I commenti alla pagina facebook di Servizio Pubblico sono prevalentemente insultanti verso Santoro. Avranno le loro ottime ragioni. Nella monografia “Italia”, trasmessa ieri e dedicata all’orrore romano, quello delle periferie, Saviano né ha dato ragione. Il livore investe ormai qualunque persona di successo. Si chiami Santoro o Saviano o con qualunque altro nome. Tutti colpevoli per il successo conquistato –si ritiene – con oscuri scambi di favore. Infatti la fanno franca i ricchi senza merito, quelli che hanno ereditato proprietà e denaro, senza impegno e senza colpa. Io non ho la pazienza e l’interesse ad esplorare le presunte sordide ragioni di Santoro. Mi limito a valutare il prodotto televisivo che ieri era ottimo. Le periferie romane erano esplorate da coraggiose croniste che entravano in appartamenti squallidi, con bagni senz’ acqua ridotti a depositi di vettovaglie, che camminavano per sentieri colmi di erbacce, siringhe e rifiuti vari, che erano minacciate dai boss di quartiere, che intervistavano tossicodipendenti e spacciatori. La sconvolgente normalità del degrado e dell’illegalità. Ho selezionato nella mia mente soprattutto le madri nel servizio. Le custodi delle famiglie criminali, le donne della cura e dell’inconsapevolezza. Tutte. Due soprattutto. Quella che trascorre la maggior parte della giornata su una sediolina di fronte alla lapide del figlio ucciso, lì sul marciapiedi, con una congiunta che ramazza la strada. E quella che si dice fiera dell’educazione impartita al figlio. Figlio in galera, spacciatore come lei. La evidenza di un mondo che è un altro mondo. La evidenza di periferie che appaiono perdute per sempre
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