Sai che sono così. Ho poche certezze. Dubito quasi su tutto. Purtroppo, che tu non mi senti è fra le mie poche certezze. Quindi fingo di parlare con te, mentre parlo a me stesso. Cercando solo di credere che abbia senso prolungare la tua vita conservando la tua memoria. Per quanto? Forse sapevi che non amo riti, ricorrenze, matrimoni e funerali. Eppure mi sono sposato, ho partecipato da "osservatore" al battesimo delle mie gemelle. Per la primogenità no, neanche da osservatore. Allora ero più intransigente. Poi ho preso ad accomodarmi sempre più alle convenzioni. In alcuni casi fingendo, in altri pensando che comunque avessero un qualche senso. Compleanni, Primo maggio, Liberazione, Festa della donna, Festa del papà, Festa della mamma. Sapendo che talvolta sono feste volute da commercianti di fiori e dolciumi. Nondimeno da me utilizzate come pretesto, paravento al pudore dei sentimenti. Ho avuto bisogno del 19 marzo come pretesto per ricordare mio padre. Che è mancato quarantasette anni alla tua vita, assai più degli anni che hai trascorso con lui. Non ne abbiamo mai parlato. La mia impressione è che nelle famiglie, non solo nella nostra famiglia, non si parli mai delle cose che contano: quello che l'altro/a è per noi e quello che vorremmo da lui/lei. Di me, dei miei bisogni, sogni e desideri parlavo con gli amici, pochissimo con te.
Però siamo fatti anche dalla storia della nostra famiglia. Oggi sempre meno, nella società orizzontale, amicale e della rete. Io e la mia generazione assai più, non solo per imitazione; spesso per opposizione. Parlare di te, oggi 8 maggio, mi è più difficile di quanto non sia stato parlare di mio padre. Perché sei scomparsa da poco e perché la storia delle donne della tua generazione è opaca. Assenza di desideri esibiti e di ambizioni. Accudire. Seguire la pista tracciata dal padre e dal marito. Tacere. Non essere d'intralcio alle rischiose, talvolta catastrofiche, scommesse maschili. Non disturbare, neanche col proprio dolore. La sera in cui tuo marito, mio padre, bruscamente, diede addio al mondo nessuno ti disse una parola. Tu, nel letto, distrutta, sapevi bene perché tanti parenti in casa. Ma nessuno diceva niente. Io avevo accanto la mia ragazza (oggi mia moglie) con cui "elaborare" (così si dice) il mio lutto. Tu, sola, circondata dal silenzio. Al mattino ti portarono gli abiti del lutto. Ti aiutarono a vestirli. Come si fa con le spose. E' fra i miei ricordi indelebili. Quel rito di vestizione, quell'arbitrio cui non potevi sottrarti, quegli abiti che dovevi indossare. Ora mi è chiaro: da quel mattino mi sono insopportabili i riti del lutto. Per quell'arbitrio su di te. Simile - ora lo so - all'arbitrio sulle bambine condotte al rito crudele dell'infibulazione o a quello del matrimonio precoce.
Negli ultimi anni, mentre la tua mente si appannava, mi parlavi sempre più spesso dei dolori della tua adolescenza. Misteriosamente non sapevi dellla morte di tuo fratello. Non chiedevi di lui. Misteriosamente e fortunatamente non hai saputo della morte del tuo figlio minore. Come una provvidenziale amnesia. Fin anche nella penultima telefonata, poche settimane fa, mescolavi me e lui come in un solo figlio. Un figlio con una piccola bambina che io non ho. Però mi raccontavi spesso del tuo dolore taciuto di adolescente. Quando tuo padre decise che, da donna, avevi studiato abbastanza. E ti chiamò al lavoro in negozio accanto a lui. Non il liceo e l'università, riservati al figlio. Mi raccontavi che leggevi di nascosto i libri liceali di tuo fratello. Di nascosto, perché non si sapesse che ti era stata fatta violenza. E mi raccontavi sempre, con buffa vanità. che leggevi ancora, a novantacinque anni, e facevi le parole crociate. La vanità ti faceva anche ricordare che da giovane eri stata miss qualcosa. Sì, la storia della mia famiglia, da cui sono stato sempre distante - vero?- mi ha formato. Poco per assimilazione, molto per reazione. La tua storia è gran parte della mia formazione, madre. Mi è sempre più chiaro. Ho avuto tre figlie e mi sono impegnato a che fossero autonome. Anche da me. E che la loro vita non somigliasse alla tua. Sarebbe bello che tu sapessi del miracolo che la tua morte ha realizzato. L'incontro al tuo funerale, dopo anni o decenni, di cugini adulti e della leva di giovani cugini che in qualche caso non si erano mai incontrati. Con quel caffè fra di loro in cui, dopo averti salutata, si sono raccontati reciprocamente. Ti sarebbe piaciuta quella festa. Per te. Grazie a te. Dopo di te.
