lunedì 21 luglio 2014

Crocetta alla 7: si può essere bravi (forse) e antipaticissimi (sicuramente)


A in Onda sulla 7 Alessandra Sardoni e Salvo Sottile (un apprendista?) conducono perigliosamente l'ennesimo talk show. Stavolta il peggio è rappresentato da Rosario Crocetta. Peggio addirittura della Crudelia Demon (Santanché) che lo precede. Crocetta mi induce addirittura a tifare per Mario Giordano (chi lo avrebbe detto?) che tenta ripetutamente di esaurire se non un argomento almeno una domanda. Il povero Crocetta deve giustificare, come in uso nella cultura della tarda Seconda Repubblica, la sua retribuzione che, per quanto dimezzata a 10.000 euro rispetto ai suoi predecessori, appare forse troppo alta. Poi deve giustificare la super-retribuzione del segretario generale - 600.000 euro - e giustificare questo e quello con l'autonomia dell'Assemblea Regionale e di non so quale altra entità. Nessuno ovviamente si esercita nel semplice calcolo su quante volte i 120.000 euro di Crocetta siano contenuti nei 600.000 del super-burocrate. Forse si tratta di competenze che non si apprendono nella scuola italiana. Ma comunque, peggio che sempre, non si capisce un bel niente. Il povero Crocetta insorge ad ogni accenno di domanda che potrebbe aiutare a capire responsabilità precise o diffuse. E a stento si riesce a sfiorare il tema della inattualità dei privilegi delle Regioni a Statuto speciale. Tema molto importante, ma meno affascinante dei 10.000 euro del Presidente. Giordano riesce a dire che le rappresentanze di tutte le Regioni italiane a Bruxelles andrebbero abolite, non solo quella della Regione Sicilia (che però ospita 5 funzionari in un complesso acquistato di 700 m2). Crocetta non è in grado neanche di capire che quello di Giordano è quasi un assist. Urla che non è stato lui a comprare quella sede. Va bene. Mi resta la preziosa informazione sui 10.000 euro del Presidente. Cosa di consistente si possa tagliare e come non ci è dato invece di sapere. E - per carità - nulla ci è dato sapere sulle cose che conterebbero ancor più della sede siciliana a Bruxelles. Quale politica, quale direzione di sviluppo per la Sicilia. Il tempo è scaduto: pubblicità.

INCENERIRE IL MARITO PER FARNE UN DIAMANTE


Premetto di non averci mai pensato. Che delle mie ceneri si potesse fare un diamante. Poiché sono un cultore della cremazione, l'intesa con mia moglie è che le mie ceneri siano disperse al vento o in mare. Non custodite in un'urna, cosa che non piace a me che sono alquanto claustrofobico e neanche a mia moglie che è alquanto impressionabile. Ma adesso appare un'alternativa sagacemente proposta dalla Ditta Taffo e dalla brillante (???) agenzia di comunicazione al suo servizio che sta riempendo i muri della Capitale. Come spiega il direttore commerciale di Taffo, probabilmente destinato ai vertici dell'Olimpo del management (altro che Marchionne...), le ceneri del contraente (della materia prima) vengono spedite ad una impresa elvetica specializzata che, in qualche mese (non so perché tanto), trasforma il carbonio delle ceneri appunto in diamante. Non sono un esperto di comunicazione, ma azzardo che l'operazione sia più pubblicitaria che di marketing. Immagino che pochi si avvarranno del servizio anche perché scommetto che sia più conveniente per la signora moglie comprare un diamante in un negozio di preziosi piuttosto che pagare l'esosa fattura di Taffo. A parte il valore affettivo (???) ovviamente. Ne parlo però perché se anche la brillante proposta fosse mera pubblicità di marchio, mi sembra indubitabile che il solo pensarla possibile (e reale per qualche “appassionato/a) rappresenti un bel salto in avanti (???). Mi viene da pensare che l'epoca che stiamo vivendo sarà ricordata come quella che portò a compimento la mercificazione totale e abrogò gli ultimi tabù. L'epoca che soppresse definitivamente sentimenti ed emozioni, con le ragazzine che impararono a far sesso una tantum per una borsetta e le mogli che esorcizzarono la paura della morte riducendo il marito in brillante. P.S. Se apparirò critico in questa noticina, sarà segno che non ho comunicato il mio reale pensiero. In realtà guardo con sostanziale indifferenza all'epilogo coerente della filosofia pragmatica e materialistica che ci attraversa.

