E’ successo una decina di giorni fa. Ho sentito il guasto al computer come una provvidenza, la provvidenza che mi liberava dal dilemma se raccontare o no. Ma evidentemente non ho superato davvero lo choc. Sicché decido di raccontare. Mi è capitato di sentirmi vile, oltre e più che impotente. E’ successo durante una passeggiata serale verso il centro di Ostia, con moglie. Un assembramento vociante fra marciapiede e strada davanti a me. Protagonisti un palestrato-tatuato italiano e uno straniero apparentemente dell’Est. Il primo inveisce. Il secondo tace. Poi uno schiaffo violento del primo. Che continua a parlare. E il secondo che non reagisce e dice qualcosa sommessamente. Attorno una decina di giovani. Che fare? Intervenire? Chiamare il 113? Mia moglie mi tira via chiedendomi di passare sul marciapiede opposto. “Che puoi fare? Vuoi finire in una rissa? Vuoi che ci becchiamo una coltellata?” Una signora anziana si rivolge a noi dando per scontata la mia e la nostra approvazione: “Ha fatto bene! Ha fatto bene!” grida inviperita. “Ha fatto bene un corno!” replico io. Ma è troppo poco. Moglie e amici cui poi racconto l’episodio commentano: “Avrà fatto qualcosa”. Ma non riesco a pensare cosa. “Forse gli ha ammaccato con quella moto la macchina parcheggiata lì” ipotizza mia moglie. Non ci credo. Lo straniero è più simile ad un senza tetto e senza tutto che al proprietario di una moto. E se fosse successo qualcosa di simile l’incidente non si sarebbe chiuso con uno schiaffo ma con la chiamata di vigili.
Vivrò malissimo la mia omissione, la mia fuga. Non posso non pensare che, qualunque cosa abbia fatto lo schiaffeggiato, a parti rovesciate, un rumeno non avrebbe potuto permettersi di schiaffeggiare un italiano né di ricevere solidarietà da tifosi italiani. Non posso non pensare alla remissività di quello straniero. Non posso non pensare alla durezza della condizione di straniero. Non “turista”, ma “straniero”. O “clandestino”. Non posso non pensare alla remissività del popolo del barconi, quello schiaffeggiato, spintonato, schiacciato sottocoperta e soffocato. Non posso non pensare alla remissività delle ragazze costrette a prostituirsi. Quelle cui Papa Francesco ha chiesto perdono. Non posso non pensare come sia ridicolo discutere di merito e giustizia in un mondo in cui conta solo dove si nasce e da chi si nasce.
Non ho fatto niente per cambiare questo. Non so neanche se sia giusto che io debba sentirmi meglio dopo questa confessione. No, non dovrei.
Vivrò malissimo la mia omissione, la mia fuga. Non posso non pensare che, qualunque cosa abbia fatto lo schiaffeggiato, a parti rovesciate, un rumeno non avrebbe potuto permettersi di schiaffeggiare un italiano né di ricevere solidarietà da tifosi italiani. Non posso non pensare alla remissività di quello straniero. Non posso non pensare alla durezza della condizione di straniero. Non “turista”, ma “straniero”. O “clandestino”. Non posso non pensare alla remissività del popolo del barconi, quello schiaffeggiato, spintonato, schiacciato sottocoperta e soffocato. Non posso non pensare alla remissività delle ragazze costrette a prostituirsi. Quelle cui Papa Francesco ha chiesto perdono. Non posso non pensare come sia ridicolo discutere di merito e giustizia in un mondo in cui conta solo dove si nasce e da chi si nasce.
Non ho fatto niente per cambiare questo. Non so neanche se sia giusto che io debba sentirmi meglio dopo questa confessione. No, non dovrei.
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