domenica 30 agosto 2015

Scalfari e Francesco


Continuo a condividere il percorso mentale di Eugenio Scalfari. Fino ad un certo punto giacché egli, col suo "progressismo democratico" si ferma alle porte del socialismo. Che invece io penso di debbano per forza valicare. Guardo con attenzione al suo incontro di laico con papa Francesco. Mi lascia pensare e un po' mi frena nelle mie tentazioni di ateismo militante. Perché mostra che la religione non è sempre forza di conservazione, come spesso mi piace pensare, cercando, come tutti, semplificazioni interpretative. Mi sembra che Scalfari abbia ragione:oggi Francesco è l'unico leader possibile per la sinistra. Lo dico a modo mio. E' un fatto che la sinistra è divisa e distratta fra conservatorismi e nazionalismi vari. In cui spesso diventa indistinguibile dagli umori della destra radicale. La difesa della sovranità che diventa difesa nazionale non solo rispetto ai poteri occulti di troika e finanza. Ma proprio difesa dell'esistente, di status quo (anche nella forma della "difesa dei diritti"), di frontiere ed egoismi. Scalfari contesta il conservatorismo pigro, a suo modo, denunciando l'inevitabilità dell'osmosi della globalizzazione che impoverirà relativamente alcuni per emancipare altri. Francesco lo fa in altro modo. Semplicemente azzerando distinzioni fatue fra richiedenti asilo politico e fuggiaschi economici, nella univoca categoria dei "migranti". Francesco non parla altrettanto di ciò che può dividerlo dalla sinistra. Solo un cenno ogni tanto per far capire che non sarà per sempre il rifiuto della Chiesa verso conquiste della modernità. I gay ad esempio. Non dirà sì al matrimonio gay ma ha detto: "chi sono io per giudicare?". Ci si può accontentare. Oggi mi pare di capire che un leader è tale se seleziona drasticamente le priorità. Come fece Mandela - mi pare - privilegiando e realizzando il miracolo della conciliazione nazionale. Sicché Francesco non può sbiadire l'urgenza del progetto di accoglienza, disperdendolo in mezzo a cosucce marginali. Oggi l'accoglienza dei migranti è il prius assoluto nella lotta per la giustizia. Che viene assai prima dei riformismi entro i confini nazionali. Perché - come dice bene Scalfari - vangelo e sinistra hanno la stessa non equivoca ispirazione: "Ama il tuo prossimo come te stesso". L'imminente viaggio di Francesco a Cuba e poi negli Usa (Congresso) e Onu lascia sperare. P.S. Scalfari replica opportunamente anche a Mieli e Panebianco, difendendo le acquisizioni realizzate dalla sinistra (anche e soprattutto dall'opposizione). E chiarendo che "innovazione" e "cambiamento" non sono sinonimi. Traduco: oggi abbiamo molte pulsioni al cambiamento che non innova un bel nulla. Riferimento implicito al nostro "leader"? Direi di sì.

