Di sabato prendo talvolta il mio caffè di metà mattina in un bar del centro pedonale. Prima del caffè mi dirigo alla toilette.Sulla porta c'è scritto "bagno guasto". Debbo rinunciare. Però la barista – che non credo di avere incontrato prima – mi dice: "Può andare. C'è solo la catenella rotta, ma basta tirare il filo". Non mi fido della mia perizia e dico:"Non è urgente. Rinuncio". Ma lei insiste. Apre la porta e mi mostra come è facile. E' l'ennesimo incontro con una ragazza che si prende cura dell'altro. Questo mondo in cui ci si prende cura solo di sè è riparato da ragazze che si prendono cura dell'altro. In Italia e altrove. Mi viene in mente al momento l'indimenticabile ragazza che serviva al tavolo a Toronto. Portava l'acqua e chiedeva: "Are you enyioy?". E così per il pane e per ogni servizio. Sorridendo con un sorriso aperto se rispondevo di sì. Mi divertiva. Mi viene in mente per contrasto – e mi sembra di scoprirlo adesso – che nel più recente viaggio – ad Istanbul- non c'erano mai ragazze a servire. Ecco, mi dico, cosa mancava nei bar e ristoranti di Istanbu.
Mentre sorseggio il mio caffè all'aperto passa un anziano malandato, malfermo sulle gambe. La ragazza seduta al tavolo accanto al mio gli rivolge la parola. Si conoscono in qualche modo. Dapprima non capisco. Poi – da guardone e spione quale sono – ascolto meglio. Lui le sta raccontando che non può uscire di casa quanto vorrebbe perché soffre di incontinenza urinaria. Non usa la toilette dei bar per paura di sporcarla (in una città in cui non esistono bagni pubblici, a dfferenza che ad Istanbul o in altre città meno ricche delle nostre). Ma la ragazza – che avrei voluto abbracciare e ringraziere per il vecchietto- lo rassicura. ."E' suo diritto, non si vergogni, se sporca puliranno". Continua a fargli una lezione sui diritti con pacata dolcezza mentre mi allontano. Penso quindi alla vocazione alla cura delle ragazze, particolarmente preziosa in un Paese in cui la dimensione pubblica dell'accudire è tanto latente. Penso anche che a New York la guida ci spiegò che potevamo entrare nel primo hotel incontrato e dirigerci verso la toilette senza neanche chiedere il permesso. A me negli Usa, proprio a ridosso delle cascate del Niagara, capitò di essere accompagnato da una premurosa commessa nella toilette di un grande magazzino che non era neanche ancora aperto al pubblico. In quel caso non saprei dire quanto avrei dovuto ringraziare la commessa e quanto l'ospitalità strutturale del Paese che mi accoglieva. P.S. Quante riflessioni mi sollecita una toilette!
Mentre sorseggio il mio caffè all'aperto passa un anziano malandato, malfermo sulle gambe. La ragazza seduta al tavolo accanto al mio gli rivolge la parola. Si conoscono in qualche modo. Dapprima non capisco. Poi – da guardone e spione quale sono – ascolto meglio. Lui le sta raccontando che non può uscire di casa quanto vorrebbe perché soffre di incontinenza urinaria. Non usa la toilette dei bar per paura di sporcarla (in una città in cui non esistono bagni pubblici, a dfferenza che ad Istanbul o in altre città meno ricche delle nostre). Ma la ragazza – che avrei voluto abbracciare e ringraziere per il vecchietto- lo rassicura. ."E' suo diritto, non si vergogni, se sporca puliranno". Continua a fargli una lezione sui diritti con pacata dolcezza mentre mi allontano. Penso quindi alla vocazione alla cura delle ragazze, particolarmente preziosa in un Paese in cui la dimensione pubblica dell'accudire è tanto latente. Penso anche che a New York la guida ci spiegò che potevamo entrare nel primo hotel incontrato e dirigerci verso la toilette senza neanche chiedere il permesso. A me negli Usa, proprio a ridosso delle cascate del Niagara, capitò di essere accompagnato da una premurosa commessa nella toilette di un grande magazzino che non era neanche ancora aperto al pubblico. In quel caso non saprei dire quanto avrei dovuto ringraziare la commessa e quanto l'ospitalità strutturale del Paese che mi accoglieva. P.S. Quante riflessioni mi sollecita una toilette!
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