sabato 30 novembre 2013

La venere in pelliccia: Polansky che non emoziona


Che sfortuna! Avevo approntato uno schema per un pezzo sull'intreccio “genio/sregolatezza”. Mi sarebbe servito – e davo pregiudizialmente scontato – un giudizio positivo sull'ultimo presunto capolavoro del genio. Spiazzato: ho visto Venere in pelliccia, ma non posso proprio condividere gli entusiasmi di molta critica. Polansky ha riletto Venere in pelliccia, il libro cult di Masoch e del masochismo. Il libro di Masoch è re-interpretato dal protagonista, autore della trasposizione teatrale, e re-re-interpretato dallo stesso che si fa attore/ regista insieme all'attrice che diventerà davvero padrona. Bell'esercizio intellettuale, non nuovissimo e non imprevedibile. E bella regia, belle luci e bella recitazione. Manca solo l'emozione. Assai più coinvolgente il precedente Carnage con i quattro che partivano come due coppie contrapposte e ridefinivano continuamente alleanze, conflitti di coppia e solitudini senza scampo. Sarà per la prossima volta.

La magistratura politicizzata


Non si possono e non si debbono contraddire a sproposito Berlusconi e i suoi lacchè. Quando dicono che la magistratura è politicizzata hanno ragione. Purtroppo. Come si fa a pensare che la giustizia e tutto l'apparato circostante (a partire dalla politica) sia imparziale? Non esistono arbitri totalmente imparziali né nei campi sportivi né nei tribunali. Sempre l'arbitro è condizionato dal fattore campo. Talvolta dagli scambi utili alla carriera. Talvolta addirittura dal denaro. Previti, ad esempio, docet. Più o meno come ovunque. Da noi un po' di più. E sempre con una attenzione maggiore verso i big ed i colletti bianchi (con eccezioni, ovviamente). Infatti è del tutto evidente che uno dei maggiori criminali della storia d'Italia l'ha fatta franca ed ha evitato la galera grazie non solo alle leggi ad personam ed alle risorse legali impiegate, ma anche per la "timidezza" di gran parte della magistratura. Trovo stranissimo che i democratici su questo non sappiano replicare alle falsità assolute dei berlusconiani. Lo ammettano. La magistratura è politicizzata. Infatti Berlusconi non ha ancora fatto un giorno di galera. Vige l'ineguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.

venerdì 29 novembre 2013

Berlusconi espulso dal Senato: cosa festeggiamo davvero?


Non mi è piaciuta per niente la piazza che fa festa per l'espulsione dal Senato di Berlusconi, il delinquente condannato in via definitiva. Troppo simile alle loro feste. Quelle con prosciutto trangugiato oscenamente ed altri simili pornografie. Ammesso che avvenga e che avvenga in un istante, festeggerei, e non so bene come, la fuoriuscita dal berlusconismo. Ma ce ne accorgeremo quando avverrà? Temo di no. Quei veleni che possiamo intitolare a Berlusconi sono ormai nelle nostre vene e sono parte di noi. Temo che la festa per la sua decadenza sia parte di quei veleni.

