domenica 15 dicembre 2013

Lontano dal paradiso: mezzo secolo fa ci sembrava giusto così


Ho recuperato ieri sulla 7 Lontano dal paradiso, un film del 2002 di Todd Haynes. Utile per prendere coscienza del nostro essere immemori. E per indurci a sospettare delle nostre certezze odierne. Nella cittadina del Cunnecticut, sul finire degli anni 50, c'è una famiglia apparentemente felice e perfetta. Lui manager di successo, lei moglie e madre esemplare, dedita a beneficienza, volontariato e buone cause, compresa la causa dei neri; ottima causa per i valori dell'epoca; purché non si passi il segno; la schiavitù è finita da un secolo e non sta bene maltrattare i neri; buone maniere e umanità (per così dire...), da non confondere con l'eguaglianza; nessuna promiscuità e che non succeda - così in una delle scene più efficaci del film - che un bimbo nero "sporchi" col suo corpicino la piscina dei bianchi. Lì e allora l'omosessualità è vizio e malattia. Ce lo ricordiamo? Ancora nel mondo e qualcuno fra noi lo crede ancora. L'omosessuale è lui, il manager, che vive con orrore la propria condizione, le pulsioni che tenta di allontanare. Scoperto dalla brava moglie, si affida alle cure di un ottimo e illuminato psichiatra che, appunto, crede di poterlo "curare". Ma la cura non funziona e lui continua a rifiutare la moglie così comprensiva, finendo financo a picchiarla. Lei incontra intanto il giardiniere nero. Sicché entrambi alla fine hanno qualcosa di imperdonabile da farsi perdonare: lui l'omosessualità e il rifiuto del corpo femminile, lei il quasi tradimento (quello emotivo, non quello fisico) e (soprattutto?) il sentimento per il nero. Bene. Così il pregiudizio e l'ignoranza distruggeranno due vite. Sarebbe bastato poco: la quieta scoperta di essere diversi o di essere cambiati, un divorzio consensuale, una famiglia allargata. Negli anni 50 non era possibile. Fra 50 anni, nel 2063, un nuovo Todd Haynes narrerà con lo stesso stupore che nel 2013 gli imprenditori si impiccavano per il fallimento dell'azienda giacché era considerato normale, anzi utile a una cosa chiamata "economia", passare dalle stelle alle stalle; egualmente, nel 2013, sembrava normale aspettare lo sviluppo e la crescita affinché milioni di uomini e donne avessero lavoro o reddito. P.S. Davvero non possiamo evitare di finire così maltrattati nel 2063?

sabato 14 dicembre 2013

Blue Jasmine: l'infelicità è interclassista


L'infelicità è interclassista nell'ultimo Allen, anzi soprattutto colpisce i “fortunati”. Woody Allen ritorna in America, dopo le divagazioni francese e italiana (Midnight in Paris e To Rome with love). I fortunati nel 2013 sono gli uomini della finanza e sono le donne che li incontrano. Jasmine è fra queste donne. L'incontro e il matrimonio con Hal è fondato sullo scambio consueto fra ricchezza/prestigio e bellezza/eleganza. Lui è un perfetto interprete della finanza e della ricchezza del tempo presente. Addirittura politicamente corretto. Molto denaro, molto potere, molta intraprendenza, ma anche la doverosa filantropia perché “chi ha successo deve restituire qualcosa ai meni fortunati”. Neanche insolite le scatole cinesi e i percorsi tortuosi del denaro, intenzionalmente tortuosi affinché gli ingenui risparmiatori possano essere derubati. Jasmine un po' non vede, un po' finge di non vedere. Così Allen ci propone il peggio del “femminile”. Jasmine non vede o non giudica la spregiudicatezza criminale del marito all'origine dei suoi abiti, dei suoi gioielli, delle cene sontuose. Vede però di colpo la serie lunga di tradimenti del coniuge. Non sospettava forse che gli uomini si fanno ladri e si fanno ricchi anche per questo. Per fare collezione di corpi da godere ed esibire. L'infelicità che gli uomini regalano alle donne... La rivelazione del'infedeltà diventa intollerabile perché accompagnata dall'improvvisa certezza dell'abbandono. Hal stavolta si è innamorato (si dice ancora così...) e pensa al divorzio. Quindi Jasmine d'impulso prende la cornetta e denuncia . Denuncia e perde tutto. Perde anche quella specie di felicità trovata per strada. Hal si impiccherà in cella. L'infelicità del precipizio è intollerabile per quelli che furono fortunati. Inizia la nuova vita di Jasmine presso Ginger, la sorella non naturale, adottiva come lei e con un percorso di vita stentato nella workers class. La fortuna, di cui è parte il caso ed anche l'avvenenza, ha diviso drasticamente le sorelle. Però non si può migrare quietamente dagli agi della upper class alle privazioni della middle class assai prossima alla lower class. Quel mondo è popolato da sgradevoli coatti con ventre prominente o ciuffo impomatato o dal dentista che le salta addosso mentre tenta di fare la segretaria. Così si usa nel mondo della classe media. E le crisi nervose di Jasmine si fanno più acute e frequenti come i suoi soliloqui vaneggianti. E quella che le donne regalano agli uomini Lì, in quel mondo estraneo in cui Jasmine è finita, possono essere le donne a regalare infelicità ai loro uomini. L'anarchia dei desideri che non sentono ragione non risparmia le brave ragazze. L'irrequietezza erotica di Ginger lacera legami e progetti. Produce disperazione e infelicità nell'aspirante marito, l'unico con lo sguardo lucido, accogliente e insieme severo verso la mitica Jasmine. Perché il fidanzato coatto è in fondo la figura più ragionevole nel film. Lui riuscirà a riportare a sè Ginger. Tutto si sistema dunque in qualche modo in questo spazio di gente comune dalle aspirazioni contenute. Jasmine che volava in alto non riesce invece ad emanciparsi dal passato e dai suoi fantasmi. Precipita verso la follia.

