martedì 12 febbraio 2019

Diversi nella voce: e allora?


Di Sanremo mi resta poco di musica e qualcosa di “filosofico”. Della filosofia inconsapevole e implicita nei conflitti più minuti. Ho appuntato il conflitto fra Francesco Renga e il resto (quasi) del mondo. Renga che spiega la debacle femminile sia nel numero di presenze che nell'assenza totale sul podio. La spiega dicendo che la voce maschile ha una gradevolezza superiore di quella femminile, tranne casi particolari. Insorgono le donne, cantanti e no. E citano Mina e tante altre. Io, da incompetente, grossolanamente sarei contro Renga. Ma non è questo il punto. Infatti ammiro il coraggio di Renga. “Coraggio” perché oggi appare arduo ovvero politicamente scorretto dire che la donna è inferiore in qualcosa all'uomo. Il contrario invece appare corretto e benedetto. Possiamo dire (e io lo dico) che le donne sono insegnanti migliori, politici migliori, etc. sebbene discriminate. Nessuno insorgerà scandalizzato. A me pare che un tale atteggiamento di “discriminazione positiva” riguardo le donne sia un malsano effetto del senso di colpa maschile. Che, consapevolmente o no, risarcisce a parole l'altra metà del cielo, conservando poi, e di fatto, difendendo ineguaglianze intollerabili. Vorrei sentirmi libero di pensare e dire che le donne in auto hanno maggiore difficoltà a dare la precedenza ai pedoni sulle strisce perché – ipotizzo- detestano fermarsi e ripartire. Sono consapevole che può trattarsi di una mia distorsione percettiva o di un pregiudizio. Mi piacerebbe però sentirmi libero come Renga. Davvero non so infine se il mondo cresca solo nell'eguaglianza indiscriminata di uomini e donne o piuttosto anche in una ragionevole complementarità di persone e talvolta un po' di sessi: tu cantante, io pittore; tu scrittrice, io filosofo; tu dotata di intelligenza emotiva (per “sentire” le persone), io dotato di intelligenza spaziale (per guidare l'auto).

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