sabato 31 ottobre 2015

Un pensiero futile che diventa serio


Ieri sera facevo zapping fra la 7 e Rai1. Fra Crozza e Conti. Annoiandomi abbastanza, forse più con Crozza che con Conti. Nel programma "Tale e quale" ho intercettato una imitazione di Giusy Ferreri preceduta da una esibizione di repertorio della cantante. Non seguo molto la musica e le canzonette. Ma Giusy Ferreri è stata una cantante che mi ha molto preso ai suoi esordi di successo nel 2008 con "Non ti scordar mai di me". Poi, per quanto ne so, è scomparsa dalle grandi scene e dal successo. Così, ascoltando la sua per me straordinaria vocalità e personalità, sono tornato a chiedermi: perché? Cosa succede agli artisti per spiegare un repentino declino? Poi ho pensato che la mia domanda poteva riguarda tante persone di successo, politici compresi. Cosa è successo ad Ingroia? Cosa a Fini? Cosa a Di Pietro? Azzoppati dalla impietosa imitazione di Crozza il primo, da faccende di case a Montecarlo o in Abruzzo gli altri? Un pensiero politicamente serio dovrebbe suggerirmi che ci sono ben altre ragioni. Ma io non ho pensieri seri riguardo la politica. Tendo invece a pensare al Caso. Ovvero a un intreccio di eventi, forze e controforze (l'impresario giusto o la scommessa dei media) che fanno e disfano E resto con l'impressione amara che nulla possiamo contro il capriccioso Caso. A meno di alzare molto in alto l'asticella dei nostri progetti. A partire dalla scommessa nella verità come la percepiamo e da un sistema di valutazione tutto da fare. Quello che manca nel nostro Paese soprattutto. E per il quale i migliori vanno altrove. P.S. Sto alludendo anche a Renzi? Anche. Uno degli esempi possibili di un vuoto che diventa pienissimo e solido. A partire da quando un tale -chissà chi- lo scelse per qualcosa. Seguì il secondo e il terzo. E seguì la valutazione superficiale del bravo Bersani che si fece bello lasciandogli generosamente aperta la via. Così vanno le cose del mondo: per chi scende e per chi sale. La ragione dormicchia. https://www.youtube.com/watch?v=d5CFNgqdy5I

martedì 27 ottobre 2015

Lo stagista inaspettato: ovvero la libertà possibile e necessaria che invece ci manca


Regista e attori affermati incontrano un tema, con stimolanti temi di contorno, che meriterebbe uno sviluppo più “drammatico” e una diversa attenzione del cinema. Nancy Meyers, la regista, Robert De Niro il protagonista, Anne Hathaway la protagonista de “Lo stagista inaspettato” .. Il tema principale è il senso della terza età. Un'età improvvisamente privata della dimensione lavorativa. E progressivamente privata della dimensione erotica. Due privazioni variamente avvertite come drammatiche dagli anziani. Da qualcuno no, dai più sì. Privazioni che sono delle persone coinvolte ed anche della comunità. La comunità però sembra non farsene carico. Non avverte di privarsi di qualcosa, privandosi dei saperi e del lavoro degli anziani. Tutt'altro. Nella stupidissima immaginazione del lavoro come merce rara, la fuoriuscita di un anziano dal cosiddetto mercato del lavoro è vista positivamente come un posto liberatosi fra i commensali di una torta assegnata. In ciò normalmente il pensiero della cosiddetta sinistra è spesso più arretrato di quello di destra. Ma torniamo al film. Mi è piaciuto soprattutto l'esordio. La descrizione della nuova vita di Ben, ex dirigente, ora pensionato. Con i binari che il pensiero comune di oggi assegna: i giochi, la ginnastica, lo yoga, il volontariato e cose così per riempire la vita vuota. Ancor più vuota se il pensionato sperimenta la solitudine affettiva della vedovanza. In tale tristissima normalità irrompe un'occasione insolita. E' l'opportunità di uno stage per anziani inventato da una giovanissima azienda di e-commerce, creata da un giovane talento femminile, quello di Julie. L'imprenditrice riassume i caratteri dei giovani talenti imprenditoriali che sono la positiva scoperta di questi tempi contraddittori. Almeno in America. Giacché altrove i tempi della vita attiva, ridotti in su, si riducono anche giù: sempre più tardi al lavoro e ancora troppo presto fuori. E soprattutto con rigida separazione dei tempi di studio, gioco e lavoro. Buffo che in Italia ad esempio si sia così timidi nel consentire di pensionarsi prima a chi non ha lavoro ed altrettanto timidi nel realizzare una fuoriuscita morbida dal lavoro, con conti che sembrano non tornare mai. Infine grottesco, oltre che buffo, che ci si privi di saperi di alta qualità e talvolta non surrogabili per “raggiunti limiti di età”. Boh! Ben si trova inserito in una dinamica aziendale per lui insolita. E' il secondo tema del film. Quello della giovane impresa con tutte le caratteristiche estremamente innovative dei distretti della new economy: spazi aperti, clima cameratesco e (apparentemente) non gerarchico, grande flessibilità nell'articolazione e commistione dei tempi di lavoro e di svago o riposo. Con il boss, Julie, che percorre, tutta casual, in bici gli spazi comuni. Affascinante, no? Però non c'è memoria di saggezza antica nella nuova impresa. Perché l'innovazione non distrugge solamente. Perde memoria del vecchio. Di cui qualcosa servirebbe talvolta recuperare e metabolizzare. E' il ruolo che svolgerà il vecchio Ben diventato insostituibile come autista, baby sitter, consulente di affari e di cuore. Chissà perché alla fine il film restituisce Ben ai giochi fatui del suo pensionamento. Forse per non affondare troppo la lama con la denuncia del masochismo della nostra civiltà che ha bisogno di tempi certi per scandire la vita, con privilegi e costi assegnati burocraticamente in ogni fase. Voglio dire che lo stagista non dovrebbe essere mai inaspettato Si sovrappone poi il tema del conflitto fra affermazione della donna e crisi del maschio. Col marito di Julie che prima consente al modello della nuova paritaria divisione dei ruoli. Lui, prima in carriera, rinuncia al lavoro e diventa casalingo in obbedienza al consolidato “politicamente corretto”. Naturalmente i maschi della nuova generazione pagano prezzi elevati, vivendo un presente nuovo con la mente foggiata dai vecchi stereotipi. Sicché l'ex maschio in carriera, diventato casalingo, tradirà l'avvenente moglie. Mi sembra che il film difetti nel mancato approfondimento del tema del pensionamento come punizione e su quello dell'irruzione del protagonismo femminile nel lavoro. Mi sembra anche che pecchi di conformismo puritano sul tema della sessualità. Il vedovo settantenne troverà risposta alle sue pulsioni nella piacevole massaggiatrice aziendale, più o meno cinquantenne. Curioso però che la regia scelga di esibire l'eccitazione maschile al massaggio della cinquantenne mentre non c'è traccia di eros nel rapporto diventato intensissimo fra il settantenne e la ventenne protagonista. La sessualità degli anziani non è ancora tema gradito. A maggior ragione sgradito è il tema dell'incontro fra la sessualità anziana e quella giovane. Polansky e forse anche Allen avrebbero raccontato (anche per averla vissuta) una storia diversa. Con molto coraggio in più.

