Vedo in un TG nazionale cubani piangenti e cubani espatriati esultanti per la morte di Fidel Castro. Non sorprende. Nessuna politica fino ad oggi ha fatto felici tutti i cittadini. Domani, ovvero fra 10 o 100 anni, vorrei che succedesse finalmente. Poi sento uno strano commento giornalistico che non è - benché lo voglia essere - la difficile sintesi della complessità della storia di un uomo e di un Paese. Il giornalista così si esprime: "dittatura mitigata da grandi riforme come quella dell'istruzione e del sistema sanitario". Mitigata. Beh, no. Sintesi infelicissima. Per alcuni dittatura è male assoluto. Anche se realizzasse il paradiso in terra. Perché non c'è paradiso possibile per alcuni se c'è un uomo solo al comando. C'è "solo" un sistema universale di istruzione e sanitario. Di cui ai "democratici" nulla interessa. Per gli altri invece quel sistema che non abbandona gli uomini alle discriminazioni insite alla nascita è positivamente incomparabile a quello dei sistemi che hanno stretto d'assedio Cuba. Punti di vista incompatibili e senza sintesi possibile.E nessuna operazione algebrica è consentita fra la felicità degli emancipati e il dolore vero di chi fuggì per buone ragioni oltre al dispetto di quelli che fuggirono per pessime ragioni. Non si "mitiga" niente. L'unica sintesi che riesco a formulare è questa: Cuba ha realizzato enormi conquiste di emancipazione grazie a quell'uomo al comando. Senza di lui probabilmente i conflitti della politica politicante avrebbero compromesso la rivoluzione. Però l'avvenire non può e non deve essere la replica di quella storia che sarebbe rischiosa, come già altrove verificato. . Per me l'avvenire è in comunità ad alto livello di istruzione politica tali da essere governate a turno dalla cuoca, dal contadino, dal tecnico informatico, non già da capi car
sabato 26 novembre 2016
venerdì 25 novembre 2016
Il culto barbarico
I miei coetanei ricorderanno ancora quando si irrideva al culto della personalità. Anche chi stava a sinistra, come me, faceva spallucce verso i poveri sovietici e i poveri cinesi affetti dal morbo del "culto della personalità", l'adorazione acritica di Stalin e di Mao Tse Tung. Pensavamo che noi rossi di Occidente eravamo vaccinati. Consideravamo carenti di autostima, un po' barbari, gli adoratori del Grande Leader, del Grande Timoniere. Eravamo vaccinati dalla filosofia greca e dalla cultura democratica di stampo ateniese. Dove uno valeva uno, il modesto ciabattino poteva dirigere l'assemblea e le cariche erano sorteggiate.Al più, credo di ricordare, ci sforzavamo di capire e storicizzare l'altrui culto della personalità. Necessario forse per "loro", improponibile per noi, come per i greci che fecero resistenza al pretesa del grande Alessandro di ricevere l'omaggio della genuflessione tipica dei barbari. Deduzione. Non essere presuntuosi: non eravamo immuni come credevamo; quando succede a noi ci sembra un'altra cosa.
Due donne grandi ed io
Oggi voglio riferire di due interventi di donne famose in politica. Laura Boldrini, Presidente della Camera, ha meritoriamente deciso di pubblicare, con nomi e cognomi, i molti insulti e oscenità ricevuti sul web nell'ultimo mese. Ben fatto, anche se gli odiatori professionisti e sessisti ovviamente non capiranno. Poi ho sentito l'intervento di un'altra donna che stimo. Emma Bonino ribadiva la sua posizione aperta sul tema immigrazione. Ci ricordava una cosa che vogliamo ignorare: che i 160,000 immigrati l'anno in Italia che ci fanno entrare in panico rappresentano proprio il quantum necessario perché il nostro Paese non si avviti in una recessione demografica che lo porterebbe all'estinzione. Purché si voglia e si sappia integrarli. Al contrario, il boom demografico in Africa è una bomba che non può essere disinnescata solo con le politiche di cui si dice (e che poco si fanno). Non basterà cioè un generico aiuto economico. Solo la libertà femminile in quei Paesi potrà promuovere l'indispensabile controllo delle nascite. Un grazie a Laura Boldrini e ad Emma Bonino. La mia personale proposta, nella giornata contro la violenza praticata verso la metà del cielo, è questa: insegnare alle nostre bambine che "amore" è parola da interpretare bene; che l'amore è un sentimento largo che non può indirizzarsi verso una persona sola; che nessun uomo deve riceverlo intero ed esclusivo da una donna perché l'esclusiv
mercoledì 23 novembre 2016
Economia reale e riforme vere contro lo spread
Voglio solo capire e vorrei vivere accanto a persone che
vogliono capire. Del tifo faccio a meno. Ad esempio vorrei capire quale
rapporto esista fra esito referendario e indicatori economici (spread, indici
di borsa, etc.). A differenza di molti amici che come me voteranno No, io penso che qualche rapporto debba pur esserci. Sarebbe strano il
contrario. Una qualche minima correlazione ci sarà pure fra il volo di una
farfalla nella foresta amazzonica e il nostro benedetto referendum. I miei amici invece oscillano fra il disconoscimento
del nesso e gli improperi al famoso capitalismo finanziario che punirebbe l’esito
NO. Gli avversari del Sì, al contrario, lo agitano. Però senza esagerare, perché l’alleanza implicita fra Sì e finanza
suonerebbe male nell’era anticasta, antibanche, antitutto. Io mi chiedo semplicemente: “Perché mai la
finanza in caso di vittoria del No dovrebbe attribuirci un rating in
peggioramento, in peggioramento rispetto allo stato attuale delle cose in cui
la riforma non c’è?”. Capirei meglio se il rating sull’Italia in un immaginario
futuro peggiorasse nel passaggio da un
Paese riformato (secondo il modello renziano) ed una vincente controriforma. Non
capisco un default conseguente ad un restare come prima. Capisco al più una punizione dei mercati dovuta all’incertezza.
