Non è pensabile nell'epoca che viviamo spiegare ai Paesi e alle bande in conflitto le ragioni dell'altro. Non è stato mai facile ed oggi è quasi impossibile. Come se le menti si fossero indurite perdendo quella porosità che in tempi migliori lascia filtrare pensieri diversi dai nostri. Quindi il cinema militante, magari commerciale (non quello dei cineforum), ma militante comunque, ci prova parlando d'altro. Così nella fantascienza o fantasociologia. Meglio parlare di scimmie se si vuole che gli uomini ascoltino, pensa evidentemente Matt Reeves autore di Apes revolution: il pianeta delle scimmie. Sembra esserci riuscito, a giudicare dalle presenze nelle sale. A conferma del potenziale impatto pedagogico della cinematografia “democratica”. Impatto maggiore delle denunzie esplicite, dei bei sermoni e forse anche delle meritevoli “partite per la pace”. Resta il dubbio di cosa si faccia strada nelle menti nel buio e nella solitudine della sala.
Nella premessa del film ancora un ammonimento sul rischio del dominio prometeico sulla natura. Stavolta in laboratorio sono state contaminate scimmie per sperimentare un vaccino. Il risultato è che le scimmie evolvono e l'uomo, contaminato dalle scimmie ovvero da se stesso, per via scimmia, muore. Divertente e illuminante il paradosso dialettico esposto da uno dei protagonisti per motivare la sua scimmiafobia: “Loro (le scimmie) ci hanno contaminato”. Beh, è normale nell'attribuzione delle responsabilità fermarsi all'anello della catena dove ci serve fermarci. E' diverso fra Israele e Hamas? Fra Ucraina e “ribelli russofoni”?
Resta dunque una colonia umana di indenni al virus fra le rovine di San Francisco. Che nulla sa di una vicina colonia di scimmie governata dal saggio Cesare. Le scimmie, con qualche buona ragione, considerano gli uomini responsabili del disastro né hanno perso memoria della storia di schiavitù antecedente. Poi c'è l'incontro. Perché gli umani vogliono recuperare l'energia di una diga per riconquistare luce ed energia.
E qui si apre la doppia dialettica. Fra scimmie e umani. Ma anche fra moderati delle due comunità ed estremisti, scimmie ed uomini. In effetti non appare motivo alcuno di conflitto. Se ci si fermasse alle cose. Le due comunità potrebbero convivere in pace. Sì, come palestinesi ed israeliani. Come Tutu e Tutsi. Etc, etc. Inevitabilmente la moderazione e il dialogo esercitati dai leader delle due comunità apre spazi ai guerrafondai. A chi non dimentica. A chi guarda al passato e non sa immaginare il futuro. A chi è interessato a provocare. A chi è interessato a rispondere alla provocazione. Il pacifista Cesare, come Rabin, è colpito dal suo antagonista. In questo caso per attribuirne la colpa agli umani. A differenza di Rabin, Cesare non è però colpito a morte. Si aprono momenti di speranza e battaglia fra pacifisti che vogliono convivere, scimmie e umani, contro guerrafondai, uomini e scimmie. Ma poi, provocazione dopo provocazione, la logica del peggio prevale e torna la logica comunitaria e razziale. Il moderato Cesare dovrà accettare di guidare le sue scimmie nel conflitto ormai inevitabile.
Lo dico grossolanamente e fuori dai denti. Non credo che l'autore di Apes revolution abbia voluto parlare a Netanyau e ad Hamas. Opera del tutto inutile. Come parlare a Koba, la scimmia bellicista o agli uomini che nel film non vedono l'ora di menare le mani. Non si parla di pace a quelli che sono protagonisti grazie alla guerra. Credo che l'autore abbia voluto incoraggiare Abu Mazem insieme agli israeliani che si battano per i diritti dei palestinesi. Quelli che tentano di costruire. Credo che, parlando di conflitto fra scimmie e umani, abbia voluto aggirare le resistenze dei moltissimi che nel mondo assumono posizioni pre-giudiziali . Quelli che nelle risse dei socialnetwork stanno con il governo della Ucraina o con Putin. A prescindere. E che avvertono odore di bruciato, di falso o di congiura davanti a qualsiasi informazione che sembri contraddirli. La scommessa è che interiorizzino dubbi e punti di vista divergenti senza doversi vergognare di farsi convincere. Cosa da “femminucce” farsi convincere nell'epoca triste che viviamo.