Avevo detto più giù delle mie perplessità sull'uso ossessivo in Renzi di parole come "poltrone". Manco a dirlo poco fa a Napoli il premier mi dava ancora ragione. Per la milionesima volta il suo discorso citava le maledette poltrone (quelle degli altri). Ma, riflettendo, vorrei dire che evidentemente un problema è costituito dalla scarsa padronanza lessicale del segretario-presidente: ampiezza del vocabolario e proprietà di linguaggio. Altra parola infatti che gli è molto cara è "burocrazia". Quasi quanto "poltrone". Non so se capita a voi. A me qualche volta capita che se una persona (soprattutto se affidabile e/o presuntivamente colta) usa una parola cui dà significato diverso dal mio, resto in imbarazzo, col dubbio di mia grave lacuna personale. Renzi dice spessissimo che la riforma vuole ridurre la "burocrazia". Ma non lo dice parlando di impiegati o dirigenti. Lo dice parlando di senatori o di consiglieri provinciali. Almeno quando ha intenzione di parlarne in senso dispregiativo: cioè sempre. Ogni volta ho avuto il dubbio di fraintendere o di essere ignorante. Finalmente oggi, stremato dal dubbio, ho controllato su qualche dizionario. No, accipicchia, negli esempi di "burocrazia" gli eletti del popolo non sono citati. Vedi ad esempio la definizione: "Burocrazia è L'insieme degli uffici e dei funzionari della pubblica amministrazione: b. statale, regionale; l'organizzazione e le pratiche cui costringe, spesso con valore spreg.: c'è tanta b."
Così ho capito: Renzi ha frainteso. Ciò che è una conseguenza possibile della burocrazia, l'eccesso di pratiche, con conseguenti lungaggini, diventa per lui l'essenza della parola. Ogni cosa che richieda tempo, troppo tempo, diventa burocrazia. Quindi il Senato,soprattutto il Senato, e i consiglieri provinciali e forse la democrazia per come l'abbiamo fin qui interpretata. Domani - chissà - anche la lunga gestazione di un figlio.
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