sabato 24 ottobre 2015

Piccoli delinquenti inconsapevoli


Expo, Mose, Mafia Capitale, Anas, Banche varie, Ospedali (ultimo l'Israelitico), etc. Impossibile ricordare tutti i casi di corruzione ed imbrogli vari di quest'anno. Non so voi ma io mi chiedo se andiamo verso il peggio cioè verso una società in cui corruzione, mafia e imbroglio sono la normalità oppure se non c'è l'incremento che pare esserci. Forse (e tendo a credere in questo) la magistratura italiana funziona sempre meglio, pur con i limiti del sistema afflitto da lentezza e carenza di risorse. Forse, continuando così nell'opera di investigazione e repressione (governi permettendo), i criminali in colletto bianco decideranno di cambiare mestiere. Forse. Dimenticavo la diversa delinquenza dei "piccoli", quella degli allegri impiegati del Comune di S. Remo. Mi ha molto divertito, mentre mi faceva molto pensare, l'esempio di tale Maurizio Di Fazio, assentatosi 72 volte senza marcare il cartellino. Addetto all'Archivio, preferiva andare a giocare al biliardo nel tempo di lavoro. La cosa divertentissima è che il povero delinquente, mentre truffava Stato e cittadini, sul suo Diario facebook inveiva contro "la casta, le tasse e i politici che rubano". Ho controllato quel Diario e confermo che Di Fazio appare un intrepido esponente dei neo-indignados italici. Assolutamente ignaro, deduco, del fatto che lui contribuiva grandemente all'incremento delle tasse. Ne sono praticamente certo: quasi nessun delinquente "indignado" sospetta minimamente di essere parte del problema che denuncia.