giovedì 27 agosto 2015

Omicidio in diretta: le cause e la causa


La notizia del giorno è l'omicidio in diretta ad opera di tale Flanagan già reporter licenziato da una emittente televisiva. A suo dire perché nero. Flanagan si vendica della ex collega, bianca e biondissima, che avrebbe determinato il suo licenziamento. Uccide anche il cameramen che era impegnato con la reporter in una intervista e ferisce l'intervistata. Filma e trasmette la scena in tempo reale con il suo iphone. Poi si uccide. Bel colpo si potrebbe dire per i media estivi che rischiavano di annoiare con i soliti morti nell'attraversamento del Mediterraneo, magari soffocati nelle stive. Rischiavano di annoiare con i tagliatori di teste dell'Isis. Rischiavano di annoiare anche con il crollo della borsa cinese. Annoiavano, immagino, in Italia, ancor più nella narrazione delle gesta del segretario premier Matteo Renzi che non le manda a dire e stronca - pare - gli avversari delle sue salvifiche riforme con parole irridenti: "Il voto non è un telegatto". Non so bene cosa sia il telegatto; capisco però che con la fulminante battuta Renzi ha salvato la riforma del Senato minacciata da troppe richieste di emendamenti, da troppi voti. Scusate l'excursus ma volevo dire che anche i tweet di Renzi agli italiani, tranne che agli aficionados, infine producono noia. Per fortuna (dei media e solo di loro e pochi altri) arriva Flanagan che inventa l'omicidio in diretta. Lavoro per i media, per psicologi, sociologi ed esperti vari chiamati a consulto. Ognuno, compreso il Presidente Obama, ha la sua spiegazione. Trova la causa del massacro. Per Obama le ARMI FACILI, vendute negli Usa come si vendono i giocattoli. Come negarlo? Senza pistola Flanagan non avrebbe ucciso. Al contrario per i fabbricanti d'armi - non so se l'hanno detto ma lo dicono sempre in casi di assassinio - la causa è nei vincoli e nelle resistenze a permettere ad ognuno di armarsi liberamente. In un'America più compiutamente "americana" la reporter ed il cameraman uccisi avrebbero fatto il loro lavoro con la pistola alla cintura. Ergo il MORALISMO IMBELLE è la causa del massacro. Per altri però è il RAZZISMO la causa. L'assassino era arrabbiato per ciò che subiva da nero e - lo diceva nei social network - da ciò che i neri in America continuano a subire. Inappuntabile spiegazione. Senza razzismo non si sarebbe verificata la strage. Qualcuno dottamente rileva che Flanagan avrebbe architettato l'omicidio proprio per trasmetterlo in diretta. Un po' come fanno gli assassini dell'Isis. Senza NUOVI MEDIA non ci sarebbe stato il massacro. E non ci sarebbe stato senza l'ISIS e il suo esempio. Beh, ogni individuazione di causa è un manifesto di valori. Per me peraltro ogni spiegazione è vera. Almeno parzialmente. Almeno come concausa. Al più faccio un tantino di fatica malgrado i miei sforzi empatici per sentire vera la causa dei fabbricanti d'armi. A mio avviso manca solo la CAUSA delle cause. Cosa fa sì che si impieghi la propria vita nella causa del razzismo, o di una invenzione religiosa che prescrive di tagliare teste, o in una avventura economica nella produzione di armi, solo per avere la villa a Miami o cose simili. Voglio dire che la causa delle cause mi appare nella perdita collettiva della ragione. Di quella facoltà che ci fa proporzionare il peso delle cose. E ci fa fare spesso spallucce di fronte agli invasamenti altrui. Ci fa combattere battaglie sostenibili per ciò che vale davvero perché supera il vaglio della critica. La giustizia che serve, ad esempio, perché nessuno sia privato di cibo e anche di cibo saporito o anche di paesaggi, bellezza ed eros. O perché scelga quando e come morire.

giovedì 20 agosto 2015

Francesco, marxista, comunista, leninista o francescano


Intollerabile la disoccupazione. E intollerabile anche che si sia costretti a lavorare fino a cancellare ogni altra dimensione. Mi sembra una chiara polemica contro i turni di lavoro a ferragosto dell'Elettrolux come contro la cosiddetta "deportazione" dei docenti. Non sono d'accordo con tutte le parole del papa. Non con l'accentuazione del valore della famiglia, ad esempio. Ma, tirate le somme, penso sempre più che Francesco possa essere il leader della nuova sinistra. Qualcuno lo ha chiamato "marxista". Altri "comunista". Altri addirittura "leninista". Marxista e leninista sicuramente no. Non sarebbe coerente con la sua religione né con la religione tout court. Comunista, magari un po', sì. E poiché oggi conta affascinare ed essere credibili e creduti, proporrei davvero Francesco leader della sinistra. Che non chiameremmo comunista, per carità. La chiameremmo francescana. Poi gli chiederei di darci una mano a fare ameno di leader. Fare a meno di ogni religione sarebbe auspicabile, ma non credo di poterglielo chiedere. http://www.repubblica.it/vaticano/2015/08/19/news/papa_francesco_il_lavoro_e_sacro_non_sia_ostaggio_della_logica_del_profitto_-121221751/