Che allora stiamo già “scontando” nella
logica della speculazione. E la stiamo scontando a causa di chi l’incertezza ha
procurato. O no? Insomma, al più posso prevedere che l’esito No porti all’incasso
la scommessa speculativa. Ma credo che poi l’economia reale dovrebbe avere la
prevalenza. E magari un’ Italia che respinge il cosiddetto ”ricatto” , che se
ne infischia, che non chiede più flessibilità (cioè deficit, cioè interessi, cioè “pizzo” sulle generazioni future) , ma
riduce il debito con belle tasse progressive e azzeramento dei privilegi (assai
più numerosi dei 200 o 300 titolari delle famose poltrone) e prende il gusto
del merito, dell’eguaglianza, del recupero delle sue risorse umane sprecate,
sarebbe un’Italia che porterebbe pian piano a zero il suo spread con la
Germania. Sbaglio? Mi appello agli economisti.
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martedì 22 novembre 2016
La psicologia e l'estetica sterili
Ad Otto e mezzo D'Alema risponde alle solite insinuazioni.Non sarà diventato un fiero antagonista di Renzi e della sua riforma per mero dispetto? Forse perché Renzi gli rifiutò un ministero o altro incarico prestigioso? Interessante. Magari si potrebbe chiedere viceversa agli amici e fan di Renzi se per caso non stiano con lui perché ebbero da lui un dono insperato: un ministero cui mai avrebbero osato aspirare. Non sapremo mai la verità né riguardo D'Alema, né riguardo Franceschini, Finocchiaro, Madia o altri. Ma poi arriva la constatazione di Gruber, con la collaborazione di Severgnini, giornalista, , educato militante del Sì. "Letta però ha detto che voterà sì, malgrado i torti subiti, ricorda Gruber". E Severgnini le fa da spalla: "una lezione di stile, quella di Letta", dice con un sorriso, sapendo di provocare. Si dà. il caso che io ritenga probabilissimo il No di D'Alema per dispetto e rivalsa. Ritengo egualmente che il Sì di Letta non sia dettato da una valutazione meramente di merito. Sento il suo Sì e la sua lezione di stile una replica più sofisticata e "cattiva" allo staisereno di Renzi e al brusco congedo. Ma è sempre così. C'è sempre una ragione personale, consapevole o inconsapevole, in ogni scelta politica. Perché le idee, tutte le idee, di cambiamento, di conservazione, di libertà, di giustizia, camminano sulle gambe degli uomini e sono metabolizzate nelle loro pance piene di umori. Ma se è così perché mescolare storie di pance ad idee? Scegliamo una bussola e manteniamo la rotta: oggi si parla di idee, domani si parla di pance. Furbesco e antipatico mescolare a convenienza pance ed idee. Ma lo fanno quasi tutti, giornalisti e politici.Preferisco quelli che non lo fanno.
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Napolitano da Vespa: la riforma oltre Renzi
Premesso che non mi ha fatto cambiare idea e voterò NO, per me Napolitano ieri è stato il più convincente sponsor della riforma. So che è antipaticissimo agli amici di sinistra. A me lo è solo qualche volta. E continuo tranquillamente i miei esercizi di auto-educazione al pensare non fazioso. Anche a rischio di valutare positivamente pensieri critici verso 5stelle dell'impresentabile De Luca, come mi è capitato sfortunatamente alla vigilia della sua orrenda performance contro la Presidente dell'antimafia. Ieri ho visto un Napolitano sincero e sereno. Che portava benissimo i suoi 90 anni, assai più del coetaneo Scalfari e anche di De Mita e del "giovane" Zagrebelsky. Lucida e puntuale la sua difesa della riforma. Soprattutto perché la ha liberata dalla stucchevole e volgare narrazione renziana. Ha liquidato infatti nettamente la futilità populistica dell'argomento della riduzione dei costi della politica, delle "poltrone"e sciocchezzuole simili. Argomento centrale per lui sopprimere i rischi delle incompatibili maggioranze fra Camera e Senato, oltre al riordino di competenze centrali e periferiche (Stato e Regioni). Come se leggesse nel mio pensiero ha osservato che anche l'abolizione del Senato sarebbe stata una risposta adeguata. E tranquillamente ha preso atto che pure su questo sono in campo opinioni opposte di costituzionalisti dei due fronti. Ha cercato quindi di liberare la riforma dal devastante protagonismo renziano. Bravo. Se non mi ha fatto cambiare idea lui ieri nessuno potrà farmi cambiare idea domani.
