Prima piccolo artigiano fallito poi operaio licenziato, un uomo di 44 anni del fu ricco nordest, decide di impiccarsi. La moglie, di 7 anni più giovane, lo salva appena in tempo. Poi lei, come le donne innamorate dei film o forse della realtà, lo rassicura dicendogli che ha trovato lavoro come badante di notte. Si tirerà avanti col suo stipendio fino a che lui non troverà un nuovo lavoro. Succede però che un giorno la polizia telefona al marito informandolo che la moglie è stata presa in una retata. Faceva la prostituta. Apparentemente quieta, comprensiva e grata la reazione del marito che anzi fa una sorta di breve relazione socio-economica sul fatto. “E’ una situazione che ho imparato ad accettare, ma che non mi sta assolutamente bene. Per questo continuo nella disperata ricerca di un lavoro. Qualsiasi, purché sia onesto”. E poi: “Non so quanto resista il padrone di casa prima di buttarci fuori. Mia moglie riesce a portare a casa anche centocinquanta euro in una sera, se va bene. Ma spesso torna a mani vuote. Con quello che guadagna riusciamo a mangiare. Ma così non può continuare”. Bene. Forse una volta eravamo intrisi di pregiudizi. Forse una volta a una moglie non sarebbe apparso naturale risolvere il problema drammatico della sopravvivenza in quel modo. Forse una volta un marito come il suo non avrebbe rilasciato una intervista come quella, in cui non appare chiaro se il disappunto sia per la tipologia del lavoro della moglie o per la sua natura precaria (non da posto fisso). Non formulo nessun giudizio morale. Caso mai mi dichiaro sbigottito per quello smisurato amore femminile che è amore per il compagno e – apparentemente (o no?) – disamore per la propria persona. Ho parlato di pregiudizi perché non escludo che la donna possa aver sentito quel prostituirsi come cosa non diversa che offrire il proprio corpo per un lavoro di fabbrica o la propria perizia come cosa non diversa dalla perizia di una manicure. E’ tempo che superiamo i nostri pregiudizi a riguardo? Peraltro da tempo presunte studentesse e casalinghe “insoddisfatte” si propongono nel mercato dei precari del sesso, probabilmente quasi sempre professioniste con forti competenze di marketing. Hanno capito l’attrattiva maggiore di un rapporto con una “dilettante”. Però adesso forse comincia a diventare autentico il mercato del sesso precario.
Significato per qualche aspetto simile attribuisco a un’altra storia di cui ho letto recentemente. Una grossa azienda statunitense di abbigliamento, la Ecko, propone con successo uno scambio: fatevi tatuare sul corpo il nostro marchio e in cambio avrete, vita natural durante, uno sconto del 20% sui nostri prodotti.
Magari l’offerta non “discrimina” gli uomini, ma immagino che per promuovere merci il corpo maschile abbia minor appeal. Mi sto chiedendo comunque: E’ questo l’epilogo della rivendicazione femminista “Il corpo è mio e ne dispongo come voglio?” Lo chiedo non retoricamente. Magari è tutto giusto.
Però – ripeto - mi preoccupa un po’ la reazione del marito di cui dicevo prima. Se il corpo femminile ha un mercato che quello maschile non ha, allora la crisi potrebbe lasciare integri i corpi degli uomini e aggredire con sesso e tatuaggi i corpi femminili, ultima riserva di famiglie senza risparmi e senza stato sociale.
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