domenica 19 gennaio 2020

Scelgo Berlinguer


Lo scelgo contro quelli che oggi scelgono Craxi. Fra questi il sindaco di Bergamo, Gori, figura eminente del PD. In una intervista di ieri dice: "Berlinguer era l'uomo dell'austerity, il segretario che per superare la crisi proponeva di ridurre i consumi. Ma ci rendiamo conto? Ridurre i consumi!". A parte tutto il resto, dapprima io resto sbalordito per lo sgomento evidente di Gori. Ma poi me ne faccio una ragione. In effetti l'austerità nel dibattito politico e nel senso comune è diventato una parolaccia. Ed il senso comune della cattiva economia ha attecchito a destra e a sinistra. Dopo Craxi il governo Berlusconi nella "pubblicità istituzionale" - ricordate?- invadeva gli schermi con uomini e donne pieni di pacchi che ricevevano un grazie caloroso perché così aiutavano l'economia a crescere". Ed anche a sinistra ho sentito più volte predicare salari più alti, non già perché giusti, non già perché doverosi per i lavoratori, bensì perché utili per l'economia. Sì, un po' tutti contro l'austerità, un po' tutti per i consumi che farebbero crescere il lavoro, un po' tutti per il cemento, un po' tutti per l'Ilva (con un pochino di veleni in meno), un po' tutti per la crescita del debito pubblico (purché chiamato "flessibilità" e sovranità nazionale). Con un surplus di ipocrisia nella sinistra che rinnega l'austerità di Berlinguer e però fai i complimenti a Greta. No, l'austerità di Berlinguer non voleva affamare i lavoratori. Voleva far dimagrire gli obesi con le seconde case e le seconde barche. Senza escludere che anche i lavoratori si liberassero del loro consumismo, quello delle trasferte con la squadra del cuore, del gratta e vinci, dei pasti untuosi di Mc Donald. Il No al consumismo significava investire in ciò che non inquina: in cultura, bellezza, amore, pace. Senza rinunciare ad un panino al prosciutto. Io resto con Berlinguer.

giovedì 16 gennaio 2020

Hammamet: Favino come Craxi, cioè come chi?


Il film di Amelio, insieme all'imminente ventennale della morte di Craxi, sta stimolando riflessioni sul leader socialista. Non trovo però né nel film né nelle riflessioni sulla nostra Storia di fine secolo scorso punti di vista originali. Forse non possono esserci. Craxi resta per gli estimatori un grande statista riformista e l'uomo che a Sigonella difese la sovranità nazionale contro l'invadenza Usa. Per i detrattori resta l'uomo che ruppe col Pci, uomo dall'ego spropositato, disinvolto praticante del finanziamento illegale alla politica, nonché personalmente corrotto, e infine il Presidente del Consiglio che contrastò gli americani per liberare un assassino. Per me è soprattutto il governante che diede via libera a Berlusconi e alla Tv privata, operazione con la quale una pedagogia morbosa da guardoni prese ad intossicare il Paese. Infine è la levatrice del leaderismo di Berlusconi, Renzi, etc.
La maggior parte delle parole spese commentando il film di Amelio riguarda la straordinaria operazione mimetica realizzata da Favino. Identico a Craxi nei lineamenti, nella postura, nelle movenze, nei toni. Bene. E quindi? Il nocciolo estetico di Amelio è nella descrizione di un declino, in parte il naturale declino di ogni uomo che invecchia e si ammala, in parte il declino più difficile da accettare per chi è stato lungamente rispettato o temuto. Favino mi è piaciuto, più che nella sua talentuosa operazione mimetica, ieri alla "Vita in diretta" quando ha tirato in ballo Shakespeare, alludendo a Re Lear. "Ci identifichiamo in un re che perde tutto, potere ed affetti; sentiamo che se succede ai re, può succedere a chiunque".
Verosimile che attorno al re decaduto restino, oltre al nipotino, donne adoranti o passive: la figlia e l'amante diversamente adoranti e la moglie paziente che non chiede nulla. Probabilmente il film avrebbe avuto maggiore compattezza ed efficacia senza interpolazioni fantasiose alla storia vera. Quel che soprattutto succede con l'ingresso nel film del giovane figlio di un protagonista e vittima di tangentopoli.
Concludo ricordando la mia vacanza ad Hammamet nell'estate del 99, contemporanea quindi agli ultimi giorni di Craxi. La nostra guida era un tunisino laureato in sociologia a Trento. Si divertiva un mondo insultando Craxi, anche passando in bus accanto alla protetta dimora. "Qui vive il delinquente vostro ex Presidente". Ricordo la mia irritazione, benché personalmente fossi tutt'altro che vicino all'ospite di Hammamet e di Ben Alì". Successe poi che io – a mio modo – replicai durante la visita alle rovine di Cartagine. "Come si spiega questa moderna ed imponente villa presidenziale sulle rovine"?
E lui: "A noi non piace scherzare su queste cose". Appunti per una storia del troppo frequente uso privato della responsabilità politica. Non solo in Italia e non solo in quegli anni..