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lunedì 21 novembre 2016
Salvini da Fazio:segnali dal futuro prossimo
Per me Salvini è uno che dice immediatamente quel che pensa. Non sembra studiare e non cerca mossette scontate. Dice le solite cose che non possono dispiacere a nessuno. Contro la legge Fornero ad esempio. Per tutti è ok andare in pensione presto: a chi può andarci e a chi pensa di prendere il posto di chi va in pensione. Così dice il pensiero comune; quello stesso che dice di chiedere più flessibilità all'Europa. Chi ci perde? Apparentemente nessuno. Poi c'è la flax tax al 15%.Chi ci perde? Non chi paga il 45% ma neanche chi paga il 16%. In compenso botte da orbi all'anonima finanza che se ne infischia proprio perché anonima. Elogi sperticati a Putin, Trump, Le Pen e addirittura al giovane dittatore nordcoreano. Cosa hanno in comune? Sono alfieri della sovranità nazionale. Messaggio chiarissimo. Infine a domanda di Fazio sul centrodestra, la risposta più innovativa e coraggiosa: "Sono cose vecchie la destra e la sinistra. Oggi la differenza è fra chi difende gli interessi nazionali e di chi lavora e chi difende le banche". L'ho preso sul serio. Da tempo sono evidenti le convergenze fra destra e cerca larga sinistra che dice di comprendere il voto a Trump ma vuol dire forse che lo condivide. Salvini ha esposto un progetto rosso-nero con efficacia. P.S. Io non sarò con quel progetto rosso-nero.
domenica 20 novembre 2016
Lui solo?
Una riflessione serena sull’ultima narrazione renziana, a Matera. Dice il segretario premier: “
Se viene fuori un’accozzaglia di tutti, tutti contro una sola persona…” Cerco allora il significato di “accozzaglia su Treccani: accozzàglia s. f. [der. di accozzare]. – Turba confusa di persone spregevoli, o massa discordante di cose: a. di gente varia d’età e di sesso (Manzoni); un’a. di loschi individui; a. di oggetti di ogni genere.
Bene. Se il segretario-premier-titolare del sì ha letto Treccani a riguardo, intendeva offendere molto pesantemente. Dubito un tantino solo perché a volte ho l'impressione che Renzi usi termini a sproposito solo per ignoranza. L'ho notato soprattutto nell'uso di "burocrazia" riferito al confronto parlamentare. Non conosce molte parole. Usa le poche che conosce. E questo gli giova perché poche parole (anche sbagliate) si imprimono nella mente altrui assai più delle molte parole e sfumature di Civati. Questa volta ha scelto bene e con efficacia. Anche le repliche di Civati e di molti amici sono corrette ed efficaci. Denunciando l'accozzaglia renziana (Civati) o ricordando l'accozzaglia resistenziale contro il fascismo. D'accordo con tutti. Mi fermerei un attimo però sul resto della frase. "Contro una sola persona..." Tutti contro uno. Così Renzi percepisce la battaglia. "Tutti, tutti (ripetuto) contro uno". Scommetterei che lì in quel "una sola persona" Renzi abbia commesso una gaffe. Ha detto quel che pensa ma che avrebbe preferito non dire. Immagino aspre proteste della ministra delle riforme, di Napolitano, di Orfini e dei tanti impegnati nel fronte del Sì. "Tu solo? Noi non contiamo niente"? Credo nelle proteste se lì c'è ancora una comunità di teste pensanti, dotate di sufficiente autostima.
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sabato 19 novembre 2016
Siamo impazziti
Spero che gli impazziti siano solo su fb. Che quella di facebook non sia solo l'avanguardia di un popolo che ha perso la testa. Ma qui, se esco dalla mia pagina e dai miei pochi gruppi, è un inferno. Le ultime due. Un tale che sulla sua pagina casualmente incontrata mi rimbecca dicendomi che dico "cazzate" (così, senza sinonimi o abbreviazioni) riferendosi ai miei argomenti anti Renzi. Controllo chi sia e scopro che è nientepopodimenoche un giornalista economico di Repubblica. A parte il linguaggio resto molto molto perplesso giacché mostra di non capire che esistono teorie economiche al mondo diverse dal laissez faire, insomma con gli imprenditori che scelgono sempre per il meglio. Poi, in altra pagina un'amica si dice comunista, ma propensa al Sì. Un tale interviene e la insulta addirittura più pesantemente di quanto il giornalista economico iper-renziano di Repubblica aveva prima fatto con me. E aggiunge: "Ti cancello dalle mie amicizie". Se vado per strada o al bar mi sembra che tutti condividiamo eguali piccoli piaceri e sapori. Cosa diavolo ci divide? Non pare sia la lotta di classe. Che diavolo è? Chi diavolo è stato?
Genius: quanti sono gli autori?
Ho ripensato al film non imperdibile visto giorni fa. Ci ho
ripensato leggendo qualcosa sulle lettere di Céline ai suoi editori. Leggevo delle sue aspre minacce.
Che non si azzardassero a toccare una
virgola del suo romanzo. Invece in
Genius Thomas Wolf (Jude Law),
potenziale scrittore di talento, in
parte subisce, in parte chiede l’intrusione dell’editor. Lo chiede come in rapporto col
padre che non ha avuto. E Max Perkins
(Colin Flint), già editor di Hemingway e Fitzgerald, trova
nel geniale autore il figlio che non
ha avuto. L’editor lavora
di accetta più che di cesello. Così una disordinata e mostruosamente
sovradimensionata opera diventa leggibile e diventa un best seller. Mutatis
mutandis, mi sono ricordato della mia
tesi di laurea. Mancavano pochi giorni e
la relatrice mi impose di sforbiciarla di
almeno un terzo. A mia
discrezione cosa tagliare. Tagliai il capitolo sul tema della professionalità al femminile. Che
mi piacerebbe oggi rileggere, ma non trovo.