mercoledì 19 agosto 2015

A proposito di Monsignor Galantino


Almeno un pizzico di verità - come quasi sempre succede- nei commenti diversi o opposti alle ultime parole di Monsignor Galantino. Che descrive la politica di oggi come "un un puzzle di ambizioni personali all’interno di un piccolo harem di cooptati e furbi". Per me l'affermazione è ovvia e difficilmente controvertibile. Anche "harem" è forse parola maliziosamente allusiva, comunque accettabile. Si sono realizzati anche harem veri, fuor di metafora, nell'ultimo ventennio. Si può criticare soprattutto la generalizzazione implicita nelle parole di Galantino. Non tutti i politici appartengono ad harem (in senso figurato) o sono cooptati o soprattutto furbi. E' l'obiezione di molti. Obiezione valida, ma solo un po'. Perché non possiamo cavarcela così: "Alcuni politici onesti, alcuni capaci, altri no". Mi sembra invece vero che è in atto un processo di degrado nella selezione della classe dirigente per cui la qualità media è profondamente deteriorata. Non si è faziosi d'altra parte, a dispetto dei cerchiobottisti, se si evidenzia che il marcio non è distribuito egualmente fra le forze politiche. Inevitabilmente il potere attrae i peggiori, quelli che cercano nella politica la soluzione di problemi personali di sopravvivenza e carriera. Più difficilmente i furbi cercano spazio nelle opposizioni; non comunque nelle opposizioni che difficilmente diventeranno governo locale e nazionale. Ad alimentare comunque harem e furbi c'è la vincente cultura del successo - costi quel che costi. E la pedagogia vincente per cui la realizzazione personale si misura con seconde e terze case e cene con ostriche e champagne. Inevitabile che soprattutto chi non ha titoli e competenze specifiche preferisca spendersi nello spazio della politica, anzi negli spazi amicali della politica in cui si è valutati solo per fedeltà. Se poi si è capaci di conquistare pubblico (cioè elettori) inventando spiritosi tweet contro un capro espiatorio (immigrati, Merkel o il primo che passa) il gioco è fatto e la carriera assicurata. Mi pare che questo abbia voluto denunciare precedentemente Galantino. Suscitando le reazioni dei leader populistici nostrani ed anche del governo, non risparmiato in tema di accoglienza. Quel che manca nel discorso di Galantino è la terapia. Che forse non può esserci,al di là dell'appello etico tipico della Chiesa. Direi due cose. LA PRIMA.Serve una educazione non moralistica, bensì nel segno della ragione che ci insegni che la bulimia di potere e di denaro non è solo eticamente discutibile ma soprattutto distruttiva di chi ne è affetto: una nuova pedagogia della decrescita (anche personale) felice. Processo lungo ed urgente da avviare. LA SECONDA. Serve inventare un sistema "retributivo" che non premi (e neanche penalizzi) chi scelga la politica. Ad esempio che l'impegno politico di ognuno sia retribuito con l'esatto equivalente della ultima retribuzione percepita al lavoro; ovviamente con ragionevole tetto. Partirei da qui.

