E' il film più terrificante che abbia visto, a mia memoria. Non ho ancora letto il libro di Saviano, ma non credo che il film possa esservi inferiore per qualità. Ottima sceneggiatura (con lo stesso Saviano), efficace e nitida, regia inappuntabile e senza fronzoli di Giovannesi, adolescenti interpreti assolutamente credibili, a partire da Francesco Di Napoli, quindicenne interprete di Nicola, alla sua prima prova, come gli altri, affrontata con la verosimiglianza che è possibile solo a taluni attori presi dalla strada -da una pasticceria nel caso di Francesco- oppure ai grandi attori.
La storia è quella della discesa agli inferi di ragazzi di un quartiere di Napoli. Uno fra i tanti quartieri "pittoreschi": che oggi significa senza legge e senza Stato. Il regista non lo sottolinea affatto, ma nella storia spicca l'assenza di divise. Non esiste polizia né si scorgono vigili urbani. I protagonisti, come tutti, vanno in motoretta per Napoli in tre e naturalmente senza casco. Viene da pensare che questa storia nasca da tale assenza di regole e di Stato, compresa l'assenza di scuola, che pur sappiamo presente qua e là con esempi mirabili di rischioso impegno. Anch'essa – la scuola - invisibile nel film e mai nominata, neanche indirettamente, dai protagonisti, dotati di una lucida e precoce intelligenza del mondo. Chiamo "intelligenza" la capacità di selezionare ciò che davvero li riguarda. Non li riguarda studiare italiano e latino. A loro basta l'espressivo dialetto ed una mimica efficace. Non li riguarda prepararsi ad un lavoro e ad una carriera di cui non hanno visto esempi nel quartiere. Quei ragazzi hanno intuito che quelle cose nascono da reti da cui saranno sempre esclusi. Apprendono pure che possono procurarsi scarpe e abiti griffati, subito e facilmente, semplicemente con metodi alternativi: il coraggio di rischiare la vita, fare gruppo, spaventare, costruire alleanze. Non sono rivoluzionari per niente. Vogliono le stesse cose che vuole la ricca borghesia. Frequentare i suoi locali, bere champagne, sniffare cocaina. Anche innamorarsi, perché no? La tenerezza di Nicola, boss adolescente, verso la sua ragazza è eguale a quella dei ragazzi "bene". Mentre è maggiore che nei ragazzi borghesi, che prendono e non possono dare, l'amore per la madre, da onorare, proteggere e riempire di doni costosi e inattesi. Poi c'è anche una graduatoria dei valori camorristici per cui il boss più grande è quello che può essere generoso e regalare al suo quartiere l'esenzione dal pizzo. Il film non giudica. Registra. Atterrisce. Perché ci mostra che non c'è scampo. Non può esserci. Ci sarebbe solo se gli adulti non facessero inutili prediche, ma indicassero progetti di vita diversi e davvero praticabili. Se potessero mostrare che è possibile essere apprezzati, remunerati, riconosciuti coltivando il talento per servire la comunità. Che non ci sono favori o handicap e che nessuno è perduto in partenza. Ma gli adulti oggi non possono promettere questo. Perciò la speranza è pari a zero, a Napoli ed anche nel Paese. La storia si conclude, anzi non si conclude affatto, come suggerisce la fine istantanea del film, con l'emergere di una generazione successiva a quella dei protagonisti ragazzi. Si affaccia – e non ce lo aspettiamo- la generazione dei fratelli minori, dei bambini.
Guardo la sala perché ho un pensiero "scorretto". Stimo Saviano e soprattutto disistimo assolutamente i suoi detrattori. Nondimeno non posso impedirmi un sospetto: se i convincenti protagonisti non rischino di affascinare gli spettatori giovanissimi. Non il pubblico in sala, di ceto medio democratico. Ma gli altri? Saviano ci ha più volte risposto che no, che la verità non può nuocere, in questo caso come per Gomorra. Io tento di rassicurarmi pensando che i giovanissimi non vanno al cinema, se non per film di eroi con armature improbabili e maschere. Questo film, come Gomorra, però, lo vedranno in Tv o sui tablet. Non ci sarà nessuno a confrontarsi con loro. Potrebbero/dovrebbero vederlo a scuola, con insegnanti capaci di ascoltare e di mettere le mani nei fantasmi che agitano le fantasie dei nostri adolescenti. In qualche caso avverrà. Ma la selezione e valorizzazione di veri insegnanti, presidio di cultura e legalità, non è una nostra priorità, non è una priorità della politica. Poiché non lo è, il film mi ha atterrito.