Beh, del film mi ha interessato questo. Perché di fatto sempre in
un’opera cogliamo pezzi trasfigurati delle nostre esperienze. Quanti sono
davvero gli autori di un’opera (film, romanzo o altro)? Non
solo lo scrittore, non solo il regista: sceneggiatore, produttore,
editor, insieme agli incontri diretti
dal Caso, grande autore occulto, ed oltre ai lettori o spettatori, ognuno di fronte ad un’opera di
fatto diversa. Sicché poco mi hanno
interessato i rapporti della moglie di
Wolfe (Nicole Kidman) con il marito e l’editor. Il tema della vita divisa fra amore/famiglia e passione
fagocitante per l’arte resta come
sovrapposta nel film. Forse per un
regista teatrale - Michael Grandage - alle prese con la sua prima opera
cinematografica. Beh, cercherò ancora il capitolo soppresso della mia tesi di
laurea.
mercoledì 16 novembre 2016
Il Veltroni di “ma anche”: più con me che con Renzi
E’ la mia sintesi disinvolta dell’intervista di ieri sera di
Gruber a Veltroni. Che Veltroni votasse
Sì lo immaginavo bene. Lo
davo meno scontato per
Letta. Che però votando Sì fa un
figurone di uomo sopra le meschinità
degli uomini comuni e degli “staisereno”. Spiego a me stesso allora perché io
sento Veltroni più vicino al mio mondo che a al mondo di Renzi. Malgrado il suo Sì e il mio No. Veltroni, dopo aver illustrato le scontate
ragioni del suo Sì, denuncia il clima di rissa e personalizzazione di cui fa
carico a Renzi e ai suoi avversari. Ma implicitamente più al primo che avviò la
personalizzazione. Poi dice che a
referendum concluso la sinistra
dovrà occuparsi dei problemi della sofferenza di milioni di cittadini.
Alla domanda se Renzi sia sinistra non risponde apparentemente , ma in pratica
risponde dicendo che “sinistra” non è
parola da cancellare dal vocabolario del Partito Democratico. Tutt’altro. Serve una risposta di sinistra
alla sofferenza. E alla domanda di Gruber “Cosa pensa della rimozione della
bandiera europea nell’ufficio del
Presidente del Consiglio?” risponde che ne pensa malissimo. Più o meno come
aveva dichiarato Prodi. E ancora: “Sbagliato confondere Grillo con Salvini. Da
una parte ci sono contraddizioni ed un programma confuso ma con idee rispettabilissime. Dall’altra parte c’è il
populismo della destra” . E infine :
“Non si debbono rincorrere i populismi sul loro terreno. Bisogna proporre visioni diverse”. Insomma tutta l’intervista è una polemica
netta contro il renzismo. C’è anche in
Veltroni la nota rivendicativa del suo “ma anche”. E’ connessa all’aspirazione
maggioritaria del partito che aveva fondato. Che voleva essere
maggioritario nel senso di aperto
all’ascolto delle ragioni altrui e intenzionalmente inclusivo. Perché “E’ così…ma anche…”. Nessun rapporto, a mio
avviso, con gli stratagemmi di leggi
elettorali truffa che trasformano in maggioritaria una corposa minoranza. Sento invece un’assonanza con la
rivendicazione della locuzione “nella misura in cui” di Berlinguer in un’intervista di tanto tempo
fa. Berlinguer che quietamente difendeva quella locuzione con l’intervistatore che la riteneva vaga.
lunedì 14 novembre 2016
Disperazione ed astensione
Alle prossime politiche sempre più probabile un mio sterile voto di testimonianza ad una sinistra che non deve vincere o non riesce a vincere restando sinistra. Oppure l'astensione.
Intervistato da Gruber ed altri sul direttorio "abrogato" da Grillo, Fico, fra gli ex del direttorio, risponde: "Non c'è mai stato. E' una invenzione. Il direttorio di M5S è M5S". Risposta suggestiva. Però che il direttorio non ci sia mai stato lo scopro stasera. Pazienza. Ma poi Gruber incalza chiedendo in cosa M5S o Fico si senta vicino a Trump. E lì salto dalla sedia. Perché Fico risponde come temevo. Dà proprio la risposta che io gli imploravo di non dare. "Trump ha rinunciato alla indennità presidenziale di 400.000 dollari annui". 400.000 dollari, quanto potrebbe servirgli per aggiornare la rubinetteria d'oro di uno dei suoi bagni. Mia autentica disperazione.
domenica 13 novembre 2016
Burocrazia" = Senato?
Avevo detto più giù delle mie perplessità sull'uso ossessivo in Renzi di parole come "poltrone". Manco a dirlo poco fa a Napoli il premier mi dava ancora ragione. Per la milionesima volta il suo discorso citava le maledette poltrone (quelle degli altri). Ma, riflettendo, vorrei dire che evidentemente un problema è costituito dalla scarsa padronanza lessicale del segretario-presidente: ampiezza del vocabolario e proprietà di linguaggio. Altra parola infatti che gli è molto cara è "burocrazia". Quasi quanto "poltrone". Non so se capita a voi. A me qualche volta capita che se una persona (soprattutto se affidabile e/o presuntivamente colta) usa una parola cui dà significato diverso dal mio, resto in imbarazzo, col dubbio di mia grave lacuna personale. Renzi dice spessissimo che la riforma vuole ridurre la "burocrazia". Ma non lo dice parlando di impiegati o dirigenti. Lo dice parlando di senatori o di consiglieri provinciali. Almeno quando ha intenzione di parlarne in senso dispregiativo: cioè sempre. Ogni volta ho avuto il dubbio di fraintendere o di essere ignorante. Finalmente oggi, stremato dal dubbio, ho controllato su qualche dizionario. No, accipicchia, negli esempi di "burocrazia" gli eletti del popolo non sono citati. Vedi ad esempio la definizione: "Burocrazia è L'insieme degli uffici e dei funzionari della pubblica amministrazione: b. statale, regionale; l'organizzazione e le pratiche cui costringe, spesso con valore spreg.: c'è tanta b."