martedì 18 agosto 2015

Le vite degli altri


No, non nel senso del bel film tedesco del 2006, premio Oscar al miglior film straniero. Nel senso invece della gratuita curiosità verso indizi che ci suggeriscono chi è l'altro vicino a noi. Da pensionato ed "emigrato", i miei amici, moltissimi e forse troppi, sono ormai quasi tutti virtuali. In sintonia politica e ideale con molti, apparentemente in conflitto (più o meno garbato) con altri. Sul web conosciamo degli amici solo quello che essi decidono di farci conoscere e credere. E' capitato poi di organizzare incontri reali con alcuni, con "pretesti" politici. Beh, gli amici in carne ed ossa, con voce e odore, sono diversi da come appaiono in rete. Anche molto diversi e, in genere, più gradevoli. Con gli aspri avversari "renziani" condivido cibi e storie familiari. Da cosa mai si capirebbe che siamo divisi da Renzi? Impossibile come distinguere un tifoso dell'Inter da uno del Milan. Infatti gli incontri reali mi hanno confermato che la politica per lo più è la banale scelta di una bandiera, giusto per ingannare il tempo e inventarsi una passione. Ho fatto di necessità virtù. Grazie alla mia inattitudine a cellulari e iphone (che uso solo quando davvero necessari, cioè quasi mai), un tempo-finestra su odori, sapori e vita reale resta aperta per me ogni giorno. Mi siedo al caffè, normalmente rapito dalle vite degli altri. Domenica scorsa c'era molta gente ai tavoli. Tutti accontentandoci di poco: musica e canzonette di quasi dilettanti. Al tavolo accanto al mio tre graziosissime ragazze. Finisco col concentrarmi nell'investigare sulla loro nazionalità. Faticoso per la musica che disturba. Mi sembrano tedesche dapprima. Poi mi pare di sentire parole italiane. Tentativo di interpretazione: forse una è italiana e le altre tedesche. Forse alternano le lingue.O forse quello che mi sembrava tedesco è un dialetto del Nord Italia. Insomma ho qualcosa di cui occuparmi. Però trascuro altra gente. Finalmente mi accorgo che mia moglie guarda ad un altro tavolo, con un sorriso che direi intenerito. Poi, anche lei, spia della vita altrui, mi spiega. "Vedi quel tavolo di fronte a me? Un uomo, con due bambini, una bambina di circa dieci anni ed un bambino di circa sette. Lui deve essere un padre separato che porta in giro i figli nel giorno a lui dedicato. Hai visto che ha comprato una rosa dal venditore e l'ha regalata alla figlia? Non lo farebbe un padre "normale" abituato a frequentare la figlia. Lo fa perché deve conquistare una figlia che non è più solo sua. Vedi il rapporto speciale che c'è fra padre e figlia? Il bambino invece è lontano e a disagio". Mia moglie è proprio intenerita. E - credo -preoccupata del dolore di possibili future separazioni di figlie e nipoti. Perché sempre, se ci commuoviamo per gli altri, un po' ci commuoviamo per ciò che può riguardarci da vicino. Intanto le ragazze accanto a me si alzano per andar via. La più graziosa si rivolge a me. "Scusi se l'abbiamo disturbata col fumo". Italiano perfetto, ma lei sembra proprio tedesca. Non ho il coraggio di chiederglielo. Mia moglie potrebbe fraintendere. Dico invece: "Di niente. Ho fumato anch'io". Non saprò mai. Pazienza. In compenso ho perso il seguito della storia nel tavolino di fronte a me. Mia moglie mi racconta: "E' arrivata una giovane signora. E loro sono andati via con lei". "La madre" dico io, come per contraddire la narrazione di mia moglie". "No. E' la nuova compagna". "Come fai a dirlo?" "Lui era troppo felice. Non si è tanto felici se ci si incontra al caffè con una che ti è moglie da dodici anni". Sarà così. Non lo sapremo mai. Torno a casa e ritorno in contatto con gli amici virtuali.

