martedì 29 ottobre 2019

Internet: il consuntivo impossibile


50 anni fa il primo messaggio ARPA NET. Internet: la rivoluzione che ci ha cambiato come nessuna rivoluzione prima. Che ha cambiato anche me. In meglio? In peggio?Vorrei saperlo. A parte l'immane enciclopedia cui posso accedere in pochi secondi, ho trovato amici in rete, alcuni dei quali sono diventati amici "reali" (cioè con cui prendere un caffè). Però...Però le comunità si vanno via via dissolvendo. Ognuno con il suo smartphone, vicini e lontanissimi anche al bar. Ognuno con un mondo diverso inaccessibile a chi gli sta vicino. I potenti più potenti perché il sapere digitale è tendenzialmente monarchico e feudale e noi giù siamo come formiche che percorrono sentieri tracciati credendoci liberi. L'intelligenza soccombe alle sciocchezze ribadite migliaia, milioni di volte.

Report: la "intelligenza" non interessa la "pancia" leghista


Seguendo Report ieri mi sembrava di vivere un incubo. Direi che le trattative leghiste con la Russia per qualche decina di milioni mi sono apparse quasi un dettaglio. Assai più terrificante la descrizione dei brogli legali dei produttori di sale rosa dell'Himalaya, ad esempio. L'etichetta annuncia che il prodotto contiene ferro più di ogni altro sale "normale". Infatti le analisi di Report confermano che contiene un po' più di ferro. Un tantino di più, un niente, non tale da giustificare il prezzo esorbitante, ma tanto basta per non poter essere accusati di propaganda ingannevole. Una sorta di elusione delle regole; si conserva la forma eludendo la sostanza, proprio come nell'elusione fiscale.
A partire dall'infezione, con morti, riscontrata in ospedali toscani per un batterio importato dall'India, Report visita, oltre a industrie farmaceutiche cinesi low cost, piccole imprese indiane che ricevono in appalto la produzione di sostanze utilizzate dalle grosse corporation farmaceutiche. Indescrivibile lo sporco esplorato dalle telecamere. Appalti e subappalti per comprimere i costi, anche rischiando di uccidere. Criminali? Sì. O più semplicemente, per non girarci attorno, la logica implacabile del profitto in un sistema di mercato capitalistico.
Infine, su altro versante, diverso ma non troppo, Report esplora ed illustra i meccanismi della Bestia salviniana, il sistema che moltiplica nel web notizie vere, false o parzialmente vere cioè insidiosamente false. Ho pensato che non è mai stato vero che "uno vale uno". Non lo è stato mai nella Storia. Ma oggi, nel mondo governato dai sovranisti, nel mondo intero, ci sono "uno", anche dalla sostanza modestissima, che valgono un milione, ed "uno" che non valgono niente: come quegli "uno" indiani che Report ci ha mostrato ridotti a stracci dopo aver fatto da cavia per poche rupie – per sopravvivere – nelle sperimentazioni dell'industria farmaceutica indiana (o meglio, occidentale, appaltata all'India). Grazie a Report dunque per la sua conclamata "parzialità".

venerdì 25 ottobre 2019

La famiglia non è più responsabile


Una volta credevo di essere responsabile assoluto dell'educazione della mia prole. Sarebbe dipeso quasi tutto dal mio esempio e dalle mie parole. Poi mi sono in parte ricreduto. Molto, ma non tutto dipendeva da me. Oggi quel che vedo mi fa pensare che praticamente nulla dipende dalla famiglia che è un'agenzia educativa fra le tante e meno efficace dei pari (compagni di scuola,di giochi, di avventure) e degli irresponsabili maestri della rete. Perciò dico alla madre coraggiosa che ha denunciato il figlio coautore dell'omicidio di non sentirsi in colpa. La abbraccio idealmente con stima ed ammirazione.

La ragione contro i miserabili


C'è la tentazione di opporre speculazione a speculazione riguardo l'ultimo assassinio a Roma, quello del giovane Luca Sacchi. Molti giornali annotano che sulla sua bacheca c'erano post di Salvini e invettive contro svariati stranieri autori di aggressioni. Era un ragazzo leghista, come tanti. Embé? Era con ogni probabilità un bravo ragazzo. Come spesso succede, mentre ci si guarda a destra e a sinistra, il pericolo e la morte viene da sotto o da sopra. Da due delinquenti pare romani, forse strafatti di coca. Evitiamo di competere con toni e argomenti "miserabili". La sinistra democratica resti lucida. Non nascondiamo che la percentuale di criminalità è più alta fra gli "stranieri" (tranne che fra i criminali colletti bianchi). Ragioniamo ed operiamo con mente lucida senza catastrofici calcoli di convenienza. Questo dobbiamo fare.