Così ho capito: Renzi ha frainteso. Ciò che è una conseguenza possibile della burocrazia, l'eccesso di pratiche, con conseguenti lungaggini, diventa per lui l'essenza della parola. Ogni cosa che richieda tempo, troppo tempo, diventa burocrazia. Quindi il Senato,soprattutto il Senato, e i consiglieri provinciali e forse la democrazia per come l'abbiamo fin qui interpretata. Domani - chissà - anche la lunga gestazione di un figlio.
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Le maledette poltrone
Forse Renzi coordina, dirige, lavora e produce tweet seduto su uno sgabello oppure addirittura in piedi. Perché non mi ero accorto di queste fantomatiche poltrone che affollano gli incubi del segretario-premier. O forse Renzi non è così fantasioso come si crede. In un messaggio alla nazione e in un altro pure, in un twett e nell'altro pure c'è l'invettiva contro queste benedette poltrone. Il Paese è paralizzato da mesi per un referendum che ci chiede se vogliamo togliere poltrone. Ebbene sì. Le vogliamo togliere. Tutti su sgabelli o in piedi. Poi facciamola finita e occupiamoci di cose serie.
sabato 12 novembre 2016
Il duello dei populisti e il popolo assente
Le parole si logorano. Nell’era del politicamente scorretto
quel che era denigratorio è rivendicato come merito. Così avviene per
“populismo”. Grillo è stato forse il primo a rivendicarlo come merito: “Siamo populisti”. Forse quindi sarò
costretto a cercare un’altra parola per indicare
chi seduce il popolo per distrarlo dai suoi interessi e dalle sue battaglie.
Come dovrei chiamare chi suggerisce bersagli facili per ricevere consenso
esplicito dal popolo e consenso implicito dai privilegiati risparmiati dal
grande Vaffa? Non mi arrendo al
politicamente scorretto e non dico
quindi “imbroglioni”.
Alla vittoria di Trump Grillo ha manifestato compiacimento
ed esultanza. “E’ stato un grande vaffa all’è lite” ha detto. Alla è lite
politica forse sì. Non alla élite dei multiproprietari di ville e palazzi, con
le rubinetterie dorate però. Quella è
una élite “popolare” forse. Ma Grillo
si è accorto che il vaffa di Trump è rivolto anche e soprattutto ad un pezzo
caratteristico del programma 5Stelle? Lo è, a meno di credere che l’ecologismo
del M5S non sia solo un orpello raccattato per riempire le pagine del
programma. Lo è perché, al di là della xenofobia e del sessismo che magari
potrebbe apparire un gioco innocente (e non lo è) ,il nucleo concretissimo del
programma di Trump è l’esatto opposto dell’ecologismo dichiarato di Grillo. E’
la scelta del carbone. E’ la scelta delle trivelle. E’ la scelta di denunziare
gli accordi di Parigi sul clima. E’ la
scelta di sfamare il suo popolo saccheggiando il pianeta. E’ la scelta di fare
pagare i costi del saccheggio a quelli che ancora non votano e a quelli che
verranno. Quest’ultima è la scelta
peraltro del populismo contendente: quella di Renzi. Anche lui per grandi opere
e trivelle. Lui impegnato nell’appassionata contesa con Junker. Lui che non la
manda a dire. Lui che –oibò – alla “burocrazia” di Bruxelles antepone la
sicurezza delle scuole e il popolo terremotato. E quindi pretende flessibilità,
cioè deficit, cioè debito da
scaricare al governo prossimo venturo,
nonché ai posteri. Mentre nessuno osa ribattere che le risorse
per la sicurezza e per i senza tetto potrebbero essere recepite con la reintroduzione della tassa sulla prima casa per i più abbienti, con la reintroduzione
della tassa di successione che penalizzerebbe un tantino la povera milionaria erede di
Esselunga o gli eredi di Briatore, e con
la revisione della curva dell’Irpef, accentuandone la progressività . Oltre che abbattendo le pensioni d’oro. Oltre
che abbattendo le remunerazioni d’oro di troppi dirigenti. Oltre che
bonificando l’Italia da consorterie familistiche, amicali, paramafiose, mafiose. Tranquillo, Presidente, nessuno proporrà
nulla di simile. Il senso comune
vincente che ha disarmato il “popolo” non consente di parlare di tasse e sul resto
si può parlare senza essere obbligati a fare. La narrazione renziana è assai
intelligente. Infatti nessuno osa
contraddirla davvero. Al più si può rilanciare più in su o denunciare
l’insufficiente determinazione del premier: “Io pretenderei di più, io userei
parole più pesanti contro la tecnocrazia”: insomma variazioni sulla stucchevole
narrazione. Il senso comune in compenso consente di proporre impunemente la flax tax
al 15% per tutti, poveri e ricchi, escogitata dal terzo populista,
Salvini, fra gli applausi di chi paga il
16% e pagherebbe con il taglio radicale
al welfare lo sconto miserabile dell’1%. Mosse tutte intelligenti (cioè a
loro convenienti) quelle dei duellanti
populisti come quando si nasconda la polvere sotto il tappeto, sapendo che
altri, futuri odiosi governanti che saranno chiamati “tecnocrati” dovranno fare
pulizia perché la nave non affondi. Duellanti ma ispirati da valori largamente
condivisi come (absit iniuria verbis) i duellanti delle gang che si contendono il territorio bevendo le stesse birre e sognando gli stessi sogni. No, mi rifiuto di corteggiare il popolo di
Grillo, Renzi e Salvini. Aspetto che il
popolo scopra l’inganno. Forse
dapprima il popolo che non vota. Con un pizzico di fiducia in alcuni leader
veri interessati al cambiamento vero: Francesco, forse Sanders, forse lo
scamiciato Mujica che però chissà se lascerebbe la sua casetta
con l’orto da coltivare.
