Cosa hanno conservato di quel che erano 40 anni fa i terroristi arrestati in Francia? Scommetto che non conservano nulla. “Non ci si bagna due volte nelle stesse acque” sentenziava il filosofo Eraclito. Incontrovertibile, credo. Non solo i terroristi, nemmeno io sono eguale a quel che ero 40 anni fa. Benché più somigliante a quel lontano me stesso di quanto non lo sia Pietrostefani (organizzatore dell’assassinio del commissario Calabresi). Lui è cambiato di più perché il colore della sua mente è cambiato di più. Ma allora si vogliono condannare e punire persone che non esistono più? E’ una questione complicatissima che si può sciogliere solo con l’accetta. Anche gli stupratori presunti di quella maledetta villa in Sardegna non sono più quelli di due anni fa. E anche l’omicida preso da un “raptus” d’ira non è lo stesso dopo pochi minuti. Allora, se ha ragione Eraclito, liberi tutti? Oppure, malgrado Eraclito, nessun libero?
I nostri pensieri, la nostra personalità, cambiano talvolta totalmente nel tempo, mentre la materia che costituisce il nostro corpo è sicuramente diversa totalmente. Però c’è l’Io, quella funzione psichica (o cos’altro) che pare assicurare e governare la continuità. Per quell’Io diciamo che quel brigatista è sempre lui anche se rinnegasse tutto il suo passato.
Non solo si può cambiare totalmente nel tempo. Nello stesso tempo, nella stessa persona, convivono spesso persone diverse: sono degli Io indivisibili per nessi imperscrutabili. Lo dice molto bene, con una intelligenza ed una empatia straordinarie, oggi Gemma Calabresi, moglie del commissario ucciso, spiegando al figlio giornalista il senso del suo perdonare. “Quel terrorista, quell’assassino, non è e non era solo un assassino. Forse era o è anche un padre affettuoso e tante altre cose”. Ha ragione Gemma Calabresi. In certo modo sembrano aver ragione anche gli intellettuali (Adriano Sofri, Oreste Scalzone, etc.) che oggi si indignano per quegli arresti, tanti anni dopo. Con la differenza che non provano eguale empatia per le vittime e per la sofferenza dei familiari, direi per inciso. Insomma nella mia mente le ragioni di Eraclito sono ben presenti. Come sono presenti le ragioni delle filosofie deterministiche che escludono libertà e responsabilità. Ed anzi spesso sorrido dell’arbitrio del diritto e della psicopatologia forense, per cui si può assolvere un omicida perché incapace di intendere e di volere. Perché mai un raptus, effetto magari di chimica del cervello o di sostanze, dovrebbe assolvere e non assolvere invece una storia di violenze subite o di “mala educazione” (come quella, ad esempio, del pargolo di un ricco comico con villa in Sardegna). Perché non dovrebbe assolvere (o essere un’attenuante) avere la sfortuna di ereditare una fortuna?
Ecco, sembrerà che io sia fautore dell’indulgenza e del liberi tutti. Invece è il contrario. Nella mia mente le ragioni della politica della convivenza spazzano via le ragioni della filosofia. Penso che la convivenza sarebbe impossibile se non fingessimo la responsabilità e la libertà, insieme alla continuità e permanenza dell’Io. Senza quella che chiamo “utile finzione” sarei autorizzato di fatto ad ogni delitto. Anche se mi si chiedesse il pentimento per essere assolto. Anche se mi si chiedesse un pentimento sincero, esplorato non so come. Potrei rubare, stuprare, uccidere, programmando (o fidando in) un futuro pentimento. Perciò è utile ed è indispensabile che la persona che oggi insegna italiano o fa applaudite conferenze a Parigi risponda di quella persona di 40 anni fa che programmò l’uccisione di un commissario o assassinò con le sue mani un servitore dello Stato. Senza dimenticare la portata rieducativa - oltre che deterrente - della pena e "premi" equilibrati al ravvedimento, nella misura in cui il ravvedimento è accertabile.