Ho ripensato al film non imperdibile visto giorni fa. Ci ho
ripensato leggendo qualcosa sulle lettere di Céline ai suoi editori. Leggevo delle sue aspre minacce.
Che non si azzardassero a toccare una
virgola del suo romanzo. Invece in
Genius Thomas Wolf (Jude Law),
potenziale scrittore di talento, in
parte subisce, in parte chiede l’intrusione dell’editor. Lo chiede come in rapporto col
padre che non ha avuto. E Max Perkins
(Colin Flint), già editor di Hemingway e Fitzgerald, trova
nel geniale autore il figlio che non
ha avuto. L’editor lavora
di accetta più che di cesello. Così una disordinata e mostruosamente
sovradimensionata opera diventa leggibile e diventa un best seller. Mutatis
mutandis, mi sono ricordato della mia
tesi di laurea. Mancavano pochi giorni e
la relatrice mi impose di sforbiciarla di
almeno un terzo. A mia
discrezione cosa tagliare. Tagliai il capitolo sul tema della professionalità al femminile. Che
mi piacerebbe oggi rileggere, ma non trovo.
Beh, del film mi ha interessato questo. Perché di fatto sempre in
un’opera cogliamo pezzi trasfigurati delle nostre esperienze. Quanti sono
davvero gli autori di un’opera (film, romanzo o altro)? Non
solo lo scrittore, non solo il regista: sceneggiatore, produttore,
editor, insieme agli incontri diretti
dal Caso, grande autore occulto, ed oltre ai lettori o spettatori, ognuno di fronte ad un’opera di
fatto diversa. Sicché poco mi hanno
interessato i rapporti della moglie di
Wolfe (Nicole Kidman) con il marito e l’editor. Il tema della vita divisa fra amore/famiglia e passione
fagocitante per l’arte resta come
sovrapposta nel film. Forse per un
regista teatrale - Michael Grandage - alle prese con la sua prima opera
cinematografica. Beh, cercherò ancora il capitolo soppresso della mia tesi di
laurea.
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