CINQUE GIORNI A BERLINO


Cinque giorni a Berlino. Senza web per concentrarmi appieno lì. Cosa mi rimane ? 1. La stranezza assoluta di un normale albergo 3 stelle, spartano e pulito, in cui nessuno alla reception ti fa un cenno di saluto, se entri, se esci, se vai in sala per la colazione. Del resto forse anche per questo non c'è la chiave, ma solo il codice per aprire la stanza: evitare perdita di tempo con inutili saluti. 2. La sobrietà incredibile al ristorante durante la finale del campionato del mondo. Tutti con gli occhi incollati ai televisori, comprese le coppie sedute uno di fronte all'altra a guardare a televisori opposti, ma neanche un urletto, solo un isolato applauso al fischio che segna la vittoria. In compenso grande festa giovanile, tutti coi colori nazionali, ma senza esagerare. Con la polizia che consente benevolmente qualche blocco ai semafori. Martedì impossibile accedere per i festeggiamenti alla porta di Brandeburgo e neanche alle postazioni di grandi schermi TV. Moltissimi bambini e al solito moltissime bottiglie di birra. 3. Alexander Platz luogo di ritrovo giovanile, con concertini pop di buona fattura, tutti seduti sui marciapiedi o sull'asfalto. Tranne due ragazze. Siedono protette da fazzoletti bianchi per non sporcarsi. Sono asiatiche. Cinesi? Giapponesi? Qualcosa significa. Da lì verranno ad insegnare costumi igienici all'occidente in crisi? 4. Urbanistica a misura d'uomo e ricca di inventiva, soprattutto a Potsdamer Platz, con l'avveniristica cupola di Sony e ariosa malgrado i grattacieli delle archistar in gara di creatività. Scarso traffico privato. Mezzi pubblici efficienti dove si trova addirittura posto a sedere. Molte, moltissime biciclette. Nessuno vu cumpra. Stranieri integrati - credo - in lavori veri. Molti ubriachi, strafatti di birra e qualche bottiglia rotta. E un po' troppe ragazze con cellulite alle gambe che attribuisco alla birra: disagi dell'abbondanza. Qualche barbone, meno che a Roma. Nella periferia occidentale trovo infine anche accattoni. Somiglianze più che differenze con la mia Roma. Differenze di quantità più che di qualità. La differenza vera mi sembra rappresentata dalle due turiste asiatiche, igieniste. L'Europa si somiglia abbastanza. Ma preme un altro mondo.

mercoledì 9 luglio 2014

BRASILE: L'INFERNO PER UNA SCONFITTA


Debbo farmene una ragione. Mi è più facile capire (capire, non giustificare) la sconcezza di uno stupro o la ferocia idiota del terrorismo e del fondamentalismo. Ma capire le lacrime a dirotto di un intero Paese, il Brasile, gli incendi e le devastazioni per una stupidissima sconfitta nello stupidissimo sport del calcio è al di là delle mie capacità empatiche. Una sconfitta che fa male più di un amore perduto, più di un posto di lavoro perduto. Apprendo che nel '50 la sconfitta ad opera dell'Uruguay nel campionato del mondo costò al Brasile 54 suicidi. Dobbiamo aspettarci una strage? Qualcuno mi aiuti a capire.

venerdì 4 luglio 2014

IL PRIVATO NON CI COSTA NULLA?


Premetto che ritengo ottimale il rapporto 1/10 fra il meno pagato e il più pagato, come suggerivano l'imprenditore Adriano Olivetti e - credo di ricordare - il Presidente della Cina comunista (allora) Mao Tse Tung. Ciò premesso, Floris va alla 7 e così anche il martedì guarderò la 7. Era l'unico giorno in cui seguivo la TV pubblica. Il direttore Rai aveva offerto 600.000 euro annui a Floris. La 7 gli offre 4 milioni per tre anni. Insomma, più del doppio. Che diavolo ci farà Floris con tanti milioni? Beh, di questo si discuta nel capitolo "Il denaro che mai spenderò: la follia del XXI secolo". Del resto Prandelli guadagnerà più di Floris e più di prima (malgrado i recenti insuccessi), trasferendosi in Turchia e nel privato. Molto meno di Mourinho, molto meno di Marchionne. Spero siano tutti felici di contemplare i risultati del loro talento. Del resto, loro, Prandelli, Marchionne e ora Floris non ci costano nulla. Dicono. Così dice il pensiero comune vincente. Noi - i poveri tartassati cittadini - (sono populista quanto basta?) pagavamo il Floris di Rai Tre, come il Prandelli della nazionale. Quello che invece fa la 7 con Floris e il Galatasaray con Prandelli non ci riguarda proprio. Davvero? Davvero i costi del contratto di Floris non si scaricano sui cosiddetti tartassati? Non come imposte visibili. Ma come costi inclusi nelle marmellate che consumiamo al mattino - via costi della pubblicità e dei marchi - direi proprio di sì. Dovrei dimostrarlo? Inutile. Ci costa Floris ingaggiato dalla TV pubblica, come più volte denunciato dal difensore del popolo, Brunetta. Come ci costano i manager pubblici e - perché non dirlo? - gli insegnanti e i medici del settore pubblico. Che infatti l'Italia che cambia verso punisce o tagliando le esagerate retribuzioni o confermando il blocco dei contratti. A me sprovveduto sembrerebbe ragionevole che le retribuzioni del pubblico fossero confrontabili con quelle del privato. E che le une e le altre fossero egualmente "tosate" da imposte autenticamente progressive. Fino ad avvicinarsi all'ideale olivettiano (e maoista) del rapporto 1/10. Magari sarà per il prossimo secolo, appena esaurito il senso comune populista su cui converge la distrazione di massa della destra e l'impotenza della sinistra che offre scalpi invece che giustizia.