venerdì 23 ottobre 2015

Il grande vecchio e il giovane esecutore


V. Veniamo al sodo. Ti ho chiamato perché tu sarai il padrone dell'Italia. G. Io? Scherzi? In che senso? E perché? V. Sarai capo del governo, di un governo che governerà davvero. Per tutto il tempo necessario. Almeno due legislature. E. Pensi che ne abbia le qualità? V. Tutte quelle che servono. Praticamente non sai niente. Anche questa può essere una qualità. Le tue caratteristiche personali sono ciò che conta. Sei sveglio. Energico. Non sprechi energie con le donne. Non stimi nessuno. Benissimo. Non fai lunghi discorsi. Anche perché non sapresti farli. Benissimo. Non credi in principi e ideologie. Benissimo. Sai sfottere, sai essere insensibile, sai essere spregiudicato. Usi slide e tweet. Ti fai capire da tutti. Perché non sei tentato dai discorsi difficili. Benissimo. Hai tutto. G. Se lo dici tu... Ma avrò un partito alle spalle? Se sì, quale? V. Quello in cui stai ora va bene. E' il più grosso ed è anche quello più scalabile. Con le primarie lo scalerai facilmente. Primarie aperte, molto aperte. G. Come farò a vincerle? V. Con pochi e ripetuti argomenti. Il principale è la rottamazione. Parola che già ti ho visto usare. I nostri concittadini ormai non capiscono nulla. Quando non si capisce nulla di un auto che va male l'unica soluzione è cambiare autista. Via i vecchi allora, quelli che hanno sempre governato non realizzando un bel niente. E largo alle giovani leve: ragazzi e ragazze, preferibilmente di bell'aspetto. G. Ma ci ha provato già Berlusconi così… V. Sì, infatti io puntavo su di lui. Ma è entrato in confusione. Ha pensato di potersi permettere tutto. Potere e giovani donne e notti insonni. E sbeffeggiamenti a quelli più potenti di lui. Ha dilapidato un patrimonio. G. Ma io sto a sinistra. V. Sì? G. No? V. Stai in un partito che si dice di sinistra. E' un vantaggio. Erediterai l'elettorato di sinistra e conquisterai quello di destra. Li avrai tutti, per fedeltà alla bandiera o per convinzione. G. Facendo politiche di destra? V. Vedi? Hai già capito. G. E' facile tenere insieme destra e sinistra? V. Per te sarà facile. Puoi usare due argomenti. Il primo: io sono la sinistra che vince. Facendo politiche di destra. Ma questo non occorre che tu lo dica. Eventualmente puoi usare il secondo argomento. G. Quale? V. Potrai citare il grande Teng Siao Ping, quello che riportò la Cina alla ragionevolezza. Lui diceva: “Non importa se i gatti sono bianchi o neri. L'importante è che acchiappino i topi”. Puoi costruire le varianti che vuoi a questa geniale affermazione. G. Fammi qualche esempio. V. Potrai dire: “Non perdo tempo con discorsi inutili: destra, sinistra e stupidaggini simili. Io penso all'Italia”. Fai qualche smorfietta ogni tanto, per far capire che potresti dire di peggio. G. Praticamente quale programma attuerò? V. Liberalizzerai il mercato del lavoro. Solo con la fiducia di poter licenziare si possono fare assunzioni. Ridicolizzerai il vecchio Statuto dei lavoratori. Accidenti: è del 70. Il mondo è cambiato e noi ci teniamo ancora quel ferro vecchio? Liberalizzerai l'uso dei contanti e l'uso del territorio. L'economia riparte se ripartono i consumi: paninifici, sale scommesse, casinò, barche e case. Non è una bugia. E' così. E' il pensiero comune ormai. Solo pochi pazzi pensano alla decrescita felice e cavolate simili. G. Poi? V. Subito devi occuparti di una nuova legge elettorale. Una che ti assicuri di vincere anche con 1/5 degli elettori. Si può fare. Quando avrai vinto anche i 4/5 passeranno con te. Mostra i muscoli. Agli italiani piacciono quelli muscolari. E fatti beffe di chi si oppone. Quelli sono gufi. Tifano contro l'Italia. Puoi anche inventarti riforme senza senso. L'importante è che tu le realizzi. Gli italiani apprezzeranno chi fa le cose. Quali che siano queste cose. Anche orrende. Realizzale con le brutte, se serve. Col voto di fiducia e minacciando di mandare tutti a casa. Riforma il Senato, ad esempio. Magari riducendo il numero dei senatori. E' un argomento che manderà in brodo di giuggiole i cittadini. Risparmiare 100 milioni. Chi può essere contrario? I politici che si opponessero si brucerebbero per sempre. G. Ma, scusa, 100 milioni sono niente. V. Sì. Ma tu credi che i tuoi concittadini sappiano cosa sono 100 milioni rispetto ai miliardi della spesa pubblica o ai miliardi del debito pubblico? Queste cose non si insegnano a scuola. I cittadini capiscono solo che sono “tanti”: pochi milioni o molti miliardi che siano A proposito di debito pubblico e di deficit: infischiatene. Fai ai cittadini tutti i regali che servono. Qualche spicciolo ai poveracci e diversi miliardi a quelli che fanno l'economia, che ti possono sorreggere o farti cadere. E – mi raccomando – se l'Europa si oppone, va avanti lo stesso. Anzi, se Bruxelles si oppone è un terno al lotto per te. Avrai la strada spianata. Apparirai il fiero difensore della Patria. Spiazzerai del tutto la destra. E anche la sinistra. Tutti si dicono contro Bruxelles. Tu lo sarai davvero. Impara a dire: “Qui in Italia, non comandano i burocrati di Bruxelles. Nessuno puoi farci la lezioncina”. Conquisterai tutti. G. Sembra facile. V. Lo è. Comincia subito. Non mi deluderai. P.S. Un po' per gioco. Ma nella sostanza è andata così.

martedì 20 ottobre 2015

Regali visibili e taglieggiamenti occulti


Non credevo alle mie orecchie ed ai miei occhi. Invece è vero. Davvero il governo pensa di far cassa autorizzando 22.000 (ventiduemila) nuove sale scommesse. Che ovviamente costeranno ai poveri dipendenti del gioco d'azzardo assai più di quanto lo Stato incasserà. E costeranno alla sanità pubblica. Il gioco è vecchio e sempre più spregiudicato: fare regali visibili cioè attribuibili al generoso Renzi (80 euro, abolizione dell'imposta sulla prima casa e molto altro) scaricando ad altri i costi invisibili (agli enti locali, al debito pubblico cioè alle future genearazioni). Un suggerimento per fare ancora cassa: e perché no 22.000 postriboli e 22.000 fumerie di cocaina?

venerdì 16 ottobre 2015

Suburra: senza riparo?


