Atene era fra le mie innumerevoli lacune. Quelle che cerco di colmare in età matura. Si fa per dire, perché il mio conoscere – come quello di tutti- è fatto di piccoli saperi come piccoli scogli nel mare grande dell'ignoranza. Sono sempre più perplesso sui rituali del turismo: le cose da vedere, i sapori da sentire, etc. Di fatto, sotto il pretesto del turismo canonico, cerco le mie cose e vedo quello che i miei occhi cercano. Una costante per me è il confronto delle capitali con la mia capitale. Quel molto che appare eguale, quel poco che appare diverso: molto o poco diverso. Roma sembra perdere sempre – o quasi - nel confronto, con mio disappunto, in termini di vita urbana. Anche con Atene. Roma perde nettamente nella pulizia urbana. Non ho visto tappeti di cicche ad Atene. Roma perde nei trasporti pubblici. Atene è peggio nei trasporti privati: un'avventura l'attraversamento pedonale con rare strisce pedonali e auto e moto che ti puntano e però frenano in tempo. Atene e Roma eguali nella movida (Plaka e Monastiri come Trastevere e Monti) ed eguale l'adescamento dei buttadentro dei ristoranti e bar. Ad Atene più vistoso, direi. Non sono riuscito a scorgere i segni della povertà diffusa che cercavo. Locali pieni , non solo di turisti. In compenso la povertà estrema – quella dei senza tetto- appare più nettamente. Nelle vie del centro e dello shopping i giacigli di cartone sono numerosi e la gente vi cammina accanto, indifferente. Nelle zone di periferia i senza tetto e giovani tossici condividono gli spazi. Lì – in zona Exarchia, quartiere anarchico o rosso, incontriamo un giovane riverso per terra. Appare senza vita. Ma non lo è – credo. E' circondato da tre poliziotti. Stanno chiamando l'ambulanza, mi pare. Però sono tranquilli e sorridenti. Infatti la persona a me più vicina mi sollecita a chiedere un'informazione. “Non mi sembra il caso” dico io. “Ma sì” dice lei. Obbedisco. Piacevole l'ambiente della piazza e dintorni: lì si avviò la resistenza contro i colonnelli e lì vivono soprattutto studenti e popolo di sinistra, fra graffiti più rudi che altrove e scritte varie su lenzuoli che non riesco ad interpretare malgrado i miei trascorsi studi di greco. Il giorno prima avevamo visitato il quartiere Psyri, raccomandato da una mia figlia “rossa” (rossa più di me). Ambiente “radical” lì, con graffiti più eleganti o meno aggressivi che ad Exarchia . Quando chiedo informazioni su Exarchia, il giovane proprietario mi risponde con una domanda: ”Sei comunista”? “Un poco” rispondo io. Lui si dichiara “capitalista” e nostalgico del Pasok, lo sbiadito partito socialista greco, per intenderci. Dice che la crisi è tutt'altro che finita. Il direttore dell'hotel è più pessimista ancora. Parla un italiano perfetto appreso – dice – con la lettura di Petrarca, Dante, Leopardi, Verga, etc. Se la prende con l'Europa. Dice che un referendum libererebbe la Grecia dalla Ue. Anche se è troppo tardi. “La Grecia è finita, fallita” dice. “Ci hanno tolto anche la possibilità di coltivare il tabacco”. Sarà vero? Dubito. Però ammette, a mia domanda, qualche responsabilità dei greci , a partire dagli armatori. Ride di Tsipras e Varoufakis quando li nomino. Nondimeno il pessimismo convive con uno smisurato orgoglio nazionale. A proposito della lingua, ad esempio, che – sottolinea il mio interlocutore - sarebbe rimasta eguale, mentre altrove – Italia compresa- è diventata altra cosa. Mi ricorda la rivendicazione di Pericle che nel discorso famoso sull'orgoglio ateniese che qui facemmo nostro – ricordate? - in funzione antiberlusconiana, diceva che Atene – a differenza di Sparta – aveva avuto sempre una popolazione autocna. Già, ma cosa accomuna gli antichi ateniesi ai moderni abitanti di Atene, a parte, se è vero – la lingua? Ho visitato l'Acropoli naturalmente. Stupenda