lunedì 17 agosto 2015

Il mio ghetto


Scegliendo di abitare ad Ostia, scelsi il mare e la relativa quiete, sapendo comunque di vivere nella X circoscrizione di Roma capitale. Tutto bene tranne il rapporto fra Ostia e il resto della metropoli. Oggi, dopo mesi, mi reco al centro di Roma. Con il solito trenino. La prima sorpresa è di vedere i finestrini oscurati. Il resto è normale, normalmente sporco. Ma quei finestrini appannati su cui tanti hanno disegnato qualcosa vogliono nascondere l'esterno o l'interno? Per fortuna ho una moglie: "Non sono appannati o oscurati intenzionalmente - mi spiega - sono semplicemente sporchi". Ah! In compenso ho posto a sedere e poi non importa tanto che non si possano leggere i nomi delle fermate di transito. Tanto vado al capolinea. Mi sovviene piuttosto la solita irrequietezza da patriottismo, forse a sproposito. Perché davanti a me ho quattro eleganti turiste giapponesi (o comunque asiatiche). E mi scoccia davvero che possano pensare che gli italiani siano sbronzi di primo mattino.Di di fronte a loro una signora di mezz'età, malamente sorretta dal probabile marito, continua a bere, con occhi arrossati, da una bottiglia che mi sembra di birra. Mi sento liberato quando la coppia scende mentre le ragazze giapponesi si consultano facendo il conto delle fermate che l'oscuramento dei finestrini non consente di vedere. Poi però scorgo un arabo dirigersi verso qualcuno che non vedo e dire qualcosa con una sorta di apprensione. Mi sporgo e vedo una ragazza accovacciata per terra col viso reclinato in avanti. Capisco che è una ragazza solo dal tanga che i jeans lasciano scoperti. Yoga? Pare di no. Le giapponesi sono competenti - mi pare - in materia. E loro sono allarmate. Si guardano attorno e guardano i passeggeri come per chiedere: "Cosa succede? Perché non fate qualcosa?" Apprendo che nessuno fa niente perché la ragazza buttata lì a terra nella strana posizione ha già rifiutato con stizza l'aiuto e il posto a sedere offerto dall'arabo. Scende anche lei. Poi scendiamo tutti. Faccio il tifo affinché alle turiste venga risparmiato lo scempio di qualche toilette pubblica. Le perdo di vista. Ma verifico che uno dei due bagni di Piramide, quello maschile, è chiuso. Una lunga fila promiscua davanti all'unico bagno. Poi, fuori, in un bar, verifico che deve esistere una sorta di "cartello" dei bar romani. Un accordo che prescrive: se hai l'acqua non devi avere il sapone; puoi avere il contenitore di sapone, ma rigorosamente vuoto; se poi hai il sapone non devi avere carta o altro con cui asciugarsi. Ok. Arrivederci, Roma capitale del Paese più bello del mondo. Torno al mio ghetto ostiense. Lì gli eredi della banda della Magliana governano (o governavano fino a ieri) con imprenditori locali e politici e funzionari corrotti. Però questo è invisibile. E lì almeno ho il bagno di casa ed ho l'agendina dei bar conosciuti e frequentabili. In qualcuno c'è addirittura acqua, sapone, carta e phone per asciugare le mani. Fan della decrescita felice (e pulita) mi accontento di poco.

sabato 15 agosto 2015

Non è un buon ferragosto per i cuccioli dell'uomo


Non lo è per i bimbi chiusi e annegati nelle stive (che per fortuna o purtroppo non vediamo). Non lo è per quel bimbo che i telegiornali ci mostrano schiacciato fra la folla nel treno assaltato che dalla Macedonia porta in Serbia. Il bambino che grida e piange, forse cercando qualcuno che è rimasto a terra. Non è un buon ferragosto per il bimbo appartenente alla categoria privilegiata degli italiani. Perché i "grandi" si occupano di accendere falò sulla spiaggia, poi si dedicano a comunicare cavolate nei loro iphone. Dimenticano il bimbo che si ustiona col falò e ora rischia di morire. Nessuno dà patenti ai politici del mondo. Nessuno dà patenti a padri e madri. Quasi quasi prendo sul serio la ricetta di Salvini. Però re-interpretandola. Lui propone - in dispetto alla Chiesa - di diffondere anticoncenzionali nei paesi da cui arrivano i fuggiaschi. Lo l'accetto in una radicale versione. Si smetta in tutto il mondo di concepire. Si smetta se non sappiamo occuparci dei cuccioli dell'uomo. E non sappiamo occuparcene.

