Della settimana scorsa e della prima emergenza neve ricordo il senso di colpa. Al normale, quotidiano, senso di colpa verso chi è senza lavoro si aggiungeva il senso di colpa eccezionale per chi andava al lavoro, affrontando pioggia, neve, gelo, mezzi pubblici in tilt. Insomma, mentre in genere il pensionato mi appare come un escluso dai piaceri della vita attiva, all'improvviso sentivo tutto il privilegio di quella condizione. Ero chiuso e protetto nella mia casa calda sul litorale romano, già risparmiato dall'infierire climatico su Roma, mentre anche le mie figlie, come milioni di italiani, non avevano altra scelta che sfidare la tormenta per apparire lavoratrici affidabili.
Così oggi la nemesi. Non posso mancare all'appuntamento in un ospedale lontano da casa nella capitale d'Italia, metropoli troppo estesa. Prendo il trenino e poi il bus imbacuccato come non mai, addirittura con cappello, sciarpa, guanti, ombrello, etc.. Mancano solo i mutandoni di lana e il pigiama felpato che portavo quando d'inverno, a Bologna, ero di guardia all'aperto davanti alla caserma del 17° Reggimento di artiglieria contraerea, giacché con gli anni comunque mi sono ringiovanito e liberato sempre più dei pesi eccessivi. All'andata soffro con moderazione: freddo e nevischio in faccia nello spostamento da un mezzo pubblico all'altro e nient'altro. Al ritorno è un incubo. Un'ora in attesa di un bus che non arriva, mentre la temperatura si abbassa e i piedi si congelano, sotto (???) una pensilina strettissima che finge di ripararti da pioggia, neve e vento. Un'anima buona poi mi avverte che il bus da lì passa ad ore imprecisate. Conviene prenderne un altro in direzione opposta, arrivare alla metro e prendere il trenino per Ostia. Così faccio, sperando di arrivare a casa prima che arrivi il peggio. Insomma ora sono qui di nuovo al calduccio e mi viene da pensare ai lavoratori mostrati l'altro giorno a Piazza Pulita, che fanno il cottimo all'inferno a spostare scatole di surgelati in un ambiente a -30 gradi, rinunciando alle pause per arrivare ai fatidici 1.000 euro al mese. I sensi di colpa e lo stupore per un mondo incomprensibile ritornano.
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