Ieri PiazzaPulita mi ha procurato qualcosa di simile alla nostalgia per la Sicilia che ho lasciato 9 anni fa. Era un servizio su Paternò, cittadina a vocazione agricola (agrumeti), non molto distante da dove vivevo. Il servizio esplorava uno spaccato delle realtà meridionali che il voto ha consegnato al M5S. C'era una impressionante serie di botteghe chiuse per la crisi. C'erano soprattutto quei braccianti, quelli siciliani e quelli nordafricani, ma anche romeni. Penultimi e ultimi. Divisi, ma non troppo. I primi (o penultimi) precari e sottopagati. I secondi in balia di caporali e pagati la metà (20 euro al giorno per un lavoro dall'alba al tramonto) I primi (penultimi) probabilmente ancora con un tetto. I secondi nelle baracche. Eppure i secondi ed ultimi apparivano un po' meno infelici dei secondi. Il bracciante di Paternò, intervistato, lo spiegava col distacco di uno storico o d i un tr agico. "Per loro questo è molto meglio dell'inferno da cui vengono". Confessava che aveva dovuto simularsi romeno col caporale per poter racimolare 20 euro. Descriveva il dumping della globalizzazione di cui era vittima. Ma con una sorta di pietà verso i concorrenti stranieri che erano lo strumento innocente del suo impoverimento. L'ho confrontato con i nuovi disagiati di altre parti del Paese, con quelli che votano Lega. Mi sono sentito contento di essere nato in Sicilia, nella Sicilia lontana dal razzismo, nella Sicilia lucida e consapevolmente tragica.
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