lunedì 21 ottobre 2019

Il mio migliore profilo: l'amore non ha corpo


Sospetto (e forse temo) che "Il mio migliore profilo" di Safy Nebbou, con Juliette Binoche dica del nostro tempo più di altri film anche di migliore qualità. La protagonista, affascinante professoressa cinquantenne, non appagata dal rapporto meramente fisico con un partner pur sessualmente brillante e assai più giovane di lei, costruisce – come tanti, no? - una seconda identità fittizia su facebook. Con questa entra in contatto con un amico del partner egualmente giovane. Succede che la chat su facebook diventi assai più coinvolgente dei trascorsi rapporti "reali", emotivamente ed anche sessualmente. Un rapporto virtuale? Non reale? Irreale? In queste domande dalle difficili risposte trovo il film assai intenso e minaccioso. Minaccioso perché mette in discussione le nostre pigre convinzioni. Davvero in un rapporto d'amore o anche in un qualunque rapporto sono essenziali i cinque sensi? Non si può amare senza vedere, toccare, ascoltare, gustare, odorare? La protagonista e il suo partner facebook si innamorano facendone a meno. Hanno solo l'immagine di lui visto da lontano e l'immagine falsa (rubata ad altra persona) di una lei giovanissima. Ma potrebbero anche farne a meno. Perché l'attrazione promana dal solo scambio verbale. Al più si può dire che la "realtà", quella corporea è necessaria solo come materia su cui costruire persone immaginarie per relazioni virtuali che sono vere come quelle con vista, tatto, udito, sapore, odore. Il film si spende anche – a mio avviso troppo – nel rapporto fra emozione virtuale e contesto reale. Ma il nucleo è dove l'ho indicato, a mio avviso. Di cui è una coerente digressione l'invenzione letteraria della protagonista di un romanzo con un esito diverso dal reale. Fuori dal film digressioni filosofiche suggerirebbero la componibilità già in atto di pezzi corporei e metallici e protesi varie, anche virtuali, attorno alla identità dell'Io, non diversamente dalla protesi rappresentata nel film dall'immagine altrui incollata al nuovo profilo.
Ho subito confrontato il film con altri film recenti aventi in comune l'amore (o il sesso) che avverrà e che sta avvenendo, distruggendo quello che abbiamo conosciuto. Ho pensato a Don Jon di e con Joseph Gordon-Levit (2013) ed ho pensato a Lei di Spike Jonze, con Joaquin Phoenix (2014). Nel primo il seducente protagonista, pur potendo conquistare ragazze a iosa, preferisce la dimensione erotica dello schermo e gli basta il solo senso della vista per una pratica ossessiva della masturbazione. Perché – lo spiega benissimo – nella fantasia onanistica la partner obbedisce totalmente ad ogni richiesta. L'altro film; Lei, è, fra i citati, il più emozionante e il più radicalmente sovversivo. Qui lui si innamora di Samantha, l'intelligenza artificiale di ultima generazione contenuta nel suo computer e capace di sentire le emozioni del proprietario. Anche qui, come nel film appena uscito di Nebbou, i sensi reali sono assenti. Ma è assente anche un corpo da cui provenga l'input emozionale. E Samantha costringe a sfidare anche il tabù monogamico. Perché confessa di amare contemporaneamente oltre 600 persone, pur dando tutto il suo amore al protagonista. Citai, commentando Lei, Hume il filosofo inglese per il quale i corpi sono fasce di sensazioni. Lo faccio di nuovo oggi mentre il processo di smaterializzazione delle fonti emotive è ancora progredito. Forse si può dire che la rete fa diventare più comprensibile ciò che è stato sempre vero, che un corpo (ed una persona) sono un mero pretesto per riempire la vita di emozioni (e dimenticare la morte).

sabato 19 ottobre 2019

La serietà non ci appartiene e la ragione nemmeno

Assurdo che si pensi di assumere disoccupati (navigator) che dovrebbero trovare lavoro a disoccupati. Chiunque l'abbia detto ha detto cosa incontrovertibile. L'ha detto Calenda e avrei preferito che lo dicesse qualcuno a Sinistra. La mia proposta ad un futuro governo seriamente a Sinistra è di assumere invece, anche a costo zero, magari volontari, pensionati esperti in svariati settori lavorativi: ognuno, in collaborazione coi centri per l'impiego, si faccia tutor di uno, due, tre disoccupati da accompagnare in un progetto - breve o lungo - di inserimento. Poiché il senso comune è malato e folle temo si obietterà che così non si creano nuovi posti di lavoro: quelli dei navigator, evidentemente.