venerdì 11 novembre 2016
Il falso bersaglio
Allora. Con la Presidenza Obama il benedetto Pil americano è risalito. La disoccupazione si è più che dimezzata. Però i processi lunghi della globalizzazione hanno tolto il lavoro a molti americani, in numero minore di chi un lavoro ha ottenuto, ma molti. Lo ha tolto a quelli che lavoravano nelle acciaierie giacché l'acciaio cinese, assai più economico, sostituisce in America quello americano. Per inciso qualcuno annota che Trump riceve il voto degli operai dell'acciaio licenziati o a rischio di licenziamento e però costruisce Trump Towers altissime grazie a quell'acciaio economico. Ma il punto vero è che chi perde nella globalizzazione protesta mentre i nuovi occupati non sanno di dover ringraziare la globalizzazione ed Obama. Né, tanto meno, la potenziale erede Clinton. Bisognerebbe che qualcuno lo spiegasse loro. Poi servirebbe riattrezzarsi bene in Usa e nel mondo per una globalizzazione più morbida e/o per ammortizzare l'impatto della mobilità di merci e di uomini: cosa sì e cosa no, chi sì e chi no. E soprattutto come e a quali condizioni. Per me, ad esempio, i negozi cinesi no, il mega Mc Donald a Borgo Pio assolutamente no.
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Stop the hate
E' un cartello agitato in una manifestazione a New York di cittadini shoccati dalla vittoria di Trump. Mi ha colpito e mi è piaciuto. Come un programma politico. Breve, intenso e tutto da sviluppare. Per l'America, per il mondo. Anche per la rete, direi, dove l'odio è di casa. Non è neanche un cartello contro Trump. E' un monito a tutti. Per iniziare un nuovo corso. Penso che sarà piaciuto a Francesco, se lo ha visto.
mercoledì 9 novembre 2016
Trump: nuntio vobis gaudium magnum
Trump, quindi: “Nuntio vobis gaudium magnum”. Vi do notizia della scoperta. Il Grande Vecchio non esiste. Se esistesse sarebbe rincoglionito (pardon). Non c’è. Non c’è nessun onnipotente che potesse decidere la narrazione della prima donna dopo il primo nero alla Casa Bianca. Il Grande Vecchio non c’è. Non avrebbe scommesso e perso tanto denaro puntando sulla perdente. Non c’è. C’è l’onnipotente Caos. Lì, fra le pieghe del Caos (che si può chiamare “caso”), ci sono al più alcuni sapienti. Sapienti abbastanza nel fare affari e difendere privilegi. Ma che litigano fra loro, fra grossi e piccoli. Quelli interessati alle frontiere aperte e quelli che le frontiere le vogliono chiuse. Tutti a reclutare adepti fra noi, il 99%. Noi che combattiamo le loro battaglie, sempre meno nelle piazze, sempre più su facebook.
Ogni tanto, raramente, forse i sapienti convergono. Ci hanno lasciato una politica piccola, piccola, in gran parte meramente simbolica, bianchi contro rossi, Renzi contro Grillo, sì contro no. Non si allarmano certo per questo i sapienti. Combattiamo battaglie per loro o come mero passatempo per ingannare la paura della inattività e della morte. Solo se tocchiamo il tema proibito dell’eguaglianza di tutti gli uomini, TUTTI, non i connazionali, allora è come se i sapienti smettessero i loro conflitti e facessero quadrato. Migliaia o milioni di volontari, giornalisti, blogger, internauti, perditempo, sono stimolati ad indossare veri elmetti di guerra per deridere e stroncare le vecchie, minacciose ideologie: la pace, la decrescita felice, il socialismo. No, è un modo di dire. Non c’è nessuna riunione di saggi. C’è un pilota automatico congegnato per intervenire al bisogno. Per la contesa Clinton- Trump non serviva intervenire. I sapienti sono stati liberi di confliggere fra loro, sapendo che nessuno si sarebbe fatto troppo male.
lunedì 7 novembre 2016
Onida versus Boschi: il primo impedito, la seconda straripante
Boschi televisiva, brillante e sicura, come sono anche quelli che non sanno di non sapere. Onida più televisivo di Scalfari e Zagrebelsky. Gruber mai vista tanto parziale: largo spazio alla ministra e interruzioni intempestive ad Onida. Sicché non riesco a sentire e capire le spiegazioni del costituzionalista riguardo l'accusa di incoerenza rivoltagli dalla ministra rispetto sue precedenti posizioni. Ministra che protesta, con grande sorriso, ma protesta alla minima interruzione. E però interrompe spessissimo. Oltre - purtroppo - ad esibire scuotimento di capo ("ma che dice"?) ad ogni affondo di Onida. Un po' - ahimè- stile Santanché. Solo un po' però. Onida riesce a dire che è futile e improprio per un quesito referendario costituzionale parlare di riduzione dei costi della politica. Un argomento populista e che implicitamente delegittima la funzione parlamentare. Osa dire anche, come a suo tempo Padoa Schioppa, che la politica oggi non osa essere impopolare perché deve essere simpatica. Infatti non osa decidere oneri fiscali per rispondere all'emergenza terremoto e sicurezza. Onida avrebbe detto forse, se Boschi e Gruber glielo avessero consentito, che il governo preferisce sfondare sul deficit e far crescere il debito a spese di quelli che verranno. Col vantaggio aggiuntivo di poter litigare con Junker, mostrare sovranismo e bullismo che spiazza leghisti e grillini e raccogliere ingenui consensi nazionali.