venerdì 14 agosto 2015

Meglio la danza araba


Oggi facebook mi aveva messo di cattivo umore. Non mi capita quasi mai di intervenire sulle pagine di amiche ed amici della seconda e terza cerchia (quelle e quelli di cui non ricordi nome e storia). Oggi - ahimè! - lo avevo fatto. Una "amica" raccontava di molestie verbali a sfondo sessuale subite in una stradina della Capitale. Lei aveva reagito con violenza e successo. Ovvio solidarizzare. Lo facevano tante e tanti e l'ho fatto anch'io. Però - sapete com'è fb - succedeva quel che succede spesso se qualcuno attacca Renzi oppure Civati. Il primo dice: bisogna cacciarlo; iì secondo dice: cacciarlo con disonore; il terzo: dopo averlo schiaffeggiato; il quarto: e poi bisogna impiccarlo. Cose così. Fra chi proponeva una fucilata al molestatore e chi la castrazione chimica, dopo aver espresso la mia solidarietà alla molestata, ho cercato di stimolare una discussione con qualche approdo. Come faccio talvolta, cercavo di distinguere la diagnosi e la terapia possibile dalla impossibile giustificazione. E' una delle poche cose chiare nella mia mente che capire non significa affatto giustificare. Ma evidentemente ciò è tutt'altro che evidente alle amiche e agli amici della seconda e terza cerchia. Insomma ho rischiato il linciaggio, quasi fossi un complice del molestatore. Ho resistito alla tentazione di ingaggiare un confronto dialettico solo contro un nugolo di inferociti. Sono uscito dalla discussione. Con malessere persistente. Come curare i malesseri della mente? Fortunatamente avevo prenotato un tavolo per una cena con contorno di flamenco e danze arabe. Cena con tapas, paella e squisita crema catalana. Beh, le danzatrici del ventre sono state assai più efficaci dei miei tentativi di auto-terapia per via dialettica. Quando la giovane danzatrice ha agitato il pancino proprio davanti al mio viso, ho capito che della stupidità e faziosità via fb non mi interessava proprio più niente. Ah, l'impareggiabile forza di Eros! Eros che consola e Eros che talvolta fa male. A chi ne è invaso, come il disgraziato molestatore, o a chi lo subisce.

mercoledì 12 agosto 2015

Umanità e privilegio borghese


Non so a voi. A me viene la pelle d'oca a guardare questa foto. Carlotta Dazzi, una "borghese" benestante evidentemente, che faceva le sue vacanze col marito, nella barca ancorata a Pserimos, che sente le urla disperate dei naufraghi e di molti bambini. Prende un gommone e va. Raccoglie e guida i naufraghi per mare e poi per terra, per portarli a destinazione a Kos. E' quella foto "normale" col bambino in braccio che mi dà i brividi. L'intensità della sua emozione e del suo prendersi cura materno. Se non si deve abolire la parola "amore" sciupata da tutt'altri sentimenti di dominio, possesso e violenza, per me l'amore è questo. E questa è l'Italia che amo. Quella della "borghese" Carlotta. Lascio a chi la vuole l'Italia delle plebi salviniane ignoranti. Sapendo ovviamente che l'amore di Carlotta è in parte il privilegio della sua classe sociale che le ha consentito di studiare, capire, valutare i rischi, dare il nome giusto alle cose, distinguere le minacce da chi ci dà l'opportunità di essere utili. Urge - voglio dire- emancipare le plebi salviniane dalla loro ignoranza e restituirle all'umanità. http://www.repubblica.it/…/grecia_migranti_soccorsi_dai…/1/…

