Avviso agli amici: non nascondo il finale. Nell'ultimo film di Woody Allen l'uomo irrazionale, Abe, (Joaquine Phoenix) è un professore di filosofia che ha smesso di credere alla filosofia. La insegna brillantemente ed è molto amato da studenti e ancor più da studentesse. Perché gli uomini brillanti e tenebrosi – si sa – sono affascinati. Anche se sono stropicciati e con vistoso pancino. Abe non crede più nelle sue passioni giovanili – la politica, il volontariato, il terzo mondo – e non crede più nella filosofia e nel suo lavoro perché nessuna attività e nessuna filosofia gli appare produttiva di cambiamento né riesce a suggerirgli uno senso nella vita che egli infatti trascorre da tempo senza gioia ed emozioni, col solo conforto dell'alcol ; neanche il sesso gli è ormai d'aiuto. Indifferente ai tentativi seduttivi della collega, Rita (Parker Posey), come della giovane allieva (Emma Stone), è ormai, come si dice, “impotente”, inabile a quella pratica che dicono essere essenziale nel sesso.
Succede però qualcosa per una conversazione casualmente ascoltata. La storia di una normale ingiustizia con un giudice che, per motivazioni che nulla hanno a che vedere con la giustizia, sottrae i figli alla madre per affidarli ad un padre incapace e anaffettivo. Non c'è rimedio legale all'ingiustizia quando peraltro ogni ricorso è impedito da costi insopportabili. Così Abe ha l'idea che rimette in moto la sua anima stanca. Solo la morte del giudice può restituire giustizia e felicità a quella madre. L'assassinio del giudice, a differenza di ogni brillante, inutile conferenza su Kant o l'esistenzialismo , cambierebbe qualcosa nel mondo, facendo per una volta giustizia. Il pensiero diventa progetto e il progetto restituisce senso e vitalità all'esistenza del professore. Che infatti recupera anche la capacità di far sesso e di amare. Da questo punto il film echeggia molto Match Point, uno dei capolavori di Allen. Infatti, nuovamente Allen ci induce (o almeno mi induce) a parteggiare per l'assassino. In Match Point l'empatia verso il protagonista catturato dalla forza irresistibile di Eros (Scarlet Johanson), col giovane impegnato nella scalata sociale che non può compromettere la sicurezza rappresentata dalla moglie e dalla sua ricca famiglia, a costo di uccidere. Qui, in Irrational man, l'empatia è per le ragioni dapprima altruistiche dell'assassino. Che scoperto, dall'allieva innamorata, non può che progettare un secondo assassinio per non pagare con l'ergastolo la sua azione morale. Giacché l'allieva si rivela seguace della filosofia del diritto e di un'etica tradizionale. Poi, come in Match Point, il Caso onnipotente ha la meglio. Lì quell'anello che oscilla sulla ringhiera e che se cadrà nel fiume condannerà il protagonista e invece, cadendo al di qua, lo salva. Qui la lampada regalata dal protagonista alla giovane amante che produce una dinamica fatale. Allen continua a dirci che la razionalità non ci governa. Ci governa il capriccio del caso e ci governa, insieme alla paura della morte, l'angoscia per il non senso della vita. Non vedo nulla di più attuale in quest'epoca dalle pulsioni assassine.
Nessun commento:
Posta un commento