mercoledì 11 dicembre 2013

Grillo e il primato eversivo


Dispiacerà ai miei amici M5S il mio giudizio e me lo contesteranno. Ma per me la lettera aperta ai responsabili delle forze dell'ordine nel blog di Grillo supera addirittura per incoscienza, irresponsabilità ed eversione il peggiore Berlusconi. Grillo invita quindi le forze dell'ordine a non difendere i palazzi del potere. Vi stanno delinquenti sicuramente eletti molto indirettamente dal popolo. Infatti il popolo - in buona parte - ha votato e sostenuto con entusiasmo chi ha nominato quei delinquenti. Ci stanno i ragazzi del M5S e ci sta Giacchetti oltre i due mesi di sciopero della fame per sollecitare una nuova legge elettorale. Un giorno scopriremo magari che ci sta un nuovo Moro o un nuovo Berlinguer, invisibile fra i delinquenti e oscurato dal casino populista. Invitare le forze dell'ordine a non difendere quei palazzi, oltre che una idiozia eversiva, è un chiaro richiamo ai folli o agli sprovveduti che sono occupati con birrette e slot machine a dilettarsi invece con bombe e pistole.

sabato 7 dicembre 2013

Don Jon e il corpo immaginato


Continuo, come posso, la mia riflessione sulla crisi della coppia uomo-donna con la mediazione della recente filmografia. In Shame il sesso compulsivo e disperato. In La vita di Adele l'opzione omosessuale e lesbica, intensa fino alla minaccia della estinzione della specie. In Giovane e bella la banalizzazione e la mercificazione del sesso. In Don Jon la vittoria del sesso online e la noia per la coppia “reale”. Malgrado l'ottimismo degli amici sull'imperituro rapporto uomo-donna, sospetto che il cinema stia cogliendo indizi di un futuro imminente in uno o in diversi di quegli scenari. Don Jon è il figlio fortunato di una normale famiglia italo- americana, interpretato dall'attore e regista Joseph Gordon-Levitt. Nella normale famiglia italo-americana il padre in canotta davanti alla TV, fra un boccone e l'altro, tenta inutilmente di coinvolgere la famiglia su epiche partite di football. La moglie serve a tavola. La figlia è modernamente immersa nel suo mondo privato con la protesi smartphone. E lui, Don Jon, normalmente alterna lavoro, palestra, pratica dei sacramenti della Chiesa, sesso reale e masturbazione davanti alla sterminata offerta porno di internet. In dettaglio: molto sesso reale variamente deludente e moltissimo sesso virtuale assai più soddisfacente. In effetti la filosofia onanistica del protagonista appare articolata e convincente. Don Jon spiega bene a chi si attardi ancora negli amplessi la superiorità invincibile dell'onanismo. Nessuna donna – spiega – fa mai quello che desidereremmo. Il rapporto sessuale è un compromesso in cui l'altro corpo non si modella alle nostre fantasie. Fin qui l'aspetto più sgradevole e stimolante del film. Intanto c'è l'incontro con la bellissima Scarlett Johansson. C'è lei che non accetta la scoperta della “ossessione” di Jon. C'è anche la sorella che finalmente alza gli occhi dallo smartphone e sentenzia – a ragione – che alla partner di Jon interessa solo imporre i propri valori. Con il che l'autore forse ci suggerisce che nel mondo veicolato dallo smartphone c'è più saggezza che nella normale famiglia italo-americana, delusa per la rottura del legame con la brava ragazza che aiuta anche in cucina. Poi l'autore decide di rassicurarsi e rassicurarci. L'incontro con la donna matura, l'intensa e tormentata Julianne Moore, e la scoperta della possibilità di darsi davvero e perdersi nel partner. Non si nomina la parola “amore”. Resta però il dubbio sul significato della conversione al rapporto di coppia.Come se si riducesse a un percorso da malattia a guarigione la storia di Don Jon. Sfumando e negando il primato virtuale che invece progressivamente ci allontana dai sapori, dagli odori, dalle sensazioni tattili, ma lo fa in nome della libertà dell'immaginazione.