lunedì 25 novembre 2013

L'ultima ruota del carro: un po' per capire da dove veniamo


Con Ernesto Fioretti, il protagonista del film, interpretato da un ottimo Elio Germano, Giovanni Veronesi ci fa attraversare l'Italia dell'ultimo quarentennio con lo sguardo di un ultimo. Uno che vive una vita normale e guarda la storia che gli scorre davanti. Dall'assassinio di Moro, all'Italia da bere socialista, al berlusconismo. Tappezziere come il padre, traslocatore e poi patetico cuoco, convinto per poco alla sicurezza del posto fisso, a costo dell'incompetenza. Infine promosso a collaboratore inconsapevole di faccendieri nella fase della "intraprendenza" craxiana. Sempre un po' tirato per la giacca. Il contraltare un efficace Ricky Memphis, nella parte dell'amico Giacinto, capace di avvertire i tempi nuovi e di farsene comprimario. Esilarante la sua analisi del nascente fenomeno berlusconiano, venti anni or sono, con spiazzante inconsapevolezza. “Un uomo che fa spazio ai giovani e alle donne, molto attento alle donne”. Le risate in sala, coinvolgendo quasi l'intero pubblico, appaiono una sorta di referendum sulla storia dell'ultimo ventennio. Vedremo Giacinto alla fine, per l'ennesima volta risorto, al telefono dalla Cina, l'ultimo mito, l'ultima promessa. Ernesto guarda tutto così, senza disapprovazione apparente e senza convinzione. Per lui la vita è accontentarsi di poco, di un lavoro che piace, della famiglia e dell'affetto di Angela, la moglie. La vita è il respiro del tempo scandito dal succedersi del rituale, nelle feste, della declaratoria della formazione della Roma ad opera del più giovane della famiglia: prima Giannini, poi Totti, etc. Con accennata malinconia. Solo alla fine una caduta verso il peggio. Una grossa vincita al gratta e vinci ( o simile diavoleria), compromessa da un biglietto buttato via dalla moglie ignara. Così Ernesto smette di essere portatore dei sani valori “prolerari” (come si diceva). La scenata furibonda alla moglie consegna il protagonista al prototipo del maschio padrone e violento. Ma poi il rinsavimento, lì nella bellissima inquadratura fra le sterminate immondizie della metropoli romana dove Ernesto cerca inutilmente l'introvabile biglietto. La ritrovata saggezza austera che non abbisogna di fortuna. Così l'Ernesto ritrovato propone, a suo modo, con la felicità del ritorno a casa, un modello di “non-crescita” felice. L'ultima ruota del carro è un buon esempio della nuova commedia italiana, dallo sguardo attento agli epifenomeni dei movimenti sociali. Con il suo ultimo lavoro Giovanni Veronesi si propone erede del Dino Risi di Una vita difficile e dell'Ettore Scola di C'eravamo tanto amati .

La violenza sulle donne e la crisi degli uomini


Non so se sia in crescita la violenza sulle donne. Sicuramente se ne parla assai più di ieri. Per fortuna. Ogni tanto si ricorda anche che il luogo di gran lunga privilegiato dalla violenza è la famiglia. E "naturalmente" il carnefice è praticamente sempre lui, il marito, il compagno. Mi pare che i recenti provvedimenti in materia di "femminicidio" possano essere di qualche efficacia. Servirebbero nondimeno presidi antiviolenza diffusi e pubblicizzati. Che però non sono né diffusi né noti. Probabilmente il denaro necessario serve a garantire l'abolizione dell'Irpef sulla prima casa anche per i più abbienti o per altre sciocchezze. Ancor più servirebbe una cultura nuova che al momento non può che partire dalla scuola. Credo più a una cultura che armi le donne piuttosto che a una cultura che disarmi gli uomini. Una cultura che infonda autostima, che indaghi le ragioni della violenza ed informi sui presidi (in accezione lata) esistenti. A costo di soprassedere sui dettagli della prima o seconda guerra punica. Non fingerei di non vedere la crisi della coppia che va ben al di là di mere disfunzioni e casi isolati. L'uomo appare impreparato alla libertà femminile. E si fa scudo di un vecchio armamentario culturale per giustificare la pretesa del controllo e del possesso. "Amore" o anche "stabilità della famiglia" sono parole ed espressioni o da abolire o da leggere sempre criticamente. Sono l'alibi per tenere "l'altra metà del cielo" sotto ricatto permanente. Purtroppo con la frequente acquiescenza e indulgenza femminile. Non sono ottimista. Temo che se avanzerà - come in molti vogliamo, magari perché padri di ragazze - l'emancipazione femminile anche sul terreno lavorativo, se sempre più frequentemente la donna supererà l'uomo in quell'ambito, diventando la maggiore percettrice di reddito in famiglia, la reazione maschile sarà sempre più violenta. A meno che non si riescano a proporre agli uomini obiettivi diversi dal dominio.

