Se dovessi tentare di dire tutto ciò che penso ovvero i miei dilemmi, la mia difficoltà a leggere, interpretare e dire la complessità come la sento, i miei post sarebbero illeggibili. Dovrei premettere un "forse" ad ogni cosa che dico. Sono sicuro solo di questo: se non si sceglie la guerra di tutti contro tutti, non esiste diritto alcuno ad essere titolari di felicità, per il luogo in cui si è nati o per chi ci ha generati. Credo invece che abbiamo tutti eguale diritto alla felicità. Tutti la stessa felicità e tutti il massimo possibile. Ma qui è già il problema: nel rapporto fra eguaglianza e massimo. Quelli che la pensano diversamente da me, a Destra, ritengono che il “massimo” sia incompatibile con l'eguaglianza. La competizione e l'ineguaglianza – dicono - producono il massimo medio (Pil pro-capite e felicità pro-capite). A Sinistra spesso entro in conflitto con chi invece ritiene l'eguaglianza il solo obiettivo, a maggior ragione se intende solo l'eguaglianza economica e mette fra parentesi malattia e salute, solitudine e solidarietà. Ma il conflitto è anche nella frequente indifferenza al quanto. Per semplificare, indifferenza all'efficienza, alla produttività che io invece voglio inglobare nell'orizzonte socialista. Anche la scelta della “decrescita felice” per me richiede efficienza: per combattere spreco e per contenere, se si vuole, il tempo del lavoro e della fatica. Invece efficienza e austerità sono state categorie consegnate alla Destra, la prima da esaltare, la seconda da squalificare.
Sotto sotto l'eguaglianza predicata dai miei interlocutori a sinistra è spesso eguaglianza solo dei nostri simili: occidentali, ceto medio garantito. Perciò c'è talvolta in loro un eccesso di realismo ovvero di arrendevolezza sui diritti e i bisogni degli altri, migranti, senza tetto, disabili, deboli in genere. L'impegno pare essere quello di tenere saldi i nostri diritti di occupati dipendenti (l'art. 18 è l'esempio più facile): gli altri vi accederanno un giorno, quando lavoreranno, se lavoreranno. Intanto ricevano la nostra simpatia e la nostra sterile solidarietà. La ridefinizione delle protezioni in senso universale è cosa che i garantiti di sinistra guardano con sospetto. Anche se molti (o alcuni), che si dicono comunisti auspicano la Rivoluzione che cambierà tutto. Auspicano e basta. Non credono veramente che avverrà né sanno quale contributo dare al suo avverarsi. Sono paghi di insultare i fascisti, inveire contro i padroni ed i politici senza falce e martello. Nient'altro. Sono paghi di avere ragione. Non posso stare con loro. Io tengo fermo l'orizzonte della massima felicità universale, con strumenti che da subito combattano il dolore e trattino ogni uomo come fratello e con narrazioni persuasive.
Sotto sotto l'eguaglianza predicata dai miei interlocutori a sinistra è spesso eguaglianza solo dei nostri simili: occidentali, ceto medio garantito. Perciò c'è talvolta in loro un eccesso di realismo ovvero di arrendevolezza sui diritti e i bisogni degli altri, migranti, senza tetto, disabili, deboli in genere. L'impegno pare essere quello di tenere saldi i nostri diritti di occupati dipendenti (l'art. 18 è l'esempio più facile): gli altri vi accederanno un giorno, quando lavoreranno, se lavoreranno. Intanto ricevano la nostra simpatia e la nostra sterile solidarietà. La ridefinizione delle protezioni in senso universale è cosa che i garantiti di sinistra guardano con sospetto. Anche se molti (o alcuni), che si dicono comunisti auspicano la Rivoluzione che cambierà tutto. Auspicano e basta. Non credono veramente che avverrà né sanno quale contributo dare al suo avverarsi. Sono paghi di insultare i fascisti, inveire contro i padroni ed i politici senza falce e martello. Nient'altro. Sono paghi di avere ragione. Non posso stare con loro. Io tengo fermo l'orizzonte della massima felicità universale, con strumenti che da subito combattano il dolore e trattino ogni uomo come fratello e con narrazioni persuasive.
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