Torno a casa (Ostia) dopo un breve ritorno a casa (Siracusa). Non ho partecipato ad eventi culturali. Neanche le rappresentazioni classiche al Teatro Greco, come invece pensavo avrei fatto. Non ho neanche rivisitato il Caravaggio del seppellimento di Santa Lucia. Ho mangiato granite di mandorla, cassatine siciliane e peperoni alla brace: sapori irraggiungibili, specialmente i peperoni. Ha prevalso la voglia di rivisitare i miei luoghi, le case abitate ad Ortigia e in borgata e i luoghi dove giocavo bambino. E poiché appartengo a quest'epoca malgrado io faccia lo schizzinoso, ho fotografato quei luoghi. Malamente perché sono un pessimo fotografo né ho voglia di imparare. Per la verità non ho tempo e voglia di imparare niente. Ho fotografato, irriconoscibile per la vegetazione spontanea che lo cela, l'antico arsenale greco, a pochi metri da casa, dove giocavo da ragazzino. I giochi crudeli dei ragazzini, dando fuoco a colonie di formiche e tagliando la coda alla lucertole. Lì una volta ragazzi più grandi presero una biscia e mi inseguirono per la borgata per tirarmela addosso. Mi tuffai in una casa a pianterreno, con la porta spalancata, e quelli lanciarono la biscia là dentro. Due signore si presero cura di me e mi sedarono con vino cotto. Le mie prime esperienze del prendersi cura. Come, poco dopo, il custode del circolo nautico che mi raggiunse a nuoto: appena in tempo. Non sapevo nuotare ed ero caduto mentre praticavo una pesca facile con la canna ed un amo -arpione in un mare affollato di cefali perché lì sboccava una fogna, paradiso per quei pesci. Il custode mi portò a casa sua e mi fece fare una doccia. Sua sorella lavò i miei panni e li stirò. I miei non hanno saputo niente della mia avventura. Mentre ancora mi chiedo se io mangiassi i cefali che più volte avevo pescato lì. Non lo ricordo o non voglio ricordarlo. Mia moglie invece ricorda bene che buttai fra i rifiuti i cefali che anni dopo, ignara dei miei traumi, aveva comprato al mercato del pesce. Ho rivisto i superstiti compagni di lavoro nella solita pizzeria presso l'inespugnabile Castello Eurialo (poi espugnato dai romani). Ho incontrato Natale e Peppe, vecchi compagni della mia militanza nel Pci, ora dispersi a sinistra. Mi sono unito al pranzo squisito organizzato dai compagni di scuola di mia moglie: i superstiti. Poi una preziosa conoscenza del tempo in cui lavoravo e che ora mi appare felice: la professoressa Maria Giovanna, adesso acquisita amica fb. Con lei e con MariaGrazia, esempio della gioventù italiana impegnatissima nella cura ai migranti, fra i non pochi conosciuti in rete e diventati amici veri, ho consumato – ad Augusta - la granita più buona.
Per il resto ho visitato Siracusa anche da turista. Perplesso. Una città divisa fra l'isola di Ortigia ripulita, elegante ed affollata di ritrovi per i turisti, e la vecchia borgata ed anche la Siracusa nuova dove – ancora in costruzione – trovavo monete greche, romane e bizantine. Marinavamo la scuola noi improvvisati archeologi quando una pioggia leggera rendeva visibili le antiche monete sul terriccio. Borgata degradata e Siracusa nuova, decadente e spopolata. In borgata ho fatto fatica a ritrovare la vecchia casa sul vecchio negozio di famiglia. Ho chiesto ad un vecchietto dove fosse il caffè Bottaro che stava proprio di fronte casa e negozio e dove imparai a bere caffè a ripetizione. Quello mi ha dato il numero della strada, aggiungendo "unni uora ci stanno i niuri". Era irriconoscibile, tranne che per il vecchio nome quasi illeggibile. E frequentato da neri in effetti.
Per il resto i luoghi del turismo sembrano tutti assomigliarsi, come tutti sembriamo assomigliarci, seduti in bar che si assomigliano e con eguali smartphone. Si assomigliano anche le ragazze che servono ai tavoli: a Roma, Berlino, New York e Toronto. Adoro quelle ragazze che non hanno tempo per smartphone e si prendono cura di me e di noi. La ragazza siracusana che mi serviva la granita davanti alla antica Chiesa di San Giovanni dove recitai ragazzo, già ateo, nella parte di un fervido credente,quando la Chiesa (con latomie) era governata dal mitico frate, Padre Pacifico (tale e quale il suo nome) che ci dirigeva, quella ragazza – dicevo – era tale e quale – bella e gentile - a quella che ci serviva la cena a Toronto un mese fa circa. Che accompagnava ogni servizio – portare acqua, vino, sparecchiare, etc. - con un aperto sorriso accompagnato da un "Are you enjoy"? Avrà chiesto dieci volte se eravamo contenti. Ma lo diceva con tale grazia che avrei gradito un undicesimo "are you enjoy?". Con la stessa grazia Alessandra, del bar vicino casa ad Ostia, domani mi saluterà con il suo "Ciao, Salvatore". Non vedo l'ora.