sabato 23 novembre 2013

Giovane e bella: verso la mercificazione totale


Cerco nel cinema i segni "popolari" del possibile futuro. Talvolta sgradevoli. Oggi ci provo con Giovane e bella del francese Ozon. La diciassettenne Isabelle inizia il suo percorso sessuale con una delusione. Freddo e meccanico il rapporto con il coetaneo che la libera dell'impaccio della verginità. Voglio notare in ciò l'analogia evidente con l'iniziazione di Adele nel film "La vita di Adele". Solo che in Adele la delusione è propedeutica alla piena realizzazione nel piacere omosessuale. Descritto con tale partecipazione da apparire un manifesto dell'amore omo o addirittura di una prospettiva che escluderà la sessualità etero. Per Isabelle la svolta è invece nella scelta di prostituirsi. Una routine prostitutiva ritualizzata con il cambio di abito (dai jeans adolescenziali all'abbigliamento adulto). Isabelle così accumula un tesoretto giacché non è il consumo che sembra interessarla. Cosa la interessa allora? Il regista non lo dice o appena lo suggerisce. Il solito complesso edipico forse. O semplicemente il desiderio di sapere di valere (300 euro ). Se Ozon non lo spiega però una ragione c'è. L'autore sembra suggerire che quella di Isabelle non è una storia eccezionale. Non è la storia di Isabelle, a parte i dettagli. E' la storia che stiamo vivendo. Il sesso si avvia a diventare compiutamente merce. In vendita come qualsiasi prodotto o servizio. Nel web l'offerta di prestazioni sessuali assume la struttura articolata dei prezzi del parrucchiere: taglio x euro, taglio + piega y euro, taglio, piega e colore z euro. Con la globalizzazione e l'offerta dell'est che contiene i prezzi. Con nuova e positiva attenzione (senza ironia) ai bisogni di una popolazione "di nicchia" (mi pare gli economisti chiamino così i bisogni di pochi che l'imprenditoria più brillante scopre e soddisfa): come i disabili per secoli ignorati, come il disabile di "The sessions" che nell'utile e bel film di Lewin riceve finalmente gioia dalla terapista sessuale. Talvolta il prostituirsi è episodico: per far fronte ad una emergenza o per comprare una borsa costosa. C'è nel film un piccolo spunto che propone con forza tale interpretazione. Il fratellino di Isabelle che racconta alla sorella senza troppo scandalizzarsi di una ragazzina (12, 13 anni, verosimilmente)che a scuola offre con successo "baci con la lingua" per il prezzo di 5 euro. Come ne La vita di Adele, la coppia uomo/donna sparisce. L'uomo non può dare piacere. Per lui il futuro è l'onanismo o il consumo al mercato del sesso, magari con la donna a mo' di stimolo onanistico (una scena di Giovane e bella). Può apparire un incubo. Ma abbiamo già mercificato tante cose. Affidiamo a parrucchieri la cura dei nostri capelli, a badanti le cura dei nostri vecchi, a necrofori la cura dei morti. Avanti tutta allora verso la riduzione a merce di ciò che sembrava resistere. Già alcune madri - lo abbiamo visto anche in Italia - hanno mostrato di accettare e gradire le risorse inaspettate provenienti dall'avvenenza delle figlie. Ci abitueremo quindi. Ci sembrerà normale.