La suburra, nell'antica Roma era l'area del vizio, del piacere e del degrado. Perfetta metafora per Roma oggi e per l'Italia intera. Almeno in gran parte. Il dubbio e il dibattito possibile riguarda l'estensione della Suburra metaforica e delle sue metastasi. Perché certamente la vita prosegue normale per i più, con lavori quasi solidi o variamente precari e con i nonni che rimediano (ancora per qualche tempo) ai bisogni di figli e nipoti, inoccupati oppure occupati a consumare birrette e slot machine. E con il piacere innocente di ritrovarsi al bar per parlare di Roma e Juventus o di colf e badanti o magari di Renzi. Ma forse anche nel popolo innocente qualcosa della metastasi è visibile e qualcosa concorre a nutrirla. Quando noi, popolo innocente, aggiriamo le regole per un posto, vuoi a scuola, vuoi al cimitero, oppure compriamo oggetti contraffatti oppure taciamo. Di questo non parla il film come non indica vie d'uscita dalla suburra. Forse questo manca per parlare di capolavoro. Manca un colpo d'ali che proponga un punto di vista nuovo e una soluzione originale. Suburra resta però un film di notevole confezione e potenza. Il film che più mi ha preso in questo inizio di stagione. Peraltro anticipatorio di ciò che oggi è visibile e scontato: Mafia Capitale, i Casamonica e il potere ostentato. Suburra è ambientato nei primi giorni del novembre 2011 mentre matura il collasso del governo Berlusconi. Il film , tratto dal romanzo di De Cataldo e Bonini, vede protagonisti politici e criminalità, con anche un cenno alla finanza vaticana. Fino all'Apocalisse finale che riguarda il quadro politico insieme ai protagonisti del film. Evidente e persuasivo il rapporto fra i vizi privati del parlamentare protagonista (Favino) e la criminalità, nella forma di favori e di scambio di convenienze. Per il politico il territorio e la sua gente sono mero oggetto di saccheggio e di piacere: il saccheggio del territorio (quello ostiense) e la riduzione ad oggetto di chi detiene il dono della giovinezza e della bellezza. Chiari i riferimenti alla cementificazione di Ostia, oggi solo parzialmente realizzata rispetto alle visioni che la immaginavano come futura Las Vegas. Chiaro, chiarissimo il rimando alle pratiche del bunga bunga dove il politico spende i risultati del suo agire. Impressionante e -ahimè! - credibile il politico che di fronte alla morte per overdose di una sua vittima, mentre cerca soluzione al problema, nella notte piovosa urina dal balcone dell'albergo sulla città immortale e sfregiata. Qui molto bravo Sollima, il regista, come Favino, il protagonista. Altrettanto credibile il microcosmo della cultura degli ex nomadi con la casa pacchianamente lussuosa in cui tranquillamente si esibisce violenza, abitata da torme di ragazzini vocianti che giocano a pallone fra costosissimi arredi. Perché a loro, agli “zingari”, è affidato l'onore di contenere il calo demografico di un ceto medio (più o meno) che non ama investire nei figli e teme il futuro. Vorrei dire ogni tanto degli interpreti, praticamente tutti bravi e anche eccezionalmente bravi, intenzionalmente – credo – scelti prevalentemente fra romani. Forse non più che buono il romanissimo Claudio Amendola, nel film il superboss che conserva nel cuore gli “ideali” fascisti. Molto convincente il giovane faccendiere e procacciatore di piaceri, Elio Germano (Lavitola?) come il politico PierFrancesco Favino, che potrebbe essere questo, quello, o l'altro ancora, troppi. Senza dimenticare lo sconosciuto per me interprete dello zingaro Anacleti, Adamo Dionisi. Bravissimo soprattutto il giovane Alessandro Borghi, il boss di Ostia, già da me “scoperto” in “Non essere cattivo”. Lì piccolo criminale. Come nel suo film precedente, Alessandro Borghi mi ha accompagnato a scoprire il peggio del litorale in cui ora vivo. A tal proposito non ho potuto non notare che il conflitto a fuoco che vede coinvolti il boss di Ostia con la sua ragazza e gli “zingari” in mezzo a innocenti frequentatori del centro commerciale, è proprio, alle porte di Fiumicino, quello che più sovente frequento per jeans, calzini e porchetta. Voglio dire che mi sono facilmente immaginato lì coinvolto “innocente”, ma responsabile di fare poco o niente. La mia responsabilità però non me lo ha suggerito il film quanto il mio sterile senso di colpa. Il mio ultimo pensiero è sulla fatalità del fenomeno per cui si brucia una foresta per farsi un uovo al tegamino. Continuo a pensare che, a differenza dei più, il costo della cattiva politica non è nella somma delle ruberie dei politici. Tutto sommato pochi miliardi. Se potessi darei loro quell'uovo al tegamino senza costringerli a dar fuoco alla foresta. Pochi miliardi per non costringerli a cementificare il Bel Paese, a intossicarlo coi veleni delle auto, a imbruttirlo con le slot del gioco d'azzardo, i camion, gli ambulanti e i gladiatori dei famosi (a Roma) Tredicine. Ma non saprei come fare a convincere i miei concittadini, gli stessi politici criminali, nonché i criminali di professione. Forse i criminali, politici e non, accetterebbero i miei benefit per poi aggiungere comunque nuovi proventi illegali. Non ci saranno mai miliardi che bastano. Impossibili da godere. Che si lasciano qui quando la vita finisce, magari senza avviso, come nei protagonisti di Suburra. La malattia incurabile è la stupidità dei cinici e feroci che credono di aver capito tutto.

