lunedì 21 ottobre 2013

Gli stupratori "di buona famiglia"


Si apprende adesso di una ragazzina sedicenne stuprata nella civilissima Modena da cinque "amici" fra i diciassette e i diciotto, nel corso della solita festa a base di superalcolici. Omertà e silenzio allora fra gli amici non attivi nello stupro, ma attenti evidentemente a non rischiare l'emarginazione opponendosi allo scempio. Omertà perdurante. Gli stupratori dichiarati nei verbali - udite, udite - "di buona famiglia". Cioè - immagino - appartenenti alla classe sociale di imprenditori, professionisti, etc. cui quasi sempre è risparmiata pena e galera. Perché il malsano senso comune è pronto a trovare giustificazioni a bizzeffe per i delitti dei colletti bianchi. Che poi schierano i più brillanti avvocati in difesa dei figli e delle loro "ragazzate". Loro, i padri, se evadono o frodano il fisco, sono da ringraziare perché comunque danno tanto e danno troppo. Se inquinano, danno comunque lavoro, e meritano di essere tutelati dai giudici sovversivi. Se comprano la freschezza di una minorenne si deve tener conto che la ragazzina dimostrava diversi anni di più. Alla faccia del formalismo che si attacca all'anagrafe. E le mogli e madri indulgenti verso mariti e figli. In cambio della quiete, della inutile seconda o terza casa che è così bello arredare. In una rete vischiosa di ricatti reciproci. Beh, sì, provo a indovinare, con la presunzione di fare centro. Ho conosciuto qualche esempio di famiglia per bene. Oggi solo il perbenismo criminogeno di quelle famiglie può essere un' attenuante per i comportamenti criminosi di quei ragazzi sommersi e "silenziati" con una valanga di sì. Dovremo pensare, prima o dopo, quando sarà archiviata l'era in cui ci si fa guerra per cambiare nome all'Imu, quando verrà l'epoca della serietà, dovremo pensare - voglio dire - a una prevenzione vera. Ne farà parte insegnare il valore del dono dell'eros. Quello consensuale, perché lo stupro è tutt'altra cosa. Dovremo pensare anche a una lunga fase di repressione di taglio educativo fino a che non si affermi un nuovo senso comune. Immagino, col senso comune di domani, che i genitori cui capiti la disgrazia di un figlio stupratore lo consegnino alla giustizia, rifiutino di pagare le onerose parcelle degli avvocati. Immagino non la pena di una squallida galera in cui si rischi a propria volta di subire uno stupro. Immagino però che cinque o dieci anni di lavori socialmente utili (utili e preziosi perché sgradevoli) sarebbero una pena educativa. Abbiamo toilette pubbliche indecenti. Chi se ne dovrebbe occupare se non gli stupratori? E perché mai gli stupratori, a parte il risarcimento pesante a carico dei genitori che - pazienza - venderanno la terza casa, non dovrebbero risarcire la persona offesa, vita natural durante, con un prelievo forzoso del 20 o 30% dei futuri guadagni? Ho qualche dubbio che padri e madri sarebbero d'accordo. Se non saranno d'accordo sarà segno che la famiglia è una istituzione irrevocabilmente. Incorreggibile, da superare.

giovedì 10 ottobre 2013

Il patriottismo nell'Italia malata


Assisto a Ballarò al doloroso confronto fra i servizi pubblici di trasporto di due capitali: Helsinki e Roma. Inutile dettagliare troppo. A parte la guerra romana di tutti contro tutti per un posto sul tram, si noti almeno che a Helsinki i servizi pubblici sono ampi e puliti come - immagino - i servizi delle case private. Di contro - si sa - la nostra pedagogia nazionale ci suggerisce che "pubblico" significa "di nessuno" e quindi... Oggi il mio amico Fabio, da Londra, con controllata amarezza, confronta Londra e il suo spirito innovativo con la stagnazione malata che colpisce l'Italia e le sue città. Dulcis in fundo, leggo ora i risultati dell'indagine Ocse-Piacc (Isfol per l'Italia) sulle competenze alfabetiche e matematiche. Sempre peggio. Prima eravamo fra gli ultimi. Oggi, fra i Paesi dell'Ocse, siamo ultimi nelle competenze alfabetiche e penultimi in quelle matematiche. Ho qualche difficoltà a unirmi al coro disfattista. Confesso di cercare (patriotticamente?) giustificazioni e attenuanti. Forse la tale indagine non tiene conto che in Italia abbiamo una intelligenza diversa che i test internazionali non riescono ad apprezzare. Forse in Italia abbiamo vesciche più continenti per cui giustamente non dissipiamo risorse in troppo costose toilette pubbliche addirittura pulite. Forse, forse... No, non so cosa dire. Escludo solo le spiegazioni etniche. Poi mi chiedo cosa diavolo sia questa specie di amore per il mio Paese. Compassione? Un grido disperato: "dai, dai, facciamo vedere che possiamo avere i trasporti e le toilette di Helsinki, insieme alla dolcezza italiana". Non mi direte che i nostri disastri sono il rovescio della medaglia della nostra dolcezza? Non ci credo. Mi piace · · Promuovi · Condividi

domenica 6 ottobre 2013

Sacro GRA, l'inferno che abbiamo costruito


Sacro GRA di Gianfranco Rosi è un documentario “recitato”: storie parallele attorno al Grande Raccordo Anulare di Roma. Storie di solitudini disegnate dall'architettura che abbiamo inventato. Avendo visto prima La grande bellezza, mi è spontaneo pensare che questo film ne è la replica come una sorta di La grande bruttezza. La bellezza scioccante di Roma e la bruttezza scioccante di ciò che la alimenta. Il territorio inciso da un grande progetto viario che ha lasciato ai suoi margini l'antico, insieme a nuove orride escrescenze. L'antico sono le pecore pascolanti sulla collina sovrastante il raccordo, indifferenti alla sua vita metallica. L'antico è l'anguillaro espertissimo che non sa a chi trasferire la sua sapienza. Alle pseudo verità e ai disastri del sapere globale impavido oppone la sconfitta sapienza antica che racconta alla donna silente. Silente perché non c'è nulla di cui valga la pena parlare. Antiche sono le palme divorate dai parassiti e inutilmente moderno è lo scienziato hobbista che le studia non si sa bene perchè. Antico il nobilastro dell'ignoto ordine nobiliare che intreccia rapporti con altrettanti ignoti notabili dell'est europeo. Il nuovo è sempre orrido e triste. I palazzoni quasi disabitati da cui ci si affaccia per scrutare indizi di vita o intravvedere Roma lontana. Le ragazze immagine nel localino così così, l'immigrato che negozia con la paziente prostituta prestazioni low cost. E poi il pezzo più cupo e meno recitato. I necrofori al lavoro, dettagliatamente seguiti mentre liberano le bare dal cemento, le aprono e portano via i resti in un mondo che appare immane produzione di cadaveri, oltre che di merci. La professionalità, la routine di un lavoro inventato perché decidemmo che nessuno dovesse più occuparsi dei propri morti. E infine l'operatore del 118 che soccorre le vittime del GRA, con vite che si rincorrono, ignote e indifferenti ognuna alle altre. Lì anche l'eccezione di vera umanità. La tenerezza senza riserve dell'operatore accanto alla madre demente. L'amore, insomma, quello vero e gratuito. Non quella cosa che gli uomini chiamano amore per sentirsi autorizzati a far male. Infine i monitor che a decine seguono la normalità del Grande Raccordo Anulare. Ignorando lo scempio circostante.