giovedì 21 novembre 2013

Sardegna, lo sappiamo: non cambierà nulla


Dopo l'ultima devastazione, quella che ha colpito la Sardegna, sento il bisogno di pensare scorrettamente. Per capire. Nell'Italia del Vajont, l'acqua delle dighe, dei torrenti, del mare continua a distruggere e ad uccidere. E, al solito, le parti sono assegnate. Qualcuno dirà dell'imponderabile e dell'incontrollabile forza della natura. Qualcuno parlerà del riscaldamento climatico che spiega il trend di incremento dei disastri: dall'Illinois alle Filippine, alla Sardegna. Per non aver dato l'allarme o averlo dato con scarsa forza, qualcuno accuserà la protezione civile. Altri la Regione o i Comuni. Qualcuno griderà allo sciacallaggio: non si strumentalizzi, oggi cordoglio e lavoro per riparare, dopo si vedrà, etc. Qualcuno inevitabilmente chiederà: non costerebbe meno prevenire? E' questo che voglio capire. Quanto costerebbe prevenire. Non sono convinto che costerebbe meno. Se ciò fosse vero delle tre l'una. O siamo tutti impazziti. O qualcosa – la politica – ha interessi propri diversi da quelli dei citadini. O infine tutti “ragionevolmente” accettiamo il rischio del disastro per non pagare costi maggiori. Escludiamo la pazzia. Ridurre le emissioni che riscaldano i mari? Non si può. Bisognerebbe rinunciare a troppe cose. Ed occorrerrebbe un patto mondiale verso l'austerità giacché una ipotetica singola nazione, ecologicamente virtuosa, nell'agone della competizione globale sarebbe ferocemente punita. Può sembrare che ci si stia provando ad operare tutti insieme – tutti i governi del mondo – per rimuovere le cause dei cambiamenti climatici assassini. Si svolge a Varsavia la conferenza Onu sul clima. Non si apprezzano risultati tranne l'appuntamento a Pargi 2015. Ci si prova, lentamente, molto lentamente, come per dire “qualcosa facciamo” ma intanto, da un appuntamento all'altro, da un protocolo all'altro, la temperatura dei mari continua a crescere. E gli impegni degli Stati vengono rivisti al ribasso. Al ribasso quelli di Australia, Canada e Giappone, ad esempio. Le emissioni crescono, i mari si riscaldano, i ghiacciai si sciolgono perché il saldo netto fra politiche di prevenzione e “normali” pratiche di sviluppo è negativo. Esattamente come per il debito pubblico, magrado questo e malgrado quello. Come svuotare l'oceano con un secchiello. Se non possiamo porre rimedio globale alle cause lontane, potremmo realizzare argini e pretezioni locali. Ma no, pare che non si possa fare neanche questo. La politica, i governi, le amministrazioni locali non possono disinvestire né in armamenti, né in sagre locali, né in favori e scambi. Imporre piani regolatori? Troppi nemici. Rimboschimenti, argini? Troppo costosi. Far pagare i gestori di slot machine? Con molta moderazione. Qualcuno li ha cari probabilmente. Credo infine tristemente che ci sia un consenso diffuso al trend che ci indirizza al disastro. Versate le rituali lacrime e celebrato il doveroso lutto nazionale, altre emergenze prevarrano. E forse ognuno dentro di sé penserà: “d'accordo, è successo, ma chi dice che succederà ancora?” e soprattutto “perché mai dovrebbe succedere a me?” Non appare “pragmatico”, appare irragionevole spendere per rischi ipotetici che difficilmente riguarderanno le generazioni presenti. Comunque pagheranno prima quelli che non possono scegliere dove abitare, dalle Filippine alla Sardegna. Da lì i primi segnali di pericolo. Non sufficienti per modificare modelli di sviluppo e di vita. Continuiamo quindi ad ironizzare sui buontemponi del WWF, di Lega ambiente e di Greenpeace e magari sulla “decrescita felice”. Quando l'acqua lambirà i castelli dell'èlite qualcosa si farà.

venerdì 15 novembre 2013

La moneta, il lavoro o cos'altro: a proposito di Servizio Pubblico del 14 novembre