giovedì 5 dicembre 2013

La mafia uccide solo d'estate: fra sorrisi e singhiozzi


Pier Francesco Diliberto (detto Pif) è al suo primo lungometraggio, dopo essere stato aiuto di Marco Tullio Giordana ne I cento passi. L'esempio gli viene da Benigni de La vita è bella. E' possibile sorridire e provare tenerezza anche per storie ambientate in contesti tragici. Il sorriso e la tenerezza possono essere le armi della critica militante alla cupezza del male e alla ferocia e stupidità dei carnefici. Ho visto La mafia uccide solo d'estate con varie emozioni. Compreso il compatimento verso Riina, il boss spietato che davanti al telecomando è sprovveduto come qualunque anziano non digitale; ed è un padre sdolcinato verso la figlia neonata. Del resto – ammetto – ho provato pena per il Riina attuale visto tempo fa in Tv, in carcere circondato dall'affetto del figlio, istupidito, come tutti rischiamo, dall'Alzeimer o dal deterioramento delle arterie e che esibiva i segni di una possibile violenza subita. Una violenza incomparabile a quella di cui lui fu artefice, ma comunque inaccettabile per quelli radicalmente diversi da lui e che pure come umani gli somigliano in qualcosa. Ma il regista suggerisse (anzi lo dice): imparate a riconoscere il male fra la gente che ci somiglia, fra i padri che sorridono teneri alla figlia neonata.Nella mia visione del film ci sono dettagli personali. Che ci sono sempre nello spettatore. Nel mio caso la nostalgia e la malinconia di chi ha visto ripetutamente – in trasferte di lavoro - i luoghi della storia narrata. I luoghi di Palermo, a partire dall'abbagliante splendore della Conca d'oro che mi mozzava il respiro quando dall'autostrada, dopo la curva, si rivelava all'improvviso. Gli iris imbottiti di ricotta con cui il protagonista bambino nel film tenta la conquista della piccola amata e i cannoli con la scorza caramellata di arancia. Mondello e i vialetti che la collegano all'Addaura. Quel vialetto di Mondello, che percorsi tante volte, in cui fu massacrato Lima. L'Addaura, vicinissima, dove Falcone subì il primo attentato. Il ricordare per ogni assassinio, nella lunga martirologia dei caduti: "io ero lì, io facevo questo". Entravo con una battuta scherzosa nella sede del sindacato e nessuno rideva. Così seppi dell'assassinio di Pio La Torre. Vedere la rappresentazione efficace delle due Sicilie, Quella dei mafiosi, invisibili anche se ci passano accanto, dei molti amici e collusi e dei moltissimi che non vedono o vogliono vedere. La Sicilia vigliacca che protesta per l'ululato disturbante delle auto di scorta. “Ma perché non vanno tutti ad abitare fuori città questi giudici?” L'ho vista quella Sicilia, visitando l'albero di Falcone. L'ho vista nella condomina del palazzo in cui viveva il giudice, la condomina che sbuffa per la gente che un po' le ostruisce l'ingresso. E poi l'altra Sicilia, quella che appende biglietti di ringraziamento ai rami dell'albero. Claudia, mia figlia, leggendoli, per un po' pensò di poter restare in Sicilia e studiare a Palermo. L'altra Sicilia c'è. E' quella che ai funerali di Falcone grida furente: fuori la mafia dallo Stato. Ecco, il film è la storia di una transizione dal ventre molle di chi non vede o non vuole vedere verso la Sicilia dei giovani di Addio Pizzo e di quel funerale. Percorriamo quella storia fra sorrisi e singhiozzi. La storia che il film conclude con la proposta di una nuova pedagogia, di educazione delle nuove generazioni. Con il protagonista che illustra al figlio bambino, strada per strada, lapide per lapide, il martirio dei troppi caduti.