mercoledì 14 ottobre 2015

Padri e figlie: fra cinema e realtà


Non sono un critico cinematografico. Nessun discorso su "piani sequenza" e cose simili. Sono un tale che da pensionato va più spesso al cinema. Ed è interessato un tantino al rapporto fra cinema e cultura: come il nostro modo di pensare si riflette nel cinema e cosa il cinema produce nel nostro modo di pensare. Poi credo che sempre ognuno di noi veda un film diverso pur vedendo lo stesso film. Che è sempre filtrato dalle lenti della nostra storia. Immagino che molti padri di figlie andranno a vedere il “Padri e figlie” di Muccino cercando di capire se si ritrovano in quella storia e magari cercando di capire che padri sono o sono stati. Sono portato a pensare che molti invidieranno lo scrittore interpretato da Russell Crowe per il privilegio capitatogli di un rapporto così intenso ed esclusivo con una figlia. Mettendo fra parentesi che nel film tale rapporto è permesso dalla perdita di una moglie-madre amata. Però è vero, benché si preferisca tacerlo, che i genitori si dividono di fatto, che lo vogliano o no, lo spazio affettivo dei figli. Ho avuto in sorte di avere tre figlie. Certamente l'impegno lavorativo pomeridiano di mia moglie determinò un rapporto intenso con la primogenita che non potei replicare con le altre due figlie, quando mia moglie smise di lavorare. Egualmente il caso, nella forma della crisi petrolifera del 73, con le domeniche senza auto, mi regalò l'emozione di portare in bici sul seggiolino in bici, sul manubrio di fronte a me, la primogenita, là dove lei non poteva sfuggire al mio sguardo. Con il canonico flash back Muccino ci spiega in che modo siamo determinati dagli eventi alle nostre spalle. Scegliendo però un evento tragico. Sicché il lutto, con connesso senso di colpa, determina le patologie psichiche del padre scrittore come -dopo - della figlia Katie. E' ciò che meno mi convince e meno mi attrae nel film. In particolare la compulsività sessuale di Katie. Che mi appare una invenzione poco originale, omaggio a una scontata fantasia maschile. Mi convince ed interessa di più la lotta del padre per trattenere con sé la figlia. Su questa narrazione anche in Italia prevale netto l'orientamento favorevole alle ragioni del genitore. Ragioni che si affermano anche a fronte di genitori criminali morbosi ed assassini. Ne abbiamo esempi recentissimi. A maggior ragione il cuore degli spettatori batte per Crowe, il padre nel film di Muccino, anche a dispetto della sua fragilità psicofisica, effetto del trauma luttuoso. La malattia, insieme alla labilità del lavoro di scrittore rende il padre esposto alla concorrenza di altri pretendenti al “possesso” della bambina: la sorella della madre scomparsa e il suo ricco marito. Nel film e nella società contemporanea tutto si complica se il disastro economico incombe. Come succede al padre scrittore cui capita l'insuccesso fragoroso dell'ultimo romanzo. Forse per carenza di ispirazione più che per il dispetto di qualche critico, come lo scrittore preferisce credere. Orbene nella società di oggi, almeno nelle società più avanzate in cui Dichiarazioni dei Diritti e Carte Costituzionali promettono eguali diritti e addirittura il diritto alla felicità, molti vincoli "di classe" sono stati allentati.E' abbastanza vero che le cure sono talvolta assicurate - così in Italia - a tutti. Pur non sempre le più immediate e le migliori. E' abbastanza vero che sia possibile superare lo svantaggio sociale per conseguire talvolta lavori prestigiosi. Purché lo svantaggio non sia eccessivo e se il caso ricompensa col talento naturale lo svantaggio alla nascita. E' vero anche che - come recita un noto luogo comune e però fondato - il denaro non assicura la felicità e viceversa capiti di leggere in una bimba rom mendicante un segno di felicità. Vero. Direi che oggi troviamo nella giustizia ciò che oggi è più determinato dal danaro e dalla classe sociale. Innanzitutto per la definizione dell'illecito e della sua gravità. Infatti la giustizia - è scontato - punisce innanzitutto i reati degli ultimi, neri, immigrati, poveri. Ma la giustizia è poi ingiusta anche nella sua applicazione. Dove vince chi può pagare l'avvocato migliore e sostenere vari gradi di giudizio o mirare alla prescrizione. Infatti il padre di Katie rischia di perdere una causa contro la sorella della moglie morta che pretende l'affidamento della nipote. Apparentemente l'arma contro di lui è costituita dalla sua inaffidabilità psichica ed ora anche economica. Apparentemente. Giacché sono le procedure e il costo della giustizia le armi puntate contro di lui. Impossibile sostenerne il costo. Alla fine sono le disgrazie nella parte avversa, quelle che non risparmiano talvolta ricchi e potenti, che fanno, per modo di dire, giustizia. Eventi rari e consolatori per gli ultimi e penultimi. Nel melodramma mucciniano il momento più convincente mi è apparso l'urlo del protagonista schiacciato dal dato economico. “Stati Uniti del Denaro” urla. Già. Ma del resto per cosa mai una persona dovrebbe studiare, lavorare, arricchirsi se non anche per vincere una causa e conquistare una figlia o una nipote? Almeno questo, oltre ad ostriche o champagne. Giacché la democrazia ha sottratto già troppo all'impero del denaro: la salute, l'amore e spicchi di felicità. Per andare oltre, oltre la potenza del denaro, bisogna cambiare pagina. P.S. E' vero che le madri sottraggono spazio ai padri. E' anche vero che le madri proteggono i padri. Nei casi limiti e più detestabili proteggono i compagni-padri dalla censura sociale e dalla legge. Sì, penso alla pedofilia e alle violenze familiari. Però più spesso le madri-compagne sono un salvagente o un ammortizzatore nei conflitti latenti fra padri e figlie. Me ne sono reso conto in un indimenticabile tragitto in auto di pochi kilometri, io solo con le mie tre figlie, allora laureate o neolaureate. L'unico caso in cui mi capitò di essere solo con loro. Cominciò la prima e fu una valanga. “Mi hai sempre stressata”, “Se prendevo un 8, chiedevi perché non avessi preso 10”, “Se prendevo 30, mi chiedevi perché non avessi avuto la lode”, “Mi facevi sentire in colpa perché avevo avuto 110, senza la lode che avevano avuto le mie sorelle”. Io non ricordavo un mio atteggiamento siffatto. Anzi ricordavo di aver consolato la “sfortunata” figlia privata della lode più omeno così: “Consolati, figlia, io e tu saremo il fanalino di coda, senza lode”. Ma ogni ricorda o dà senso ad alcune cose e non ad altre. Comunque ero e sono convinto che mi interessava capire quante competenze le mie figlie si stessero formando. Non potevo essere così superficiale da fissarmi su un voto comunque opinabile. La delusione vera che ricordo bene verso una delle mie figlie fu nell'89. In TV c'era la diretta del crollo del muro di Berlino. Chiamai una figlia allora liceale che era a casa nell'altra stanza: “Vieni a vedere cosa succede” Mi rispose: “Non posso. Debbo finire il latino”. Ecco, allora fui deluso da una figlia e fui deluso dalla scuola che allontanava dal sapere. Forse deluso anche dalla mia incapacità a persuadere, da Pigmalione mancato. Perché certamente ai padri, a noi padri, piace pensare di essere decisivi nella formazione delle nostre figlie, più dei maestri, più degli amici, più dei loro compagni verso in quali la competizione chiamata gelosia è scontata.

