Stamattina sentivo l'appello di una donna alla radio, a proposito di femminicidio. Invitava gli uomini a farsi sentire. Cosa posso fare io? Posso postare l'articolo di Michela Murgia che riassume i casi recenti. Posso esibire le ragioni delle donne, ove se ne presti occasione. Posso sollecitare le donne che sospetto vittime di violenza del compagno a ribellarsi; e posso più facilmente sollecitare le madri di quelle donne a sostenere le figlie e non suggerire loro la fatale "comprensione" verso mariti, compagni e fidanzati violenti; posso autodenunciarmi per qualche mio tratto di maschilismo. Posso fare questo. Ma altro non posso e non so. Non so come conoscere i potenziali assassini e come dialogare con loro. Le cose meno ovvie e più radicali che vorrei dire sono due. Alla prima allude Michela Murgia a conclusione del suo pezzo, oggi su Repubblica. L'amore come inganno. Più chiaramente proporrei di abrogare la parola "amore" perché potenzialmente infetta. Discutere di affetti e di passioni che, se esclusive, sono il contrario di amore.
La seconda cosa che vorrei saper dire è che sostenere l'autonomia femminile non è solo una opzione morale o estetica. Anzi, se così la proponiamo, non riusciremo a mobilitare gli uomini verso una battaglia strategica. Perché la ragione fondamentale per stare dalla parte delle donne è sanamente e razionalmente egoistica. Noi uomini dobbiamo capire finalmente che la violenza e lo spreco delle vite e dei talenti della metà del cielo è lo spreco più macroscopico che tutti ci impoverisce, donne ed uomini. Vorrei saperlo dire.
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