Così oggi me ne sto a casa come il saggio di Lucrezio, mentre fuori è tempesta. Ma ieri è valsa la pena affrontare pioggia ed umido ed ore di viaggio dalla periferia ostiense al centro di Roma solo per assistere ad uno spettacolo teatrale? In ogni caso dovevamo consumare -mia moglie ed io – un biglietto regalo di Natale. Sul trenino, come spesso succede, troviamo posto grazie a quel popolo di stranieri che ha ancora in uso l'attenzione per gli anziani. A differenza dei giovani italiani tutti concentrati sui loro smartphone che li esentano dal guardarsi attorno, quella coppia di giovani slavi gioca e ride con mamme ben nutrite ed allegre. Prima la ragazza cede il posto a mia moglie. Poi lui insiste per cedere il posto a me. Io che non porto mai smartphone, se non quando è indispensabile, osservo il mondo sul trenino. Interpretando e commentando, come sempre, con mia moglie che forse subisce il mio gioco. Quelli che chiedono l'elemosina, con fisarmonica o “armati” di un bambino di pochi mesi. Quelli – un lavoratore straniero davanti a me- che danno l'elemosina sempre, tre, quattro volte. La donna matura, italiana, ceto medio, che la dà qualche volta. I più che non la danno mai. Me compreso, che con mia moglie ho deciso un criterio: dare qualcosa solo a quelli che ad Ostia ramazzano le strade e chiedono un'offerta in denaro e/ o strumenti di pulizia.
Al ritorno la trentenne atletica in tuta, dal bel corpo, ma dal viso stanco. “E' stanca per la corsa”, “No, per il lavoro”, “Ha sonno”, “No, è proprio triste, avvilita”. E la donna di mezza età accanto a noi che è bravissima col tablet, come un nativo digitale. Consulta una serie infinita di ricette di dolci. “E' certamente una pasticciera”, dico io. “Non è detto. Forse sta scegliendo il dolce da preparare per il Natale in famiglia”. All'uscita dal trenino un uomo si precipita verso una crepa del marciapiede, come verso un forziere. E' colmo di cicche. Prima, all'entrata del teatro, vicino una pizzeria,una coppia di senza tetto, accovacciata per terra e mal riparata dalla pioggia fastidiosa che si appiccica addosso, felicemente si divide una pizza, probabilmente fredda, ricevuta in dono – immagino - dal pizzaiolo. Sento di non sbagliare pensando che il senzatetto si senta orgoglioso di saper procurare cibo alla compagna.
Ancor prima, in attesa che sia ora per il teatro, visitiamo la Rinascente, in via del Tritone. Sette piani di eleganza. Lì gioco ad indovinare il prezzo dei capi esposti. Sbaglio clamorosamente. “Questo giaccone impermeabile costerà 10 volte l'ultimo che ho comprato”. Controllo il cartellino. Non dieci volte. Cento volte: 2.500 euro. No, nessuna invidia per chi lo può acquistare. Che poi sembra che ad acquistare siano quasi solo stranieri, particolarmente asiatici. I vigilanti robusti sono tutti neri, come in via Condotti. Forse perché solo i neri sono così robusti? O per una scelta di immagine? O di costo? Alla vendita ragazzi e ragazze sia italiani che stranieri. Da Valentino, la venditrice ha la testa rasata, il venditore biondissimo e con la barba nerissima. Da Fendi o altro marchio c'è una nerissima che sembra una indossatrice ed ha capelli crespi e dai mille colori. C'è tanta gente, ma quasi nessuno compra e nessuno vende. I venditori e le venditrici salutano sempre se ti avvicini. “Buona sera”. E tutto finisce lì. Confronto il prezzo del caffè nel sotterraneo che ospita il ritrovamento dell'acquedotto di Agrippa, protetto da vetrata dove si proiettano con ricostruzioni mediali, con quello che si può consumare al settimo piano con la splendida vista di Roma. Un euro e venti contro tre euro e cinquanta. Non prendiamo né l'uno né l'altro. Non so dire perché. Forse per dirsi indenni da ogni suggestione consumistica. O forse solo per la fretta di andare a teatro.
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