Natalia Aspesi raccontava l’altro giorno i risultati inattesi di un suo pronunciamento non convenzionale. Aveva scritto – in risposta ad una sua lettrice- che non ricordava niente di Foscolo. E che non aveva mai letto “A Zacinto”. Aspesi racconta di aver ricevuto valanghe di giudizi severi e di insulti dal web. Io avevo interpretato quella della nota giornalista come una confessione coraggiosa e spiazzante. Come quella, più celebre, di Fantozzi che nel cineforum dei dotti si alza per gridare: “La corazzata Potemkin è una cagata pazzesca”. Era da ammirare quel Fantozzi e quella Aspesi? A mio avviso sì. Lo dico benché Foscolo sia il poeta italiano che più ho amato e benché non abbia deciso di liquidare malamente “La corazzata Potemkin”. L’incidente accorso a Natalia Aspesi mi ha indotto a riflessioni su me stesso e di ordine generale. Nella mia storia personale ho ignorato più di un classico. No ho più ripreso in mano “La divina commedia”, dopo il liceo. Mi allontanò definitivamente da Dante il mio insegnante di liceo che pur aveva intenzioni opposte. Al contrario la mia professoressa al ginnasio mi fece amare Foscolo e in particolare “I sepolcri”. Sicché poi mi piacque cercare in libreria “Le grazie”, che non erano in programma e divorarle. All’Università il docente di letteratura latina mi indusse ad una passione per Lucrezio. Sicché ho scolpiti in mente versi del “De rerum natura” che mi piace spesso citare. Da Scuola e Università non ricordo altre passioni indotte verso i classici. Passioni che ricordo più spesso nascenti da occasioni extrascolastiche. Il Giulio Cesare visto al cinema (con Marlon Brando e James Mason) mi sollecitò a leggere il testo dell’opera anche in inglese e confrontare le traduzioni. E poi a leggere le altre opere di Shakespeare. Con tanti brani imparati a memoria e “recitati” davanti agli amici, con o senza lenzuolo al posto della toga. Da Shakespeare una propensione al teatro. Anche letto, perché nel teatro trovo più facilmente uno sguardo dialettico sul mondo, con opposte ragioni in conflitto, e spesso uno sguardo pietoso sulle umane presunzioni. Vedi, a proposito dell’amato Shakespeare, l’elogio emozionante di Antonio sul cadavere di Bruto, il grande antagonista. Impensabile oggi nell’era dell’odio e del web degli avvelenati. Nel mio congenito disordine so di aver letto minima parte di ciò che avrei dovuto. Penso che un giorno o l’altro leggerò “Guerra e pace”. Penso che non leggerò mai “La recherche” di cui iniziai ed abbandonai subito la lettura. Me ne faccio una ragione perché in ogni caso, per qualche aspetto, non trovo molta differenza fra leggere cento, dieci o mille capolavori. In ogni caso poco più di nulla. E poi cosa significa davvero conoscere Foscolo o conoscere “A Zacinto”? Credo che conosciamo la maggior parte delle opere che abbiamo letto più o meno come diciamo di conoscere le capitali europee su cui abbiamo posato i nostri piedi nei viaggi che, da persone di questo secolo, qualcuno o qualcosa ci dice che dobbiamo conoscere. Nel senso di metterci i piedi. Insomma non conosciamo mai nulla davvero o conosciamo minimamente, talvolta sotto qualsiasi soglia minima per cui abbia senso dire: “conosco”. Perciò sono solidale con Aspesi e sono irritato contro i finti dotti che l’hanno criticata. E c’è una conclusione, se sono fondate le mie ragioni. E’ incomprensibile ed arcaica, dommatica e priva di fondamento una scuola che prescrive di “conoscere” Dante o Foscolo o Leopardi. Un’opera e un autore sono solo punti di appoggio, come massi per attraversare un torrente. Tutti sostituibili. E tutti possiamo attraversare il torrente pur scegliendo punti di appoggio diversi. Qualcuno magari con un solo salto.
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