sabato 11 gennaio 2020

Loach, più terribile che mai


Ho letto critiche straordinariamente coincidenti nell'apprezzamento dell'ultimo Loach, quello di "Sorry we missed you". Un mio contributo non può che essere in qualche digressione un po' al di là del film e in qualche distinguo rispetto alla narrazione dell'autore. Ad esempio non riesco a condividere il relativo ottimismo dell'autore sulla solidità dell'istituto familiare che nel film appare infine salvarsi mentre il resto va a pezzi. Ken Loach narra lo scempio di vite stritolate dalla gig economy. Lo fa dopo avere esplorato accuratamente, con il suo sceneggiatore (Paul Laverty), quel mondo e dopo aver trovato gli interpreti ideali per rappresentare persone normali: a partire da Kris Hitchen, il protagonista, e Debby Honeiwood, coprotagonista, interpreti che, pur essendo attori, non fossero attori noti perché ciò non avrei facilitato l'empatia con i personaggi. Interpreti lontani dai divi holliwoodiani e dagli eredi dell'Actors Studio con le loro vistose smorfiette. Una scelta vicina a quella del neorealismo che spesso preferì interpreti presi dalla strada. Nel film la nuova economia è l'inganno del lavoro fintamente autonomo di trasportatori, liberi di impiccarsi con le proprie mani, scegliendo i ritmi più incalzanti delle consegne. Liberi di scegliere il furgone più grande e più costoso, liberi di scegliere se curarsi o rischiare la vita per non subire sanzioni economiche insostenibili, liberi di scegliere fra un figlio a rischio e il lavoro. Il film è anche la storia di una famiglia. Con lei – la moglie - che sacrifica se stessa per consentire l'avventura lavorativa di lui, lei badante-infermiera a domicilio che rinuncia, come sono abituate a rinunciare le donne, alla sua auto perché lui possa comprare il furgone. Chi potrebbe fare diversamente da quanto fa? Non potrebbe fare diversamente il protagonista che ha perduto il suo lavoro di operaio subordinato. Non può fare diversamente l'aguzzino che gestisce per conto degli occulti proprietari la squadra dei liberi schiavi. Non potrebbe perché se rinunciasse ad applicare pesanti sanzioni a chi scegliesse moglie e figli rispetto alla puntualità delle consegne, i conti societari ne soffrirebbero ed egli perderebbe il posto di caporale, posto ingrato, ma meno ingrato del posto di corriere. Non potrebbero fare diversamente probabilmente il dirigente ed il padrone occulto. Se scegliesse un caporale più “umano” l'amministratore delegato dovrebbe rispondere di minori profitti e sarebbe licenziato. E se non fosse licenziato la società rischierebbe il fallimento per la concorrenza di altre società più spregiudicate. Insomma, lo spazio riformista nella gig economy e forse nella nuova economia tout court è minimo. Dico nella economia tout court perché anche le acciaierie e chi nelle acciaierie lavora deve sceglere fra inquinare, uccidere, essere ucciso o fallire e morire. Lo stesso per le cooperative ed i piccoli imprenditori in gara per gli appalti. Anzi mi aspetterei un Loach che esplori anche i drammi dei piccoli padroni. La differenza con la gig economy è solo che qui l'ingranaggio appare del tutto spersonalizzato, regolato dagli implacabili e “razionali” algoritmi chiusi nello smartphone da cui il corriere è guidato e spiato e che non conosce umanità. Troppo complicato, troppo discrezionale, troppo irrazionale, sarebbe tener conto di mogli sole, di sorelle impazzite o di figli drogati. Quel che facciamo più fatica ad ammettere è però che le stesse persone spremute e schiavizzate come lavoratori ricevono in cambio il dono malsano dei consumi a basso prezzo che consentono di avere l'ultimo imperdibile aggeggio elettronico, la maglietta col logo, la pizza con ingredienti low cost a domicilio. In cambio della perdita di affetti, dei figli perduti nei mondi misteriosi e inaccessibili delle loro chat, di momenti conviviali, dello scambio di auguri col negoziante vicino, possiamo trovare l'intera offerta filmica (forse non c'è Loach però) nella multisala a qualche kilometro da casa e fare una vacanza prima impossibile affittando una stanza lì nel centro della città ormai abbandonata dai vecchi residenti. Anche su questo scambio malsano l'insostenibile sistema si sostiene, additandoci magari ogni tanto l'orrore delle economie pianificate e illiberali o irridendo alla decrescita felice. Giusto per ricordarci che non c'è scampo e l'alternativa sarebbe un inferno peggiore. Come la penso su questo, andrebbe troppo oltre ad un commento al film di Loach. E comunque è intuitivo: dobbiamo costruire l'alternativa o perire.

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