sabato 10 ottobre 2015

A proposito di Marino, ma non solo: fra principi e vaghezza


Credo che per chi sta a sinistra o almeno per me ci siano cose indiscutibili ovvero nettissime sulle scelte politiche nazionali e locali. Prevalgono però principi e valori da graduare e contemperare nella loro concreta attuazione. Comincio da questi ultimi: 1. Progressività delle imposte sì. Ma quanto progressive? Posso dire solo: molto. 2. Sì ai limiti all'iniziativa privata che deve essere inscritta entro la cornice del pubblico interesse. Ma limiti quanto forti? Posso dire solo: molto forti. 3. Sì alle riduzione delle diseguaglianze. Ma quanto ridotte? 1/10 o 1/5 o 1/2? Posso dire solo: al massimo. La vaghezza è ineliminabile. Non c'è vaghezza in altri casi. Esempi: 1. No all'abolizione della tassazione sulla prima casa. 2. No ad ogni forma di razzismo ed omofobia. 3. Sì alla piena occupazione. Non può esserci vaghezza in tali casi ed altri perché la vaghezza sarebbe una parete scivolosa che potrebbe farci scivolare verso destra e verso il peggio. In questa categoria della nettezza inscrivo anche il no alle ruberie politiche ovvero all'idea che si possa essere indulgenti verso chi raccomanda amici e parenti (Alemanno, ad esempio) ma anche a chi non si sottrae al gusto di lucrare una cena per sé e moglie a spese delle casse comunali (Marino?). La seconda fattispecie è assai meno pesante rispetto alla prima per le casse comunali. Ma il no non può essere graduato. Perché un ni aprirebbe le porte a scivolare sempre più giù, anche oltre Alemanno. Per questo faticosamente decido per tolleranza zero anche verso Marino. Pur del tutto consapevole del rischio enorme del peggio. Ma solo un NO secco può aprire le porte ad nuova politica intesa come servizio.

