Da qualche tempo il mio sonno è pieno di incubi. Già prima del virus. E non so perché. Più spesso torno studente liceale o universitario alle prese con esami impossibili. E' un classico, no? Stanotte però la mia psiche deve essere stata investita da dilemmi etici provenienti dal dibattito attuale. Non so perché e non so chi lo aveva deciso. Io dovevo morire in giornata. Ingoiando una pillola. Strana era l'atmosfera. Qualcuno sapeva. Qualcuno no. Ma a nessuno interessava nulla del mio imminente e prescritto suicidio. Neanche a mia moglie. Si faceva sera. Visto che nessuno era interessato a darmi una via di uscita, mi dicevo:"A che serve aspettare?". Ed ingoiavo la pillola. Subito cominciavo a sperimentare i miei consueti esercizi consolatori. Mi ripetevo Lucrezio: "Come nulla sentimmo quando i Cartaginesi invadevano il nostro territorio, così nulla sentiremo quando gli atomi dell'anima si separeranno dagli atomi del nostro corpo". Poi pensavo, come di consueto, a "Via col vento" girato prima della mia nascita e lo usavo come usavo Lucrezio. Però non morivo. Però mi pare di stare un po' male, pensavo. Macché, non morivo. Credo di essermi svegliato grazie (grazie davvero) alla prostata. Allora mi è stato chiaro che l'incubo veniva dalle ultime sul virus. Precisamente dal dilemma morale affrontato (e talvolta negato) nei talk show e nelle interviste agli esperti ( anche di etica dell'emergenza) ed ai tuttologi. Se sia giusto riservare i residui presidi di rianimazione ai più giovani giacché i più vecchi hanno vissuto abbastanza. Se la scelta fosse obbligata io direi di sì. Poi la mente inquieta mi domanda: "E se la scelta fosse fra un giovane operaio o impiegato e uno scienziato che può salvare il mondo?" E poi penso a quel film in cui il capo dell'unità antiterrorismo deve decidere se rischiare la vita dell'innocente bambina pur di uccidere il terrorista ed evitare un massacro. "Così fra tali fantasie si annega il pensier mio e il naufragar mi è amaro in questo mare".
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