con il Partenone che ancora aspetta gli vengano restituiti i fregi “rapiti” dagli inglesi e visibili al British. Ai piedi dell'Acropoli ho trovato a fatica l'antica Agorà. Era proprio qui che si riuniva il popolo della minoranza libera e non immigrata per fare politica. Dovevano essere pochi i liberi ed attivi per stare in così poco spazio. Più estesa l'Agorà Romana, presso la libreria di Adriano, l'imperatore umanista e filoellenico (anche nel suo amore per il giovane Antinoo). Bellissimi, più di quelli del museo nazionale, gli spazi aperti del museo dell'Acropoli,. Lì in veranda, col Partenone davanti, ho consumato il caffè più suggestivo della mia vita. Ad Atene, in quella antica e dei musei, ho verificato la presenza forte della dea della città, Atena della sapienza e Atena, Nike, della vittoria. Bisogna prenderne atto. Sono le entità – persone o dei, più che astratti “partiti”- a indicare mete e definire identità. Atena allora ad Atene come oggi il Che a Cuba. Atena di cui mi innamorai da giovane quando la vidi al Teatro Greco di Siracusa, nelle Eumenidi di Eschilo, scendere sul palcoscenico – deus ex machina – a risolvere l'irrisolvibile dilemma tragico sul destino di Oreste. Il giovane figlio di Agamennone che sarebbe stato colpevole se non avesse vendicato il padre assassinato e che era invece colpevole di avere ucciso la madre per vendicarlo. Senza scampo comunque. Come oggi io vedo la storia a noi davanti, non so se influenzato dallo sguardo di Eschilo. Ecco la mitica Atena che scioglie il nodo. “Oreste, ti ferirai il polso; fluirà un filo di sangue. E questo mi basterà”. Ancora oggi io cerco il deus ex machina.
Allontanandomi di Atene infine faccio una escursione all'isola di Egina che scopro essere stata per breve tempo capitale nella Grecia liberata, agli inizi dell'ottocento. Visito la chiesa ortodossa e poco altro. Mangio la migliore Mussaka e trovo i migliori pistacchi del mondo. L'isola vive solo di turismo e pistacchio. La cosa più interessante è forse l'amicizia trovata con tre donne, turiste con cui ci imbattiamo facendo i biglietti per la traversata: madre e figlia del Nicaragua e residenti in California, come un'amica messicana. Madre e figlia fuggite dal Nicaragua all'avvento dei “comunisti” (cioè dei sandinisti) mi racconta la madre. Che poi aggiunge una nota di nostalgia per la Spagna (ordinata e sicura, dice) di Franco. Ri-scopro che i reazionari possono essere simpatici. Mi ritrovo peraltro nella fantasia della figlia che coltiva il progetto di un viaggio da sola. E' vero: in compagnia non vedrai mai esattamente quello che cerchi. Infatti penso da tempo ad un viaggio per riscoprire (o scoprire) da solo la mia Sicilia. Tanto simile alla Grecia: nelle facce, nei panorami, nei sapori, nel calore.
Il più bel tramonto del mondo – così dicono- vado a cercarlo a Capo Sounion, estrema punta dell'Attica, col tempio di Poseidone (circa 440 A.C.). Nelle acque sottostanti si buttò, suicida, Egeo, che vide le vele nere, segno di morte, alzate per errore dal figlio Teseo. Paesaggio di grande bellezza. Ma non facciamo in tempo a celebrare il tramonto. Urge tornare ad Atene per non restare senza tetto. Con in mezzo un contrattempo che appare piccolo solo ora. Sul viottolo che dal tempio ci porta alla taverna, una serpe passa sul piede della persona a me più vicina. Urlo di lei e poi mio. “Ti ha toccato? Ti ha morso”? “Toccato sì, morso non so”. Panico. Era una biscia o una vipera? Poi tutto passa. Non ci sono segni di morso.
In aereo, al ritorno, mi ritrovo vicino la quasi novantenne Luciana Castellina. Perché lo dico? Perché sento quella presenza malandata come simile all'irrecuperabile fascino di Atena con le statue sfregiate o amputate: con la malinconia dei sogni che facemmo.
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