile per l’incerta sintassi o viceversa la carenza di proposta partoriva quella sintassi? Certo la grafica e i colori, decisi non so come, non aiutavano.
L’indomani in ospedale mia moglie ed io sentiamo gli stessi suoni ma è come se sentissimo sintassi e toni diversi. C’è un giovane medico, forse uno specializzando, che così si rivolge in corridoio a un paziente, indicandogli, col braccio, una direzione: “mi segue…”. Mia moglie mi sussurra: ”anche i medici…”. Io faccio il finto tonto perché non sono sicuro di aver ascoltato quello che lei ha inteso. E lei, paziente, chiarisce: ha detto “mi segue”; come è possibile che un medico non sappia che avrebbe dovuto usare l’imperativo e dire “mi segua”? Mia moglie non è particolarmente cattiva ma io evidentemente sono un buonista, un avvocato del diavolo che troverebbe attenuanti al peggiore assassino. Infatti dico: forse c’era un punto interrogativo, forse ha chiesto “mi segue?” Non è che non sapeva usare l’imperativo, non voleva usarlo per una forma di cortesia. Come se avesse detto: le dispiace seguirmi? Oppure usava una forma inusuale di indicativo, descrittivo, come se descrivesse il futuro prossimo: io vado avanti e lei mi segue. Non sta comandando niente, sta descrivendo quello che sta per succedere, con lui avanti e il paziente dietro.
Poi, a casa, mi chiedo, quando e quanto ci serva il purismo. La difesa delle regole e della legalità è in qualche rapporto con il purismo e l’intransigenza ortografica o con la sintassi? Possiamo liberalizzare ortografia e sintassi in nome della democrazia e insieme insegnare ai cittadini, analfabeti di ritorno, la sintassi appropriata e soprattutto il suo scopo? E dove dovremmo farlo, nelle inesistenti istituzioni di educazione degli adulti? E, riguardo il medico, ci servirà trovare scuse a attenuanti per capire le ragioni dello scempio dell’ultimo ventennio e non perdere contatto con gli italiani innamorati di quello scempio? O forse la “comprensione” inevitabilmente raffredda la nostra rabbia e la nostra reazione?
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