giovedì 17 ottobre 2019

Come eravamo, come siamo


Sulla Nove Daria Bignardi ha esordito con efficacia con il suo "L'assedio". Efficace e senza retorica è stato il confronto fra il nostro 1978 e questi ultimi nostri anni. Non ricordavo nulla di quell'episodio del 78. C'era quella gente in fuga dal Vietnam riunificato dopo la vittoria del Nord comunista, con battelli di fortuna (boat people). Un po' come oggi dall'Africa. In pericolo estremo come quelli di oggi nel Mediterraneo. Non ricordavo che il governo Andreotti intervenne con tre navi militari a raccogliere quella gente. Che fu portata a Venezia. Per la verità non ricordavo neanche quel che Bignardi non ha rievocato e che Moretti ci ha raccontato di recente nel suo "Santiago, Italia": oppositori di Pinochet rifugiati all'ambasciata italiana di Santiago e da lì portati in salvo in Italia. Il servizio di Bignardi era nella cornice di una intervista con Giulia Linardi, portavoce di Sea Watch. A dir poco straziante. Per un racconto accompagnato da una commozione trattenuta. Privo di invettive. Sobrio anche nella denuncia dello scarto politico e culturale avvenuto insieme agli accordi con la Libia. Da allora, con il Minniti dal volto umano, si decise di non vedere, consegnando l'orrore ai lager del partner africano. Allora si decise di credere che le Ong fossero il male, taxi del mare, e la Libia fosse, se non il bene, il meno peggio, qualcosa di simile ad un Resort per qualcuno. Giulia ha raccontato le storie di quei torturati sopravvissuti. Difficile reggere emotivamente a quel racconto. Si fa fatica a ripeterlo. Si fa fatica a ripetere il racconto della quindicenne, stuprata ripetutamente dai suoi carcerieri, che, con mezzi di fortuna, proteggeva la sua vagina lacerata, in previsione di ulteriori assalti bestiali. Ecco, abbiamo protetto le nostre coste dall'ingresso illegale di uomini e di donne come quella quindicenne e così impedito la "pacchia". Ecco, come siamo diventati. In che senso siamo la stessa nazione che nel 73 accoglieva perseguitati cileni e nel 78 profughi vietnamiti? Non lo siamo infatti. Siamo un'altra nazione. Nel servizio lo dice chiaramente una vietnamita intervista, oggi cittadina italiana, che fu una ragazza di quella gente dispersa in mare e salvata dalla Marina italiana: "No, non riconosco nell'Italia di oggi, l'Italia generosa che mi pose in salvo". Grazie a Daria Bignardi. Grazie soprattutto a Giulia Linardi che difende come può il residuo onore dell'Italia.

mercoledì 16 ottobre 2019

Utile assistere all'orrendo show


Cerco di capire cosa mi divide da amici e compagni che hanno rifiutato di assistere al duello "americano" fra Renzi e Salvini. Che entrambi – in diversa misura – abbiano rappresentato e rappresentino una visione del Paese inaccettabile (o peggio) mi vede d'accordo. Che il duello "americano", con noi ridoti a spettatori e tifosi , ribadisca un arretramento della nostra cultura democratica è altrettanto evidente. Ma io ho preferito non sottrarmi allo "spettacolo" come non mi sottraggo ai film dell'orrore, come non mi sono sottratto a Joker. Quei due rappresentano comunque il grumo culturale velenoso di cui la nostra società si nutre. Utile analizzarlo, utile anche scegliere il meno peggio pur rifiutando l'insieme. Al di là dell'astio reciprocamente esibito, i comun denominatori a me sono apparsi chiari. Benché ovviamente le convergenze non fossero esibite. Entrambi lontanissimi da una prospettiva ecologica e socialista (la mia). Entrambi pro Tav, entrambi "liberisti" sull'uso del contante in nome della "libertà", in nome di una visione dello sviluppo drogato dai consumi, consumi assunti come salvifici del Pil e dell'occupazione. Al netto del diverso stile comunicativo le differenze erano evidenti ma meno "concrete". Renzi non avrebbe detto mai: "E' finita la pacchia". Non è così volgare. Ma il suo Pd è stato l'elegante precursore del becero Salvini, con gli accordi libici. Renzi è per lo ius culturae. Benissimo. Ma non fino al punto da mettere a rischio un governo amico. Poi entrambi sono figli del maggioritario e del "chi vince piglia tutto". E lì ha avuto buon gioco Salvini. Ha ripetuto non so quante volte: "Se io ho il 33% degli italiani e tu solo il 4%, io ho ragione e tu torto". Già, come dire: "Chi perde si tolga di torno". Come dire (d'accordo con Di Maio): "Il popolo elegga un duce o al più trenta tiranni (vedi crisi della democrazia ateniese) ed eliminiamo pure tutte le altre poltrone". Nient'altro. Un duello utile per capire in quale mondo rischiamo di vivere. Scongiurato forse quello renziano, incombe il peggiore, quello salviniano. Di altre visioni non si ha notizia.