Fuori, fuori: da che?
Il “fuori fuori” della Leopolda urlato contro i protagonisti del primo PD ha un suono sinistro. Lo ha per l’apparato narrativo, non già per il merito. Chi disegna il recinto rispetto al quale ci si possa dire dentro o fuori? Si potrebbe dire lo Statuto o il Manifesto dei valori. Ho provato a rileggere il Manifesto dei Valori del PD (2008). Beh, mi è sembrato che dentro possano starci comodamente sia Renzi che Bersani. E anche Fassina e Civati. E anche Alfano. Magari Monti. Magari addirittura Meloni. Nessuno legge manifesti e statuti. Neanche prima di chiedere una espulsione dal recinto. Perché i manifesti sono vaghi e hanno bisogno di interpreti. Nel PD oggi l’interprete è Renzi. Come nel M5S è Grillo. Con la differenza che il secondo, da fondatore (id est “da padrone”) del movimento, decide chi è fuori linea, chi da ammonire, chi da perdonare, chi da espellere. Io non credo affatto che le espulsioni siano in sé non democratiche. Mi pare ovvio e desiderabile che si dimetta o sia espulso chi fuoriesce dai valori del recinto. Renzi però non ama le espulsioni. Preferisce le dimissioni. Ancor più preferisce che gli oppositori ci siano, che schiamazzino e non contino. Perché i “traditori”, quelli non obbedienti al leader, sono indispensabili per aizzare la folla. Il “traditore” interno al partito è figura assai più stimolante del normale avversario esterno (Berlusconi, Salvini, Grillo). Più stimolante per stringere le fila attorno al capo. Così il capo, novello Marco Antonio scespiriano sul cadavere di Cesare (il partito), aizza la folla contro i traditori, magari dopo professioni di rispetto (formula usata e abusata da Renzi e consapevolmente ipocrita). “E Bruto è uomo d’onore” diceva Marco Antonio. Lo diceva da spregiudicato provocatore fino a indurre la folla ad apparentemente contraddirlo: “Non uomini d’onore sono; traditori sono”. E si dispiaceva –così diceva Marco Antonio - di aver provocato tanta ira e rivolta. Lui uomo buono e aperto, circondato da traditori.
Ecco, questo apparato narrativo mi sconvolge assai più delle arbitrarie espulsioni grilline. Forse è un problema di estetica. O forse no. Mi sconvolge forse l’immagine del partito in cui ho militato, ridotto a figuranti che fischiano, applaudono e gridano “fuori” secondo un copione scritto da altri.
Credo di capire che oggi i recinti statutari e valoriali sono vaghi perché i partiti sono scatole vuote acquisibili dal miglior acquirente. Forse è inevitabile così perché nulla come una faccia può disegnare oggi i confini del recinto. Solo l’arbitrio personale cioè. Le narrazioni vincenti hanno sconfitto la storia lenta dei partiti, i partiti che evolvevano con te sicché non avvertivi discontinuità e sconquassi ad ogni nuovo segretario. Oggi un leader nuovo pretende un partito nuovo. conservando il marchio del vecchio e del suo patrimonio di fedeli alla Ditta. Pessima parola “La Ditta” vorrei dire al Bersani dai troppi errori. “Ditta” sa di bandiera futile del tifo per una squadra in cui siano cambiati giocatori e proprietari. Bersani disse qualcosa anni fa che mi piacque. Disse: “Sinistra è credere che non puoi star bene se gli altri attorno a te gli altri non stanno bene”. Io mi riconosco in quel valore, non in una bandiera che passa di mano in mano. Perciò chiedo a quel Bersani di non permettere più agli invasati di gridargli ”fuori”, mentre Marco Antonio volge il capo per celare il sorriso compiaciuto. Chiedo a Bersani di uscire da quel recinto e cercare i compagni con cui costruire la sinistra.
Ecco, questo apparato narrativo mi sconvolge assai più delle arbitrarie espulsioni grilline. Forse è un problema di estetica. O forse no. Mi sconvolge forse l’immagine del partito in cui ho militato, ridotto a figuranti che fischiano, applaudono e gridano “fuori” secondo un copione scritto da altri.
Credo di capire che oggi i recinti statutari e valoriali sono vaghi perché i partiti sono scatole vuote acquisibili dal miglior acquirente. Forse è inevitabile così perché nulla come una faccia può disegnare oggi i confini del recinto. Solo l’arbitrio personale cioè. Le narrazioni vincenti hanno sconfitto la storia lenta dei partiti, i partiti che evolvevano con te sicché non avvertivi discontinuità e sconquassi ad ogni nuovo segretario. Oggi un leader nuovo pretende un partito nuovo. conservando il marchio del vecchio e del suo patrimonio di fedeli alla Ditta. Pessima parola “La Ditta” vorrei dire al Bersani dai troppi errori. “Ditta” sa di bandiera futile del tifo per una squadra in cui siano cambiati giocatori e proprietari. Bersani disse qualcosa anni fa che mi piacque. Disse: “Sinistra è credere che non puoi star bene se gli altri attorno a te gli altri non stanno bene”. Io mi riconosco in quel valore, non in una bandiera che passa di mano in mano. Perciò chiedo a quel Bersani di non permettere più agli invasati di gridargli ”fuori”, mentre Marco Antonio volge il capo per celare il sorriso compiaciuto. Chiedo a Bersani di uscire da quel recinto e cercare i compagni con cui costruire la sinistra.