martedì 11 agosto 2015

Quello che giova dire


Non so se riuscirò a spiegarmi. Ho letto su Repubblica un articolo su una ricerca della Fondazione Leone Moressa sulla "risorsa immigrati". Quasi condivisibile l'articolo. Poi ho cercato in rete la ricerca. Molto interessante e molto condivisibile. Vorrei spiegare le mie riserve sull'articolo, segno evidente che qualunque riassunto e qualunque narrazione è un tradimento. L' articolo enfatizza un dato. Il contributo fiscale e previdenziale degli immigrati in Italia presenta un saldo consistente di qualche miliardo rispetto ai costi sostenuti per l'accoglienza. Beh, mi fa pensare che Repubblica e molti che come me contestano i veleni e le fandonie terroristiche della Lega, debbano usare o siano costretti ad usare tali argomenti di bassa contabilità per contrastare la deriva xenofoba. La cosa interessante è che la ricerca, pur evidenziando il dato, raccomanda giustamente di non banalizzare il problema dell'immigrazione con argomenti ragioneristici. L'immigrazione ha risvolti e complessità tali da non consentire giudizi definitivi su quanto costi o quanto giovi. Non sulla base di calcoli contabili di pochi miliardini. Repubblica invece lo fa. E così mi chiedo se anch'io, da modesto militante di sinistra contro la xenofobia, non sia chiamato a fare altrettanto. Insomma la politica è questa cosa qui? E' questa cosa la militanza? E' un gioco consapevole (o inconsapevole come un autoinganno) di sottrazione/addizione allo scopo di convincere? La politica è guardare i dati Istat o quelli del Ministero del lavoro o di Confindustria sull'andamento dell'occupazione, scegliendo quelli che più giovano alla causa, del governo o dei suoi avversari? Sono per un'altra politica e per una lettura "libera" della realtà. http://www.repubblica.it/…/il_tesoro_degli_stranieri_d_ita…/ http://www.fondazioneleonemoressa.org/…/sintesi-libro-12-02…

venerdì 7 agosto 2015

Critica del cerchiobottismo ed elogio della lottizzazione


Monica Maggioni, prima che diventasse presidente della Rai, sosteneva la futilità del discorso sulla obiettività dell'informazione. Non già perché chi informa sia in malafede e fazioso; può esserlo ma è un dettaglio. Quanto piuttosto per l'insopprimibile parzialità ed orientamento di qualsiasi punto di vista pur in buona fede. Sono assolutamente d'accordo. Senza per questo sposare i punti di vista culturali e politici del nuovo presidente Rai. Ci torno perché una qualche conseguenza si deve trarre da quell'assunto, se condiviso. Fino ad oggi la TV pubblica si è mossa su due crinali poco compatibili. Il primo è quello del cosiddetto equilbrio. Ovvero del cerchiobottismo. Il secondo è quello della lottizzazione, con canali e/o divisi fra le parti in conflitto. Nel cerchiobottismo, per capire, è maestro Mentana, al di là del fatto che diriga un telegiornale privato. Il cerchiobottismo impone che se si dice di un attentato "islamista" contro israeliani, non si dimentichi di aggiungere, in dose variabile, di qualche ragione degli islamici o torto di Israele. Lo stesso ovviamente (al contrario) se un folle israelita massacra un famiglia palestinese. Egualmente, se si parla di indagati o condannati di area Pdl, il cerchiobottismo impone di precisare che forse c'è anche un indagato PD o della sinistra e che, se non c'è, c'è stato. Sia il cerchiobottismo che la lottizzazione pretendono un organo di garanzia che col suo pluralismo garantisca "equilibrio" e/o lottizzazione, in diversi equilibri possibili: un Consiglio di Amministrazione di nomina parlamentare, ad esempio. Il punto è che un pluralistico Consiglio si farà garante di equilibrio squilibrato a vantaggio del più forte, normalmente rappresentato dal direttore generale. La commistione di equilibrio e lottizzazione in ogni modo non faciliterà mai punti di vista netti, ma solo luoghi comuni e prudenza: insomma il contrario della spontaneità e della ricerca autonoma della verità. La mia conclusione è che solo una lottizzazione piena e compiuta è coerente col pluralismo e con la ricerca della verità. Giacché si può dubitare dove sia la verità, ma è indubbio che essa non è il "centro" fra punti di vista opposti. Aspetto allora che l'etere e la TV pubblica siano spartiti fra le forze politiche in campo con criteri di rappresentanza e di parzialità. Con metodo esplicito. Più esplicito rispetto all'epoca in cui il primo canale veniva assegnato alla DC, il secondo al PSI ed il terzo al Pci. Senza quell'obbligo di fingere o di rispondere a un presidente o un direttore generale che produce appannamenti delle verità contrapposte. Resterebbero problemi naturalmente. A partire da quello della TV privata. E non solo. Magari ne parliamo.