Però siamo fatti anche dalla storia della nostra famiglia. Oggi sempre meno, nella società orizzontale, amicale e della rete. Io e la mia generazione assai più, non solo per imitazione; spesso per opposizione. Parlare di te, oggi 8 maggio, mi è più difficile di quanto non sia stato parlare di mio padre. Perché sei scomparsa da poco e perché la storia delle donne della tua generazione è opaca. Assenza di desideri esibiti e di ambizioni. Accudire. Seguire la pista tracciata dal padre e dal marito. Tacere. Non essere d'intralcio alle rischiose, talvolta catastrofiche, scommesse maschili. Non disturbare, neanche col proprio dolore. La sera in cui tuo marito, mio padre, bruscamente, diede addio al mondo nessuno ti disse una parola. Tu, nel letto, distrutta, sapevi bene perché tanti parenti in casa. Ma nessuno diceva niente. Io avevo accanto la mia ragazza (oggi mia moglie) con cui "elaborare" (così si dice) il mio lutto. Tu, sola, circondata dal silenzio. Al mattino ti portarono gli abiti del lutto. Ti aiutarono a vestirli. Come si fa con le spose. E' fra i miei ricordi indelebili. Quel rito di vestizione, quell'arbitrio cui non potevi sottrarti, quegli abiti che dovevi indossare. Ora mi è chiaro: da quel mattino mi sono insopportabili i riti del lutto. Per quell'arbitrio su di te. Simile - ora lo so - all'arbitrio sulle bambine condotte al rito crudele dell'infibulazione o a quello del matrimonio precoce.
Negli ultimi anni, mentre la tua mente si appannava, mi parlavi sempre più spesso dei dolori della tua adolescenza. Misteriosamente non sapevi dellla morte di tuo fratello. Non chiedevi di lui. Misteriosamente e fortunatamente non hai saputo della morte del tuo figlio minore. Come una provvidenziale amnesia. Fin anche nella penultima telefonata, poche settimane fa, mescolavi me e lui come in un solo figlio. Un figlio con una piccola bambina che io non ho. Però mi raccontavi spesso del tuo dolore taciuto di adolescente. Quando tuo padre decise che, da donna, avevi studiato abbastanza. E ti chiamò al lavoro in negozio accanto a lui. Non il liceo e l'università, riservati al figlio. Mi raccontavi che leggevi di nascosto i libri liceali di tuo fratello. Di nascosto, perché non si sapesse che ti era stata fatta violenza. E mi raccontavi sempre, con buffa vanità. che leggevi ancora, a novantacinque anni, e facevi le parole crociate. La vanità ti faceva anche ricordare che da giovane eri stata miss qualcosa. Sì, la storia della mia famiglia, da cui sono stato sempre distante - vero?- mi ha formato. Poco per assimilazione, molto per reazione. La tua storia è gran parte della mia formazione, madre. Mi è sempre più chiaro. Ho avuto tre figlie e mi sono impegnato a che fossero autonome. Anche da me. E che la loro vita non somigliasse alla tua. Sarebbe bello che tu sapessi del miracolo che la tua morte ha realizzato. L'incontro al tuo funerale, dopo anni o decenni, di cugini adulti e della leva di giovani cugini che in qualche caso non si erano mai incontrati. Con quel caffè fra di loro in cui, dopo averti salutata, si sono raccontati reciprocamente. Ti sarebbe piaciuta quella festa. Per te. Grazie a te. Dopo di te.
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