Molti segnali suggeriscono la crisi grave dei discorsi politici e dei discorsi tout court. Oliviero Beha – nel suo blog su I Nuovi Mostri – lo scorso 11 novembre, in un pezzo dal titolo “Se faccio il nome di Berlusconi s’aizza la canizza” sembrava esterrefatto per le risposte ricevute ad un precedente intervento. Come se l’interlocutore si fosse limitato a leggere un nome, prescindendo da tutto il resto, per scatenarsi in una reazione che non teneva conto delle argomentazioni cui avrebbe dovuto replicare. Uno fra i segnali della crisi dei discorsi. Del resto, mi pare, l’ultimo discorso politico è stato il programma dell’Unione di Prodi del 2006, con le sue 281 pagine che pochissimi lessero e che non bastarono a tenere compatta la maggioranza vincente. Da allora, “melodie”, “narrazioni” e “facce”.
A Silvio Berlusconi dobbiamo la scoperta e l’invenzione delle facce e delle narrazioni: “scoperta” perché non sapevamo prima quanto contassero; “invenzione” perché lui le ha rese decisive.
Luisella Costamagno e Luca Telese, il 6 novembre a In onda realizzano il consueto stratagemma di sinistra: opporre alla destra italiana e berlusconiana l’opinione di un uomo non omogeneo alla sinistra, possibilmente classificabile di destra, possibilmente straniero, possibilmente autorevole. Il serbatoio è sterminato ed il gioco è facile, ma è il segno di una perdita di egemonia della sinistra: il riconoscimento che i suoi argomenti non possono essere vincenti per la loro forza argomentativa. Lo sono se provengono da “insospettabili”. In questo caso i giornalisti si servono di Bill Emmott, già direttore di “The economist” ed autore dell’etichettatura di Berlusconi come “unfit” (inaffidabile). Il giornalista naturalmente non delude le aspettative dello studio, con critiche a Berlusconi che è inutile ripetere. Come risponderà Alessandro Sallusti? Questo è interessante. Sallusti sorride come sa sorridere lui. Un po’ come Belpietro, un po’ come Cicchitto, un po’ come Bondi. Ci siamo capiti. C’è una fisiognomica dei berlusconiani, degli alieni. E’ razzismo lombrosiano o antropologia di buon senso? Comunque il discorso sulle facce che io uso come contorno, magari subendo il nuovo senso comune, per “loro” può essere addirittura l’unico criterio di valutazione. Come replica Sallusti a Emmott? Bofonchia qualcosa. “E’ un tipo strano…Ora si capisce perché gli piace Vendola”. Tutti crediamo di capire che c’è una allusione all’omosessualità di Vendola, dichiarata, e a quella di Emmott, percepita da Sallusti. Non saprei giurare di aver capito da cosa. Forse da un fiore all’occhiello della giacca. Poi, dopo questa spiazzante critica, c’è un riferimento al fatto – orrore! – che i professori critici verso Berlusconi quando sono invitati da un politico di sinistra (Vendola), prendono soldi per fare conferenze. Che volete? Ci sono stereotipi di sinistra e stereotipi di destra. Quello del look “strano” e quello degli intellettuali che si fanno pagare è un consolidato stereotipo di destra. Evidentemente i sondaggi ne avranno certificato l’efficacia..
A Ballarò del 9 novembre è Bondi a esercitare il suo talento nella distruzione di un discorso politico delegittimando la faccia che lo pronuncia. Qui è la sociologa Chiara Saraceno, intervistata da Berlino. L’operazione di delegittimazione è più facile perché la Saraceno non è straniera e non è di destra: è solo una intellettuale. Come risponderà quindi Bondi alla Saraceno che dice della pessima immagine all’estero di Berlusconi e del suo governo? Niente di più facile. “Lei, professoressa, è chic…radical chic…di sinistra” Non c’è altro da dire. Non è il caso certamente di rispondere ad argomenti con argomenti. Bondi non è una persona intelligente (bella scoperta!), però è una persona furba, capace di parlare alla pancia della sua gente. Dice “chic” prima di affibbiare l’etichetta distruttiva, ma magari un po’ consunta di “radical chic”. Perché è sull’essere “chic” che deve stimolare la bava della sua gente, del popolo che “non mangia cultura”. In cosa Chiara Saraceno merita quell’appellativo “infamante”? Ha capelli corti e un taglio semplice. Non scorgo gioielli. Indossa due maglioncini, un golf su un collo alto, su diversi sfumature di rosa. Io avrei definito il suo aspetto “sobrio” Non ha la pettinatura “complessa” della Santanchè né i labbroni della Mussolini. “Chic” forse è sinonimo di “sobrio”. Anzi lo è certamente, pur spiazzandomi il premier, utilizzando ieri paradossalmente - proprio lui -il termine per invitare i suoi a litigare di meno.
Temo che dovremo imparare a ragionare di questo. Non è tempo di programmi per la politica. Per adesso. E’ tempo di facce. Bisognerà offrire le facce giuste ad un popolo involgarito dall’impero mediatico. Il popolo berlusconiano ha individuato giustamente nella sobrietà una caratteristica tipica della sinistra vissuta come la parte dei ricchi, come dicevano i ragazzi di “Caterina va in città” e con qualche ragione. Qualche. Il blocco berlusconiano è infatti costituito prevalentemente da plebe, corteggiata da uno strato di spregiudicati affaristi che coi suoi consumi lussuosi riesce a far credere di stimolare economia e occupazione. Tale mito o “narrazione” è sostanzialmente subito a sinistra. Sicché la Santanché può impavidamente esaltare l’opera sociale del Billionaire appartenente al pregiudicato Flavio Briatore che con le ostriche e lo champagne dei suoi ricchi avventori garantisce il lavoro di decine di cuochi, camerieri e ragazze immagine. Al contempo Fazio, Benigni e Saviano debbono con imbarazzo difendere i loro contratti perché loro no, quelli di sinistra non producono lavoro, la cultura non si mangia e comunque, essendo di sinistra, non debbono avere retribuzioni superiori ad un metalmeccanico. Praticamente lo dice anche il parlamentare Pd Boccia, parlando di danarosi intellettuali da salotto convenuti allo sciopero della Fiom a Roma. E non si accorge che Berlusconi e il popolo degli affaristi gli suggeriscono il copione.
Facce quindi e, al più, qualche insulto, come quel “vada a farsi fottere” di D’Alema a Sallusti che sollevò per un attimo il morale del popolo di sinistra e – quasi – un ritorno di stima per un leader inviso.
Non per niente il conflitto Carfagna- Mussolini diventa irrimediabile quando la prima apostrofa la seconda napoletanamente “vajassa”: donna dei “bassi” – sguaiata, volgare, incline al pettegolezzo e alla rissa”. Il divorzio dalla Mussolini è quindi la rottura con la nuova plebe dal viso rifatto e dalle meches improbabili. Sappia la Carfagna incontrare, sobrietà, cultura e popolo contro le devastazioni antropologiche della nuova destra. Gli interventi recenti del ministro delle Pari Opportunità contro le circolari dei sindaci leghisti, stupidamente vessatori verso gli immigrati, lasciano ben sperare. Osserverei però al ministro: non si può contestare con linguaggio sguaiato una persona sguaiata. Quando lo avrà capito le darò il benvenuto nella casa della sobrietà e della democrazia.*
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