Bella e difficile la trasmissione di Servizio Pubblico del 14 novembre. Protagonisti soprattutto l'economista Alberto Bagnai e il viceministro per l'Economia Stefano Fassina. Sullo sfondo Grillo. Ma in primis la testimonianza agghiacciante di un ex uomo normale, ora disoccupato. Una testimonianza narrata nell'italiano di uno che non è né analfabeta, né semianalfabeta né analfabeta funzionale. Di uno che non capisce come possa essergli capitato questo: i pasti alla mensa della Caritas e la vergogna cocente a guardare la figlia 22enne. Merito? Demerito? Boh! Leit motiv nello studio il confronto fra le ragioni della macroeconomia e quelle culturali e sociali come spiegazione della crisi. Poi lo scontro virtuale fra Grillo e Fassina sul salario di cittadinanza. Per Alberto Bagnai la crisi nasce nel 1997 con la rivalutazione della lira propedeutica al ritorno al Serpente Monetario Europeo e poi al passaggio all'euro. Tutti gli indicatori peggiorano da quel momento, da quel 1997. Per Bagnai – euroscettico di sinistra – la perdita di autonomia politica e di politica economica conseguente è la conseguenza di quella scelta sbagliata. La metafora è questa : nell'euro siamo come sul Titanic. Eterodiritti e con capacità di manovra ridottissima. Con una barchetta non saremmo finiti contro l'iceberg. Interpretazione fondata? Bagnai fa spallucce sulle spiegazioni di Travaglio e dei giovani brillantissimi italiani migranti. Lotta alla corruzione, alle clientele, meritocrazia? Ma l'Italia che non piace a Travaglio non è nata ora a ridosso della crisi. L'Italia se la cavava benino pur con i suoi mali endemici. Quindi la spiegazione va cercata altrove, in una svolta infelice di politica economica. La macroeconomia e l'infelice rapporto di parità lira/ marco sono a monte del disastro. Santoro e Fassina tentano di mediare: forse le due cause convivono. Mediazione non persuasiva. Penso solo che sarebbe triste se Bagnai avesse ragione. A che pro discutere di istruzione, ricerca, bla bla, bla, se tutto nasce e muore in un colpo solo, in una decisione giusta o in una sbagliata? Poi Grillo e Fassina. Grillo dice cose ragionevolissime sul salario di cittadinanza come esigenza sociale imprescindibile. Ma il contorno è irragionevole. Le macchine che sempre più sostituiscono l'uomo verso un epilogo in cui lavorerà il 10% degli italiani. Più catastrofico del vecchio Ludd della rivoluzione industriale. Insomma con l'invenzione della ruota comincia lo sciagurato processo verso la disoccupazione di massa. E poi è davvero curioso se Grillo così pensa di rafforzare le ragioni del salario di cittadinana. Sarebbe a dire che il 10% dovrebbe lavorare per sé e per un 90% assistito dal salario di cittadinanza? Infatti, Fassina ha buon gioco a ribadire – sbagliando comunque, a mio avviso- le critiche all'Istituto. Il vice ministro ricorda che la Costituziona nel suo articolo 1 vuole la Repubblica fondata sul lavoro. E il lavoro non è solo reddito, ma partecipazione, dignità, cittadinanza. Molto bello. Ma per chi non ha lavoro? Aspettiamo il ciclo economico favorevole che comunque non salverà tutti perché mai tutti sono stati salvati? Insomma è lo scontro a distanza fra due semiragioni, entrambe clamorosamente in torto. Credo che il sostegno al reddito possa e debba essere contestuale alla formazione, al lavoro socialmente utile, alla rimotivazione e all'accompagnamento a nuovi lavori. Ma questo non lo dice né Grillo né Fassina.

domenica 10 novembre 2013

Salernitana-Nocera: il segno della catastrofe


Sarà il malumore per il tempaccio che mi chiude in casa. Ma oggi il Sud mi appare morto, suicidatosi, e l'Italia in ginocchio. Viene proibita (non mi frega niente da chi e perché) la trasferta dei tifosi di Nocera per la partita Salernitana- Nocera. I tifosi della Nocerina, parte dei cittadini di Nocera e di quella Campania invigliacchita che non ha voluto vedere l'arrivo dei veleni che hanno prostrato una regione, con improvviso protagonismo impongono: "la partita non si gioca senza di noi". Per tale causa rischierebbero anche la vita, si capisce. E i giocatori della Nocerina obbediscono. Vili fra i vili, simulano infortuni in campo fino a che la partita è sospesa. Per salvare la pelle? Se è così si squalificheranno i giocatori o la squadra, si commissarierà Nocera, feudo evidente della camorra e della cultura mafiosa? Aspettiamo. Pietà per i giocatori che un giorno dovranno dare spiegazioni ai figli della propria vigliaccheria. E un appello impossibile agli uomini di buona volontà se capiscono che questo è un segno della prossima fine: "smettiamo di dividerci su Grillo o su Renzi, costruiamo insieme l'Italia giusta, coraggiosa, seria e allegra". Scusate: è il maltempo. Mi fa credere che un piccolo episodio rappresenti la catastrofe di cui non ci siamo accorti.