martedì 15 ottobre 2019

Arrendersi al senso comune


Nel bar dove ogni giorno consumo il caffè di mezza mattina talvolta ai compagni consueti di break si aggiungono altri e talvolta si fanno nuove amicizie, o almeno nuove conoscenze. Con i nuovi naturalmente si è prudenti. Cerco di capire se c'è spazio per un confronto. Se capisco che non c'è mi defilo verso conversazioni sul tempo, oltre destra e sinistra. Stamani ho trovato un pensionato carabiniere – maresciallo, mi pare - impegnato in conversazione con gli amici consueti. "Ho capito bene – ho chiesto- è in pensione"? Mi sembrava troppo giovane. Infatti era andato in pensione a 56 anni. Con una pensione retributiva pari allo stipendio. Lui era contento – mi è sembrato – che io lo vedessi giovane. Ma poi debbo averlo infastidito. A me interessava capire come avesse acquisito un trattamento privilegiato e soprattutto se convenisse con me sullo spreco costituito da quel pensionamento precoce. Anche se il suo impegno in strada fra incidenti e assassini era da qualificarsi "usurante", come si dice oggi. L'ho presa da lontano, chiedendogli se non avrebbe potuto essere impiegato in compiti di ufficio. Deve essergli sembrato che mettessi in discussione la sua pensione. Mi ha spiegato che un maresciallo abituato a lavorare in strada si trova incompetente e a disagio se spostato fra le carte. Come viceversa quelli che stanno in ufficio se spostati a livello operativo. Lo ha spiegato con una perentorietà modello facebook, diciamo. E' così e chi la pensa diversamente è imbecille o in malafede. Avrei voluto dirgli che avrebbe potuto fare il vigilante, se non il burocrate Allora dico qui quel che non potuto dire a lui. Dico che non progettare percorsi flessibili di carriera lavorativa con transizioni a compiti diversi, anche in altri settori ed Amministrazioni, dosando bene incentivi e disincentivi è uno spreco di dimensioni abissali. Bisognerebbe moltiplicare per mille o forse diecimila o forse centomila le economie da taglio delle poltrone per arrivare a grandezze comparabili. Invece siamo qui, con quota 100 e festa per 345 poltrone in meno. Invece siamo qui, con carenza di medici, di badanti, di forze dell'ordine, di operatori culturali, di netturbini. No, non sarei stato capace di spiegare al maresciallo in pensione che in un diverso assetto del rapporto lavoro/tempo libero/istruzione non correremmo il rischio di restare un giorno intero o più parcheggiati in barella al pronto soccorso, non correremmo il rischio di finire a camminare in fila nella galleria per la metro in tilt, non correremmo il rischio di ricevere uno sbadiglio come risposta dell'incompetente custode museale ad una domanda sulla scultura di Canova. Non sarei stato capace di spiegarlo. Troppo forte è la pseudo evidenza che ci dice che i robot che liberano gli uomini dal lavoro pesante sono un cataclisma, che bisogna mandare in panchina gli anziani per dare lavoro ai giovani, che bisogna fabbricare armi e slot machine, insieme a tutte le porcherie che il mitico mercato richiede. Mi arrendo. 