mercoledì 7 ottobre 2015

Marino, dimmi che non è vero


La mia opinione su Marino era semplice e prudente. Lo consideravo persona onesta in un mondo di ladri e di furbi (con qualche eccezione...). Lo consideravo, a differenza di molti amici a sinistra, politico mediocre ovvero poco efficace, anche perché poco o per nulla sostenuto dal suo partito. Magari anche distratto riguardo la qualità dei suoi collaboratori. Non all'altezza comunque del compito immane di governare la Capitale. Facevo il tifo perché tornasse al suo lavoro di chirurgo. Per lui, per simpatia verso lui, giacché dubitavo e dubito che dopo di lui Roma possa avere un grande Sindaco. Ma adesso -accidenti! - questa storia degli scontrini e delle cene con familiari pagate con la carta di credito del Comune mi lascia di sasso. Incredulo. Ma che diavolo succede? Perché un professionista di valore debitamente retribuito scende (scende, scende) in politica? Anche per questo? Per il gusto malsano di lucrare 120 euro di cena in una trattoria romana? Ricevo conferma alla mia diagnosi di qualche anno fa, quando parlai di epidemia della furbizia idiota. Quella che induce uomini potenti e ricchi a compromettere tutto per il gusto malsano di approfittare del proprio potere. Marino avrebbe -per così dire - l'aggravante dei pochissimi spiccioli. Ah, come vorrei che potesse rivelarsi tutto un equivoco!

Il mondo secondo il cinema


In genere scelgo i miei film del lunedì (quando sono libero da impegni di nonno) fra quelli in proiezione ad Ostia e tenendo un po' conto dei giudizi della pagina cinema di Repubblica. I primi film visti della nuova stagione avevano – guarda caso - tutti il quadratino, un po' meno della stellina degli imperdibili”: “Non essere cattivo”, “Per amor vostro”, “Inside out”, “Io e lei”. Ho visto “Non essere cattivo” di Claudio Caligari (morto prima di poter finire il film, poi rifinito da Valerio Mastrandrea) sollecitato dalla curiosità per una storia ambientata ad Ostia, il litorale romano in cui vivo da non molto (7 anni) e in cui inevitabilmente mi sentirò sempre “straniero”. E' la Ostia degli anni 90 quando io vivevo nella mia Sicilia non sospettando della mia futura residenza. Prevalentemente Ostia di ponente là dove trovò la morte Pasolini in un film pasoliniano: quella che non frequento, preferendo la confortevole zona pedonale. La normalità dell'ozio. La normalità dell'assenza di progetti. Con lo spaccio di droga come economia di sussistenza, insieme alle piccole rapine. Ho guardato con particolare attenzione quei casotti-bar sul lungomare in cui i protagonisti consumano le loro giornate. Per poterli guardare con qualche ipotesi interpretativa in più. Giacché normalmente guardo quella Ostia senza vedere davvero. Il film è un tutto nella descrizione di quella malata normalità. A parte le sfumature fra i due amici cattivissimi, uno che tenta di uscire dal ghetto delinquenziale, l'altro no: piccoli delinquenti, lontani dalla cultura mafiosa odierna e legati da amore fraterno. Credo che l'autore abbia voluto mostrarci la complessità inestricabile di odio-indifferenza/amore: odio-indifferenza per quasi tutti, amore per pochi: l'amico, la nipotina malata. Infatti le mie lenti finiscono per suggerirmi che la malattia è nell'eccesso, quando il prossimo conta o niente o troppo. Il film rappresenterà l'Italia per l'Oscar. “Per amor vostro”, di Giuseppe Gaudino, voleva essere un film ambizioso. La tematica mi intrigava non poco. Una donna, napoletana, figlia, moglie e madre, come in molte reali storie di donne, che vive una vita per gli altri. Prima da figlia e sorella sacrificandosi per il fratello malavitoso; poi vittima arrendevole di un marito usuraio ed esaurita nelle mansioni di cura dei figli fra i quali un sordomuto. Faticosa ed ambigua la presa di coscienza della donna. Bella l'interpretazione di Valeria Golino, premiata a Venezia. Ciò che, ai miei occhi, rovina il film è la ricerca fredda, intellettualistica, della sperimentazione a tutti i costi, a partire dall'alternarsi di bianco e nero e colore, che distrae più che avvincere. Se così posso dire, non sarebbe piaciuto al mitico Fantozzi che inveisce contro la Corazzata Potiomkin. “Inside out” è un cartone filosofico diretto da Pete Docter. Le caratteristiche caratteriali variamente presenti in uomini e donne sono personificate: la gioia, la tristezza, la rabbia, la paura e il disgusto. E nel film si contendono l'anima della protagonista adolescente, colta nel momento difficile della transizione fra la piccola città natale e la metropoli. Fra i caratteri la protagonista è Gioa, a buona ragione. Perché capace di progettare e guidare gli altri piuttosto che semplicemente manifestarsi. Anche se tutti i caratteri reciprocamente si condizionano e si “usano”. Così ad esempio si produce l'ira di Rabbia affinché possa essere usato come un lanciafiamme in un momento difficile. Il film piace più agli adulti che ai bambini. Se il film voleva essere un esercizio di philosophy for children (la filosofia per bambini che gli appassionati tentano invano di immettere a scuola), il risultato è solo parzialmente raggiunto. Interessante la metafora dell'aspirapolvere che ciclicamente fa pulizia della memoria inutile: Ancor più interessante la metafora costituita da una via suggerita ai protagonisti, via denominata del “Pensiero astratto” : una via usata appunto come scorciatoia. Troppo veloce la metafora perché potesse suggerire a menti bambine che il pensiero astratto è una scorciatoia per non replicare tentativi inutili o frustranti. Un film con qualche merito. Contribuirà a rilanciare la filosofia per i bambini, anzi per tutti, bambini, adulti, anziani, come voleva il vecchio Epicuro? Stavo per dire che ciò non è nell'agenda della “buona scuola”. Ma non lo dico. “Io e lei “ di Maria Sole Tognazzi è un film “commerciale” (a partire dalla scelta delle attrici: Bui e Ferilli) “politicamente corretto”. Senza nessun azzardo. Tutt'altro. Un film sulle peripezie dell'amore lesbico. Peripezie ma non drammi. Perché ovviamente tutti i personaggi del film nell'Italia 2015 non hanno nulla da obiettare sull'omosessualità. Anche quando ne sono infastiditi. Nell'Italia reale magari è assai peggio. Direi solo questo. Film come “Io e lei” hanno un ruolo pedagogico importante nella formazione lenta di un nuovo senso comune. La funzione che la politica fa più fatica a svolgere. Soprattutto dopo la morte dei partiti. Bene dunque. Un film come “La vita di Adele”, del franco tunisino Abdellatif Kechiche, a differenza del casto “Io e lei” non usava lenzuola ed esprimeva con forza l'amore saffico come rivelazione potente dell'Eros. Ma non ha cambiato il mondo. P.S. Che strano, non ho visto nulla al cinema sui drammi riguardanti le emergenze dell'oggi: nulla sui migranti; nulla sui disoccupati suicidi, nulla sui rom che nella mia Ostia infaticabilmente rovistano fra i bidoni delle immondizie. A volte – pare – quasi con letizia. A volte – le ragazzine – con tristezza. Con tristezza intensa quasi quanto quella dei pensionati che con pudore fanno loro concorrenza.