domenica 3 novembre 2013

La vita di Adele: verso la fine della sessualità etero


In sala mormorii di dissenso e di protesta di parte del pubblico. Dissenso e disagio – si racconta – anche delle protagoniste rispetto alle pretese di assoluto realismo del regista. E io stesso a chiedermi se si possa chiedere a un attore di rappresentare un tale livello di intimità senza possibilità di finzione/distacco alcuna. D'accordo, succede già nel porno. Ma nel porno questa è la sostanza, come per il chirurgo prendere in mano le viscere del paziente. L'arte vale tanto più della propria intimità? Domani succederà in nome del realismo che si chieda ad un attore o una attrice di amputarsi una mano? Non lo escludo, se si riterrà di essere partecipi di un capolavoro. Almeno fino a che si crederà nell'autonomia dell'arte. Non è casuale che i due film a più alta intensità erotica – a mio giudizio - degli ultimi anni appartengano allo stesso regista e soprattutto che il regista, Abdel Kechiche, sia un franco-tunisino. L'Occidente e l'Europa si attardano nella rappresentazione di sentimenti banali o, alternativamente, di un porno banale, mentre Kechiche fa intravvedere la fine dell'Occidente come lo abbiamo conosciuto. In Cous Cous la lunghissima danza del ventre dell'immigrata nordafricana salva l'impresa familiare, seducendo il pubblico con la malia di un'arte negata all'Occidente. Nella Vita di Adele alla scommessa per un mondo che riconquisti Eros ed ebbrezza si aggiunge la specifica scommessa lesbica e la scommessa della libertà. Adele è una studentessa liceale della piccola borghesia francese, immersa nella normalità. Alla normalità appartiene l'iniziazione sessuale col coetaneo. E lì la delusione totale. Alla normalità appartiene la bella, implacabile rappresentazione della cattiveria delle compagne ovvero del peggio del femmineo, il bullismo in versione gineceo. Poi l'incontro con Emma e la rivelazione di un'altra possibilità, intensa come una vertigine. Emma appartiene al mondo più emancipato e colto (radical chic?) ove l'accettazione della diversità non è solamente normale o normalmente critica, ma piuttosto prescritta, ritualizzata e banalizzata nelle modalità del politicamente corretto. Questo vi ha letto, credo, l'occhio critico del tunisino Kechiche o almeno questo io leggo. Perché all'autore non interessa l'accettazione, la tolleranza e il politicamente corretto. Kechiche è nutrito dello spirito critico e di rivalsa di un tunisino, ma anche della cultura francese e dalla dottrina del poliamore di Jacques Attali, teoria della fine della coppia e dell'avvento di un erotismo multidirezionale. Nella Vita di Adele il realismo delle scene di Eros appare tutt'altro che gratuito. L'intensità della ricerca tattile e della fusione col corpo dell'altra è tale da suggerire qualcosa di diverso da una semplice alternativa erotica. A me è apparso piuttosto un manifesto apologetico dell'omosessualità o almeno del lesbismo. Vincente sulla meccanicità del rapporto etero e della criticità fallocratica, troppo dipendente da cose caduche e ingovernabili. Sul versante dell'omosessualità maschile avevo annotato nella Storia di un corpo di Daniel Pennac un inciso prezioso. Il nipote prediletto, omosessuale, che spiega al protagonista l'ovvia evidenza della superiorità del rapporto omo che è rapporto con ciò di cui si ha già intimità. Nella Storia di Adele omosessualità o lesbismo, non sono solo naturale alternativa alla vecchia eterosessualità. Piuttosto rivelazione e conquista. Solo un tantino contraddetta dal tradimento etero di Adele che scatena la separazione. Un tradimento che appare però una “distrazione” banale o il breve ritorno al vizio antico dell'eterosessualità. La nuova compagna di Emma ha un figlio nato in una parentesi etero. Probabilmente Kechiche immagina e propone, nell'ambito di quella che chiamiamo “famiglia allargata”, un compromesso possibile fra il piacere omosessuale vincente e le ragioni dell'individuo con le ragioni della procreazione e della specie umana. O anche la possibilità di una separazione definitiva fra la dimensione del piacere e quella della perpetuazione della specie. Quest'ultima magari affidata alle provette e alla tecnologia, previa una tassa su ovulo o seme. Insomma donazione gratuita come servizio alla comunità. O – perché no? - la scoperta che nessuno ci chiede di continuare a perpetuare questa specie. Una ipotesi – immagino – che spaventerà di uno spavento più vero e radicale rispetto alla antica paura del diverso che ancora ci affligge. Già perchè tutti – miscredenti compresi- coltiviamo l'illusione dell'immortalità tramite la nostra discendenza, della specie, se non della famiglia. Ma La vita di Adele ci suggerisce di prepararsi alla fine della illusione. A me lo ha suggerito. La cosa non mi riguarderà per ragioni anagrafiche. Lascio l'appunto a figli e nipoti.