lunedì 3 agosto 2015

Domenica così così


Iniziata malissimo. Al mattino sulla strada in direzione Fiumicino un motociclista mi sorpassa a gran velocità in prossimità della curva e si rimette velocemente a destra, tagliandomi la strada; scivola, cade, sbatte contro il guardarail. Si rialza intero e pimpante. Avrei potuto ammazzarlo. Ci penso fino a sera. Poi, dopo cena, in piazza Anco Marzio al caffè storico all'aperto con pianobar così così nella Ostia dai pochi eventi apprezzabili, forse punita per la sua mafia endemica. C'è molta gente, un pubblico multietnico. Cerco di vedere e capire. Moltissimi, anche in piedi nella piazza affollata, sono entusiasti per l'imitatore di Renato Zero. Lo accompagnano e fanno un sacco di foto con l'iphone. Il mio iphone, come sempre, riposa a casa. Vorrei essere come tutti. In cerca di normalità, oso cantare anch'io "i migliori anni della nostra vita". Diciamo che mi vedo e mi sento cantare. Al tavolino accanto sento la tristezza dell'anziana signora elegante, con figlia e genero: la tristezza di una vedova. Dall'altra parte una coppia si prende cura del figlio down. Due vigilesse intanto riportano una bimba smarrita a una madre cinese che piange ringraziando. L'Italia della cura. In piedi a far foto, felice, c'è una graziosa, giovane nera, dal look molto occidentale vicino all'amato partner bianco. Mi accorgo che lei è incinta e un po' contribuisce a rimediare allo scarso entusiasmo degli italiani a procreare. Poi ad un tavolo liberatosi siede una coppia che mi lascia perplesso, anzi infastidito. Lui ultrasessantenne, forse mio coetaneo, lei, un'adolescente araba, carina e imbarazzata. Chissà perché. Formulo pensieri sgradevoli. L'Italia della cura, quella che vuole essere felice di qualcosa, ma anche un'altra che approfitta.

domenica 2 agosto 2015

Bologna: il bisogno di una spiegazione che forse non c'è


Sulla strage di Bologna mi manca la convinzione che unisce sinistra e democratici. Tutti sono certi di un complotto, di un disegno eversivo con fascisti e corpi separati dello Stato. Come per tutte le stragi dell'epoca delle stragi. Io dico: forse. Ma non riesco ad escludere per nulla l'azione isolata. Non riesco ad escludere la manifestazione di una malattia dell'anima che da decenni intossica in varie forme l'Italia, l'Occidente e il mondo intero. L'illusione malata di cambiare qualcosa dando la morte. La voglia insensata di dare uno scopo alla propria vita. Il piacere torbido di essere protagonisti nel distribuire casualmente il dolore

sabato 1 agosto 2015

Lavoro come pena o come gioia


Torno sulle minacce del responsabile economia del PD Taddei: "Dovremo andare molto più tardi in pensione". Minacce risibili. Come risibili le repliche degli oppositori. Cade a proposito una notiziola da niente che nessuno avrà letto. Un ex maestro di 92 anni di Pordenone, Benito Beltrame, 92 anni, da 37 in pensione. Torna in cattedra per insegnare italiano a un gruppo di immigrati. Sentite le sue parole: "Non pensavo che qualcuno potesse avere ancora bisogno del mio aiuto". Ci leggo (come - immagino - voi) la noia di 37 anni di inattività. E la scoperta di valere e contare ancora. Bellissimo. E tremendo. Tremendo che la istituzionalizzazione e ingessatura giuridico-burocratica dei tempi della vita (un'età per il gioco, una per il lavoro, una per essere inutile) ci facciano dimenticare che possiamo essere utili agli altri fino all'ultimo giorno. Purché vogliamo. Purché qualcuno faccia incontrare le nostre competenze con i bisogni infiniti della gente attorno a noi. Ecco, mi piacerebbe un governo che si occupasse di questo: buona scuola davvero e buona vita. Con un po' meno di gusto a punire e un po' più a gratificare con lavoro premiante. Ma pare non sia all'ordine del giorno. Le risse fra Renzi e renziani e oppositori interni occupano 100 volte lo spazio dedicato al pensionato di Pordenone.