domenica 13 ottobre 2019

Vorrei una Roma nera


Per questo post leggero in giornate pesanti la premessa è che Roma è troppo estesa perché un siciliano malamente trapiantato la conosca dopo solo undici anni. Soprattutto se vive nella sua periferia marina, Ostia. Ieri dovevo recarmi ai Fori per un appuntamento di gruppo. La metro, interrotta, come sovente accade, non mi ci avrebbe portato. Sapevo che dopo il trenino, a Piramide avrei dovuto prendere il bus n. 30. Avevo fatto tardi e già entravo in ansia. Ansia crescente perché intravvedevo molte pensiline di fermata, non volevo/potevo esplorarle tutte e i romani cui chiedevo "dove trovo il 30?" non mi davano risposta. Possibile che nessuno sappia? Sono rientrato nella stazione ed ho chiesto ad un vigilante. Lui dovrebbe sapere. Ho capito solo di averlo infastidito. Mi ha indicato una indecifrabile direzione con un "mi pare". Poi ho avuto l'idea di chiedere ad un giovanotto nerissimo. Mi sono ricordato che tempo fa in circostanza analoga un nero mi aveva indicato il percorso per un indirizzo sconosciuto a tutti in zona Tiburtina. Chiedo al nero dunque e lui sorridente mi dice: "Non so del 30. Ma dove deve andare?" "Fermata di Piazza Venezia". "Allora vada lì, da quella pensilina passano gli autobus che vanno in direzione piazzale Clodio e quindi il suo 30". Il 30 passa subito e insperatamente arrivo in anticipo. Poi, l'indomani, oggi, ho i miei consueti rimuginamenti. E' un caso? O forse i neri si muovono di più in bus. O forse semplicemente sono più disponibili perché si sentono gratificati che un italiano – cittadino romano peraltro- si rivolga a loro per avere notizie riguardanti Roma. P.S. No, non penso che la mia testimonianza gli darebbe titoli per lo ius culturae.

venerdì 11 ottobre 2019

Joker: la genesi dell'odio


Credo che diventi sempre più difficile produrre opere ispirate a distopie. Ovvero è difficile immaginare un mondo peggiore da quello orrendo in cui siamo - forse a torto- convinti di vivere. Succede a me vedendo Joker di Todd Phillips. L'immaginaria Gotham city mi appare troppo simile non solo ad una metropoli Usa (che conosco vagamente), ma anche a Roma, anzi soprattutto a Roma. Le immondizie invadono la città ed è emergenza cittadina. La città è spaccata in due, fra quella elegante dei privilegiati e i condomini squallidi degli altri. Le metro sono sporche di unto e di graffiti. E gli adolescenti non trovano nulla di più interessante da fare che picchiare a sangue un passante. Gli stessi adulti appartenenti alla élite acquisiscono passatempi simili a quelli delle bande adolescenziali, imprese utili per sedare la solitudine nel calore di un gruppo che si dà una vacanza criminale. Insomma, mi pare che Orwell avesse assai più immaginazione dell'autore di Joker per la distanza fra la sua distopia e il suo tempo. Per quanto sempre l'immaginazione distopica parli di fatto del presente variamente camuffato.
E' un bel film Joker per l'efficacia con cui narra la genesi dell'odio di un uomo normale, normalmente fallito nella vita e nel lavoro. Efficacemente il film mette in scena ciò che nei film su Batman era taciuto perché irrilevante: la genesi della devianza e dell'odio. Mi è apparso oltremodo persuasivo il meccanismo psicosociale che fa sì che masse crescenti insorgano attorno ad un eroe assassino, simbolo della insubordinazione al sistema e alla élite (dell'economia, della politica, dei media). In questo il finale mi ha ricordato la conclusione del Caimano di Moretti. Con una differenza significativa. Che lì nell'insurrezione c'è una regia , quella del Caimano. Qui no. Segno terribile della percezione che il Caso è sempre più forte rispetto ad ogni progetto. Segno che ogni rivolta nasce ormai priva di progetto, figlia di un malessere che non trova medicina. E muore quindi consegnandoci un mondo sempre più privo d i speranza. Che ne è oggi degli Indignados? Che ne è degli italici Forconi? Che ne è dei Gilet gialli? Sospetto che domani mi chiederò: "Cosa ne è dei duri e puri del Vaffa"?

martedì 1 ottobre 2019

Le tasse non si aumentano a chi?


"Le tasse non si aumentano" è un mantra fortunato. E di destra. Come "non mettere le mani nelle tasche degli italiani". Tutti i mantra fortunati sono di destra giacché la Destra è stravincente. La Sinistra non riesce a far altro che starle dietro, imitarla, correggerla un tantino, tentare di incivilirla. Sinistra pressocché zitta anche sul progetto oscenamente impopolare (ma applaudito da un popolo analfabeta) della flat tax. Sinistra senza argomenti ovvero senza il coraggio di usare quelli che dovrebbero essere i suoi argomenti naturali. Tassare di più sigarette e merendine; perché no? Tassare molto più il gioco d'azzardo; certo che sì (meglio abolirlo, se si è capaci). Aumentare l'Iva sugli alcolici; perché no? Sulle auto di lusso; certo che sì. Sulle case di lusso e le seconde case; certo che sì. Per fare cosa? Per fare pagare di meno o niente chi ha di meno. Per eliminare i ticket (e i tempi di attesa) sulle visite specialistiche e i farmaci. Per pagare più gli insegnanti (ed aprire all'educazione degli adulti) e i poliziotti (licenziando o offrendo alternative professionali agli inadatti). Sinistra, se ci sei batti un colpo.