martedì 6 ottobre 2015

Air France: la mia solidarietà no


Larga solidarietà "popolare" verso gli inferociti lavoratori di Air France che rischiano il posto di lavoro. Manager aggrediti e a rischio di linciaggio. L'immagine del responsabile del personale che tenta di salvarsi saltando il recinto, seminudo, fa il giro del mondo. Grande sollievo e consolazione di tutti i diversamente disgraziati e incazzati: contro i manager, contro la grande finanza, contro la Merkel (che c'entra sempre), contro gli immigrati, etc. Destra e sinistra unite nella lotta. Ma quale lotta? Per andare dove? Affinché ognuno conservi il suo posticino assegnato da chissà chi? Affinché il mondo venga ingessato per non farci male? Per fermare tutto com'è? Chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato? Oppure verso i grandi cambiamenti, la flessibilità nella sicurezza e il socialismo? No, non la seconda che ho detto. I lavoratori di Air France faranno a meno della mia solidarietà.

domenica 4 ottobre 2015

Confessione della domenica


C'è un pensiero, una domanda, che occupa sempre più la mia mente. Ricordo bene com'ero fisicamente e cosa facevo 50 anni fa e giù di lì. Ma faccio una gran fatica a ricordare cosa pensavo del mondo. Stavo a sinistra, come ora: socialista lombardiano, poi simpatizzante PCI, poi iscritto, poi nuovamente fuori, etc. Ma cosa pensavo davvero? Mi pare (è solo una supposizione) che tutto mi apparisse più chiaro di ora. C'era una lotta fra sinistra e destra, fra bene e male e non si sapeva chi avrebbe prevalso. Perché allora ora mi appare tutto più complicato? E' cambiato il mondo o sono cambiato io? Sono meno intelligente per i guasti dell'età? Non lo escludo affatto. Mi è simpatico Tsipras, ma non sono convinto che sia sulla strada giusta. Mi è simpatico Landini e mi è simpatico Civati. Ma dubito che siano sulla strada giusta. Credo alla necessità dell'Europa Unita e addirittura degli Stati -Uniti del Mondo. Ma credo di capire che ciò che è giusto ed utile per tutti è impossibile perché la forza familistica e del condominio necessariamente prevale. Non so proporre una articolazione sensata e persuasiva di strategia e tattica. 50 anni fa tutto mi appariva chiaro invece. Così mi pare di ricordare.