La storia è quella della discesa agli inferi di ragazzi di un quartiere di Napoli. Uno fra i tanti quartieri "pittoreschi": che oggi significa senza legge e senza Stato. Il regista non lo sottolinea affatto, ma nella storia spicca l'assenza di divise. Non esiste polizia né si scorgono vigili urbani. I protagonisti, come tutti, vanno in motoretta per Napoli in tre e naturalmente senza casco. Viene da pensare che questa storia nasca da tale assenza di regole e di Stato, compresa l'assenza di scuola, che pur sappiamo presente qua e là con esempi mirabili di rischioso impegno. Anch'essa – la scuola - invisibile nel film e mai nominata, neanche indirettamente, dai protagonisti, dotati di una lucida e precoce intelligenza del mondo. Chiamo "intelligenza" la capacità di selezionare ciò che davvero li riguarda. Non li riguarda studiare italiano e latino. A loro basta l'espressivo dialetto ed una mimica efficace. Non li riguarda prepararsi ad un lavoro e ad una carriera di cui non hanno visto esempi nel quartiere. Quei ragazzi hanno intuito che quelle cose nascono da reti da cui saranno sempre esclusi. Apprendono pure che possono procurarsi scarpe e abiti griffati, subito e facilmente, semplicemente con metodi alternativi: il coraggio di rischiare la vita, fare gruppo, spaventare, costruire alleanze. Non sono rivoluzionari per niente. Vogliono le stesse cose che vuole la ricca borghesia. Frequentare i suoi locali, bere champagne, sniffare cocaina. Anche innamorarsi, perché no? La tenerezza di Nicola, boss adolescente, verso la sua ragazza è eguale a quella dei ragazzi "bene". Mentre è maggiore che nei ragazzi borghesi, che prendono e non possono dare, l'amore per la madre, da onorare, proteggere e riempire di doni costosi e inattesi. Poi c'è anche una graduatoria dei valori camorristici per cui il boss più grande è quello che può essere generoso e regalare al suo quartiere l'esenzione dal pizzo. Il film non giudica. Registra. Atterrisce. Perché ci mostra che non c'è scampo. Non può esserci. Ci sarebbe solo se gli adulti non facessero inutili prediche, ma indicassero progetti di vita diversi e davvero praticabili. Se potessero mostrare che è possibile essere apprezzati, remunerati, riconosciuti coltivando il talento per servire la comunità. Che non ci sono favori o handicap e che nessuno è perduto in partenza. Ma gli adulti oggi non possono promettere questo. Perciò la speranza è pari a zero, a Napoli ed anche nel Paese. La storia si conclude, anzi non si conclude affatto, come suggerisce la fine istantanea del film, con l'emergere di una generazione successiva a quella dei protagonisti ragazzi. Si affaccia – e non ce lo aspettiamo- la generazione dei fratelli minori, dei bambini.
Guardo la sala perché ho un pensiero "scorretto". Stimo Saviano e soprattutto disistimo assolutamente i suoi detrattori. Nondimeno non posso impedirmi un sospetto: se i convincenti protagonisti non rischino di affascinare gli spettatori giovanissimi. Non il pubblico in sala, di ceto medio democratico. Ma gli altri? Saviano ci ha più volte risposto che no, che la verità non può nuocere, in questo caso come per Gomorra. Io tento di rassicurarmi pensando che i giovanissimi non vanno al cinema, se non per film di eroi con armature improbabili e maschere. Questo film, come Gomorra, però, lo vedranno in Tv o sui tablet. Non ci sarà nessuno a confrontarsi con loro. Potrebbero/dovrebbero vederlo a scuola, con insegnanti capaci di ascoltare e di mettere le mani nei fantasmi che agitano le fantasie dei nostri adolescenti. In qualche caso avverrà. Ma la selezione e valorizzazione di veri insegnanti, presidio di cultura e legalità, non è una nostra priorità, non è una priorità della politica. Poiché non lo è, il film mi ha atterrito.
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