Sono sempre più convinto che il cinema possa essere oggi fra gli antidoti più efficaci all'involuzione del tempo che viviamo. Più popolare e quindi più efficace della carta stampata. Nonché con insidie assai minori di quelli presenti nell'anarchica rete. Anche il film che ho visto ieri lo conferma. Parlo di Green Book di Peter Farrelly.
Il Libro Verde, nel 1962, anno in cui si sviluppa la storia peraltro autentica, era allora una guida essenziale per la gente di colore che viaggiasse per gli Usa, soprattutto negli Stati segrazionisti del Sud dove l'apartheid permaneva malgrado la Corte Suprema, malgrado Kennedy e malgrado il potere federale. Succede che un talentuoso e ricco pianista nero acquisisca i servizi di autista e un po' tuttofare di un italo (siculo)- americano per una tourné che lo porterà giù giù verso il profondo Sud. Lì, lui, l'autista e noi spettatori finiremo coinvolti nelle contraddizioni di quei tempi e di quei luoghi.
Contraddizioni ben oltre il facile schema del privilegio classista. Perché il film dimostra che classe e privilegio, classe e colore, vanno talvolta in corto circuito. Il pianista ha laute retribuzioni e calorose accoglienze. Però il suo autista bianco può partecipare ai pranzi dei bianchi e condividerne i servizi igienici. Lui , il pianista, no. Lui deve cercarsi con il Green Book un hotel per neri e servirsi di una latrina all'aperto. Il film è nella storia, nella regia e nell'interpretazione di due candidati all'Oscar: Vigo Mortensen che non ricordo mai così bravo, convincente nella parte dell'italo(siculo)-americano paramafioso che riesce a creare empatia verso quel mondo di irregolari e criminali sì, ma meno affetti dal morbo razzista; e Mahershala Alì il pianista che appare all'inizio rassegnato alle regole di quei tempi e di quei luoghi, e poi no.
Avevo 19 anni nel 62, l'anno in cui è ambientato Green Book. Avevo conosciuto la ragazza che da allora è la persona a me più vicina. Seguivo la politica italiana ed internazionale. Sapevo del conflitto fra potere federale e Stati del Sud, leggevo di segregazione indomabile e di rivolte. Ma solo il cinema e solo film come Green Book mi hanno fatto sentire l'odore e il sapore di quell'epoca triste. Triste come l'attuale. Coltivo lo stupore per come quel Libro Verde potesse apparire un normale servizio ai neri. Coltivo insieme lo stupore per l'assenza di sospetto nei neorazzisti che la Storia potrà disprezzarli e ridere delle loro convinzioni irrazionali e nefaste. Così come oggi ridiamo (amaramente) di quel che accadeva alla strana coppia in viaggio per il profondo Sud.
Il Libro Verde, nel 1962, anno in cui si sviluppa la storia peraltro autentica, era allora una guida essenziale per la gente di colore che viaggiasse per gli Usa, soprattutto negli Stati segrazionisti del Sud dove l'apartheid permaneva malgrado la Corte Suprema, malgrado Kennedy e malgrado il potere federale. Succede che un talentuoso e ricco pianista nero acquisisca i servizi di autista e un po' tuttofare di un italo (siculo)- americano per una tourné che lo porterà giù giù verso il profondo Sud. Lì, lui, l'autista e noi spettatori finiremo coinvolti nelle contraddizioni di quei tempi e di quei luoghi.
Contraddizioni ben oltre il facile schema del privilegio classista. Perché il film dimostra che classe e privilegio, classe e colore, vanno talvolta in corto circuito. Il pianista ha laute retribuzioni e calorose accoglienze. Però il suo autista bianco può partecipare ai pranzi dei bianchi e condividerne i servizi igienici. Lui , il pianista, no. Lui deve cercarsi con il Green Book un hotel per neri e servirsi di una latrina all'aperto. Il film è nella storia, nella regia e nell'interpretazione di due candidati all'Oscar: Vigo Mortensen che non ricordo mai così bravo, convincente nella parte dell'italo(siculo)-americano paramafioso che riesce a creare empatia verso quel mondo di irregolari e criminali sì, ma meno affetti dal morbo razzista; e Mahershala Alì il pianista che appare all'inizio rassegnato alle regole di quei tempi e di quei luoghi, e poi no.
Avevo 19 anni nel 62, l'anno in cui è ambientato Green Book. Avevo conosciuto la ragazza che da allora è la persona a me più vicina. Seguivo la politica italiana ed internazionale. Sapevo del conflitto fra potere federale e Stati del Sud, leggevo di segregazione indomabile e di rivolte. Ma solo il cinema e solo film come Green Book mi hanno fatto sentire l'odore e il sapore di quell'epoca triste. Triste come l'attuale. Coltivo lo stupore per come quel Libro Verde potesse apparire un normale servizio ai neri. Coltivo insieme lo stupore per l'assenza di sospetto nei neorazzisti che la Storia potrà disprezzarli e ridere delle loro convinzioni irrazionali e nefaste. Così come oggi ridiamo (amaramente) di quel che accadeva alla strana coppia in viaggio per il profondo Sud.
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