Qualche volta mi capita di citare la frase che Giulio Cesare, secondo Plutarco (Vita di Cesare, 11,4), avrebbe pronunciato attraversando un piccolissimo villaggio delle Alpi.”Malo hic esse primus quam Romae secundus” (Preferirei essere primo qui che secondo a Roma). La cito contestandola giacché, ammesso che Cesare l'abbia mai pronunciata, è un pessimo programma. Oggi purtroppo programma di molti. Io penso infatti che sia più gratificante essere secondi a Roma. Assai più che primi nel piccolo villaggio.Cito la presunta affermazione di Cesare volendo trasferirla al concetto e alla pratica della sovranità. La trasferisco al concetto di sovranità popolare.
Certamente tanto più è piccolo l'ambito e il territorio in cui esercito come cittadino la mia quota di sovranità tanto più visibile è il mio apporto in quell'ambito e territorio. Padrone a casa mia, comproprietario nel condominio, un po' meno nel quartiere, meno ancora nella città, e sempre meno nella Regione, nel Paese, in Europa e nel mondo. I “sovranisti” ne deducono che giovi chiudere le frontiere per essere sovrani a Roma, in Catalogna o in Francia. Certo, i sovranisti sono divisi al loro interno. Perché qualcuno vuole essere sovrano a Milano, altri in Lombardia, altri in Italia. Vedi recente conflitto Salvini-Meloni, a proposito del referendum lombardo-veneto. A me pare che solo gli inconsapevoli possono credere di bere meno caffè se ne versano due tazzine nel quarto di litro di bianco latte che resterà chiaro. E di berne di più se bevono un nero caffè in tazzina. Non è così. Ma non è neanche necessariamente vero il contrario. Perché non tutti beviamo due tazze di caffè nel latte, né nel menù nazionale né in quello globale. Salvini e Meloni, non avendo intenzione alcuna di sottrarre un po' di caffè agli Agnelli e a Marchionne ci propongono di contenderci dosi della nera bevanda in competizione con altre Regioni e Paesi, lasciando in pace gli obesi locali.
Nella pentola dello Stato nazionale e ancor più nel pentolone della globalizzazione qualcuno neanche avverte il sapore del caffè. Questo avviene perché in ambito più largo la propria parte a volte è invisibile, ed a a volte proprio non c'è. Capita però anche (a me sì) di accorgersi che la propria volontà è ben presente nel pentolone di caffellatte e assai poco nella insipida tazzina di caffè nazionale. Sento, ad esempio che la mia volontà conta niente nell'ultima proposta di legge elettorale italiana. Invece è presente nella presunta matrigna europea quando raccomanda, inascoltata in Italia, di non legiferare in materia elettorale nell'imminenza del voto. Egualmente, più che dal mio Paese, mi sento protetto dall'Europa quando denuncia l'affollamento e il degrado delle nostri carceri nelle quali non posso escludere di finire ospitato. Allora mi pare che più che rivendicare sovranità nel villaggio delle Alpi dovremmo esercitare la competenza a capire se e quanto pesiamo nel paesino e in Europa e la volontà di pesare di più: in Italia, in Europa, nel mondo. Decidendo insieme cosa attribuiremo al piccolo e cosa al grande. Forse cosa mangiare è bene deciderlo nel piccolo. Non lasciandolo decidere alle banche e alle multinazionali e neanche però ai sofisticatori nazionali. Comprendendo altresì che quanto inquinare mare ed aria è certamente meglio deciderlo nel mondo: nel mondo dei popoli, non nel mondo delle multinazionali. Nel mondo comunque. A meno di non essere così sciocchi come cittadini da pensare che se “sovranamente” decidiamo di inquinare pur di abbuffarci di patatine oleose e distribuiamo al mondo i veleni delle nostre industrie, il resto del mondo si preoccuperà di non avvelenare il nostro mare. E' una riflessione per i cittadini, non per i governanti. A Trump conviene fingere di credere che denunciando gli accordi sul clima sta facendo un regalo ai suoi elettori. Se ci crede. Purtroppo i suoi elettori ci credono.