Prendo
il trenino di Ostia per andare al Teatro Vittoria ad ascoltare le
ragioni “degli scissionisti”. Al solito quello che vedo nel
percorso mi ispira nelle lenti che inforcherò durante l'incontro..
Alla stazione di Ostia osservo un uomo non particolarmente
sospettabile di povertà raccogliere una cicca per terra, esaminarla
e metterla in tasca. Poi salgo su una carrozza più indecente che
mai. Vecchia e fatiscente, imbrattata di annunci di Giovanni che ama
Maria e di Stefania che ama Alfredo (ma nessuno/a ama la sua città
evidentemente). Poi
osservo lo sporco di anni sui finestrini, fuliggine ed altro in un
impasto osceno. Per fortuna non vedo turisti sul trenino: una
vergogna in meno. Mi dico la solita cosa del tutto inutilmente: “Ma
in che senso manca il lavoro”?C'è un mucchio di lavoro che aspetta
i disoccupati. Ci penserò anche dopo camminando veloce verso il
Teatro Vittoria e osservando il verde pubblico e i giardini (compreso
quello dedicato ad una “resistente”) trascurato e ingombro di
immondizie varie. Non c'è lavoro? Prima di scendere ho visto una rom
che attraversa le carrozze con un neonato e chiede elemosina. Un
neonato usato e già condannato. Perché salvarlo non è nell'agenda
politica delle tassazioni e dei bonus. Arrivo quindi al Teatro
Vittoria già notevolmente irritato. Il Teatro è già pieno. Sono
entrati prima gli invitati, dicono a me e all'amico Giuseppe con cui
mi accompagno. Centinaia di persone restano fuori. Di tutte le età.
Molti giovani: colti. Due addirittura discutono del sistema
elettorale australiano. Seguiremo i lavori in piazza su uno schermo.
Lo schermo esibisce il logo di democraticisocialisti di Enrico Rossi.
Ha i colori del logo PD. Lo interpreto come un segnale che oggi non
si annuncerà la scissione. Col piccolo dubbio che si tratti invece
di una svista, una dimenticanza.
Parla
Rossi, poi Speranza, poi Emiliano. Nessuna differenza avvertibile nei
tre candidati. Le differenze sono quasi solo di stile. Con Emiliano
che confessa che nell'intesa fra i tre lui è quello che deve fare
ridere un po'. La differenza più evidente è in Rossi che ha deciso
di scomodare una parola impegnativa: “Socialismo”. In un'epoca in
cui solo le facce sono diverse mentre i nomi delle cose da combattere
sono eguali, a destra e sinistra: austerità, troika, finanza,
neoliberismo. Una vecchia parola - con i concetti e le passioni che
porta con sé – quale “Socialismo” è una scommessa
interessante e coraggiosa. Anzi una sola volta Rossi dice
“Socialdemocrazia”, invece che “Socialismo”. Credo perché
imbarazzato per lo scolorimento della socialdemocrazia un po' ovunque
e in Europa soprattutto dove i partiti aderenti al Partito Socialista
Europeo mai pronunciano la parola “Socialismo”. Abbastanza
coerente il discorso di Rossi rispetto a quella parola impegnativa. E
simile ai discorsi di Speranza ed Emiliano che pur non scomodano il
socialismo. Gli ultimi e le periferie abbandonati dalle sinistre
mondiali e dal PD renzizzato e consegnati alle destre che almeno sono
capaci di agitare un comodo nemico cioè gli immigrati. Abbandonata
dal PD o banalizzata con risorse risibili la lotta alla povertà.
Mentre il PD di Renzi distribuisce bonus, incentivi e detassa la
prima casa anche ai miliardari. Emiliano aggiunge l'argomento
ecologico a proposito delle belle coste pugliesi devastate da
trivelle. Insomma, secondo i tre, nulla di sinistra è rimasto nel PD
di Renzi. Che ha scelto l'amicizia di Marchionne e l'inimicizia col
sindacato. E perso, ad esempio, il favore dell'elettorato storico
degli insegnanti Infatti il PD è già stato abbandonato da larga
parte del suo popolo. I tre candidati in sintesi chiedono: a) una
svolta programmatica, da definire in apposita Conferenza, b)
l'impegno ad un sostegno al governo Gentiloni fino a conclusione
della legislatura, c) una gestione condivisa del partito.
L'ultima
richiesta mi sembra quella assolutamente non esaudibile, pena
l'appannamento definitivo del ragazzo prodigio che non fa patti,
rottama qui e là e litiga con tutti, Europa compresa, per non
perdere il match con i populisti, magari rimuovendo la bandiera della
Ue. Più probabile addirittura è che mantenga la promessa di un
tempo, uscendo dalla politica, per poi tornarvi magari a sperato
furor di popolo. Dei tre candidati è Speranza quello che più
chiaramente sembra chiedere a Renzi una uscita di scena più che
collegialità decisionale. Anche oggi col ricordo della generosità
di Veltroni e di Bersani nel farsi da parte.
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