sabato 11 gennaio 2020

Loach, più terribile che mai


Ho letto critiche straordinariamente coincidenti nell'apprezzamento dell'ultimo Loach, quello di "Sorry we missed you". Un mio contributo non può che essere in qualche digressione un po' al di là del film e in qualche distinguo rispetto alla narrazione dell'autore. Ad esempio non riesco a condividere il relativo ottimismo dell'autore sulla solidità dell'istituto familiare che nel film appare infine salvarsi mentre il resto va a pezzi. Ken Loach narra lo scempio di vite stritolate dalla gig economy. Lo fa dopo avere esplorato accuratamente, con il suo sceneggiatore (Paul Laverty), quel mondo e dopo aver trovato gli interpreti ideali per rappresentare persone normali: a partire da Kris Hitchen, il protagonista, e Debby Honeiwood, coprotagonista, interpreti che, pur essendo attori, non fossero attori noti perché ciò non avrei facilitato l'empatia con i personaggi. Interpreti lontani dai divi holliwoodiani e dagli eredi dell'Actors Studio con le loro vistose smorfiette. Una scelta vicina a quella del neorealismo che spesso preferì interpreti presi dalla strada. Nel film la nuova economia è l'inganno del lavoro fintamente autonomo di trasportatori, liberi di impiccarsi con le proprie mani, scegliendo i ritmi più incalzanti delle consegne. Liberi di scegliere il furgone più grande e più costoso, liberi di scegliere se curarsi o rischiare la vita per non subire sanzioni economiche insostenibili, liberi di scegliere fra un figlio a rischio e il lavoro. Il film è anche la storia di una famiglia. Con lei – la moglie - che sacrifica se stessa per consentire l'avventura lavorativa di lui, lei badante-infermiera a domicilio che rinuncia, come sono abituate a rinunciare le donne, alla sua auto perché lui possa comprare il furgone. Chi potrebbe fare diversamente da quanto fa? Non potrebbe fare diversamente il protagonista che ha perduto il suo lavoro di operaio subordinato. Non può fare diversamente l'aguzzino che gestisce per conto degli occulti proprietari la squadra dei liberi schiavi. Non potrebbe perché se rinunciasse ad applicare pesanti sanzioni a chi scegliesse moglie e figli rispetto alla puntualità delle consegne, i conti societari ne soffrirebbero ed egli perderebbe il posto di caporale, posto ingrato, ma meno ingrato del posto di corriere. Non potrebbero fare diversamente probabilmente il dirigente ed il padrone occulto. Se scegliesse un caporale più “umano” l'amministratore delegato dovrebbe rispondere di minori profitti e sarebbe licenziato. E se non fosse licenziato la società rischierebbe il fallimento per la concorrenza di altre società più spregiudicate. Insomma, lo spazio riformista nella gig economy e forse nella nuova economia tout court è minimo. Dico nella economia tout court perché anche le acciaierie e chi nelle acciaierie lavora deve sceglere fra inquinare, uccidere, essere ucciso o fallire e morire. Lo stesso per le cooperative ed i piccoli imprenditori in gara per gli appalti. Anzi mi aspetterei un Loach che esplori anche i drammi dei piccoli padroni. La differenza con la gig economy è solo che qui l'ingranaggio appare del tutto spersonalizzato, regolato dagli implacabili e “razionali” algoritmi chiusi nello smartphone da cui il corriere è guidato e spiato e che non conosce umanità. Troppo complicato, troppo discrezionale, troppo irrazionale, sarebbe tener conto di mogli sole, di sorelle impazzite o di figli drogati. Quel che facciamo più fatica ad ammettere è però che le stesse persone spremute e schiavizzate come lavoratori ricevono in cambio il dono malsano dei consumi a basso prezzo che consentono di avere l'ultimo imperdibile aggeggio elettronico, la maglietta col logo, la pizza con ingredienti low cost a domicilio. In cambio della perdita di affetti, dei figli perduti nei mondi misteriosi e inaccessibili delle loro chat, di momenti conviviali, dello scambio di auguri col negoziante vicino, possiamo trovare l'intera offerta filmica (forse non c'è Loach però) nella multisala a qualche kilometro da casa e fare una vacanza prima impossibile affittando una stanza lì nel centro della città ormai abbandonata dai vecchi residenti. Anche su questo scambio malsano l'insostenibile sistema si sostiene, additandoci magari ogni tanto l'orrore delle economie pianificate e illiberali o irridendo alla decrescita felice. Giusto per ricordarci che non c'è scampo e l'alternativa sarebbe un inferno peggiore. Come la penso su questo, andrebbe troppo oltre ad un commento al film di Loach. E comunque è intuitivo: dobbiamo costruire l'alternativa o perire.