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sabato 5 novembre 2016
In guerra per amore: fra grottesco e militanza
Cerco di capire perché il secondo film di Pif mi è piaciuto meno del primo, “La Mafia uccide solo d’estate”. Molte cose in comune: la Sicilia, la mafia, la struttura narrativa alquanto favolistica. Nel primo film di Pif la mafia è quella sanguinaria di Riina, quella di Ciancimino e del sacco edilizio di Palermo. Nel secondo è la mafia prevalentemente agraria dell’inizio degli anni ’40.
Pif, italo-americano, o meglio siculo- americano, che si arruola nell’esercito americano che si appresta a sbarcare in Sicilia. Lo fa per amore, per chiedere la mano dell’amata al padre che vive nell’Isola. Come nel primo film l’ingenuo protagonista scoprirà pian piano il dominio mafioso che governa l’Isola. Nel film i comprimari, a partire dall’interprete del mafioso boss e poi sindaco del paesino dal nome inventato, sono più efficaci degli stessi protagonisti. Sempre sul piano del grottesco e di allusioni molto plateali. Vedi il discorso del neo sindaco mafioso con l’elogio della democrazia…cristiana, nella Sicilia liberata. Liberata dai tedeschi e consegnata alle cosche. Ove la platealità grottesca diventa un lasciapassare alla scelta militante. Toni “militanti” ed epici in entrambi i film. In “ La mafia uccide solo d’estate” mi colpì molto e mi emozionò la conclusione col protagonista, diventato padre, che guida il figlio per la Palermo delle stragi mafiose a mostrargli le targhe sui muri di cui è disseminata la capitale siciliana in ricordo degli eroi uccisi: un pellegrinaggio martirologico. Qui la conclusione vede il protagonista aspettare imperterrito davanti alla Casa Bianca di consegnare a Roosvelt la lettera testamento del tenente italoamericano assassinato, venuto anche lui in Sicilia per amore, ma per l’amore della libertà. L’allusione è al rapporto Scotten oggi desecretato in cui il governo Usa manifesterebbe di scegliere la mafia per il governo della Sicilia occupata. Ancora una volta Pif sceglie dunque il registro favolistico e grottesco, prossimo al rischio di addolcire l’orrore. Un po’ come nel Benigni di “La vita è bella”, che infatti a molti piace, a molti no. Qui si spinge un po’ oltre e forse è per questo che il film di Pif mi convince meno del primo. Poi c’è la lettura di un siciliano come me, che lasciò anni fa la Sicilia della mafia per trasferirsi nella Roma di mafia capitale e che va a vedere i film di Pif per rivedere paesaggi dimenticati e riascoltare parlate locali. Di uno come me che si infastidisce abbastanza ascoltando gli interpreti ipoteticamente concittadini del paesino del sudest parlare uno con accento palermitano, l’altro catanese, l’altro siracusano. I “continentali” non ci faranno caso.
Pif, italo-americano, o meglio siculo- americano, che si arruola nell’esercito americano che si appresta a sbarcare in Sicilia. Lo fa per amore, per chiedere la mano dell’amata al padre che vive nell’Isola. Come nel primo film l’ingenuo protagonista scoprirà pian piano il dominio mafioso che governa l’Isola. Nel film i comprimari, a partire dall’interprete del mafioso boss e poi sindaco del paesino dal nome inventato, sono più efficaci degli stessi protagonisti. Sempre sul piano del grottesco e di allusioni molto plateali. Vedi il discorso del neo sindaco mafioso con l’elogio della democrazia…cristiana, nella Sicilia liberata. Liberata dai tedeschi e consegnata alle cosche. Ove la platealità grottesca diventa un lasciapassare alla scelta militante. Toni “militanti” ed epici in entrambi i film. In “ La mafia uccide solo d’estate” mi colpì molto e mi emozionò la conclusione col protagonista, diventato padre, che guida il figlio per la Palermo delle stragi mafiose a mostrargli le targhe sui muri di cui è disseminata la capitale siciliana in ricordo degli eroi uccisi: un pellegrinaggio martirologico. Qui la conclusione vede il protagonista aspettare imperterrito davanti alla Casa Bianca di consegnare a Roosvelt la lettera testamento del tenente italoamericano assassinato, venuto anche lui in Sicilia per amore, ma per l’amore della libertà. L’allusione è al rapporto Scotten oggi desecretato in cui il governo Usa manifesterebbe di scegliere la mafia per il governo della Sicilia occupata. Ancora una volta Pif sceglie dunque il registro favolistico e grottesco, prossimo al rischio di addolcire l’orrore. Un po’ come nel Benigni di “La vita è bella”, che infatti a molti piace, a molti no. Qui si spinge un po’ oltre e forse è per questo che il film di Pif mi convince meno del primo. Poi c’è la lettura di un siciliano come me, che lasciò anni fa la Sicilia della mafia per trasferirsi nella Roma di mafia capitale e che va a vedere i film di Pif per rivedere paesaggi dimenticati e riascoltare parlate locali. Di uno come me che si infastidisce abbastanza ascoltando gli interpreti ipoteticamente concittadini del paesino del sudest parlare uno con accento palermitano, l’altro catanese, l’altro siracusano. I “continentali” non ci faranno caso.
giovedì 3 novembre 2016
Di Battista versus Scalfari
29 anni contro 92. Come nel confronto Renzi De Mita mi è capitato di condividere le ragioni dell'anziano politico contro le ragioni del Sì e di Renzi, anche ora ad Otto e Mezzo riconosco la fondatezza degli argomenti del vecchio giornalista, fondatore della Repubblica, contro M5S. Ma ora come allora mi resta lo sgomento per le patologiche amnesie che attribuisco all'età. Di Battista in bicicletta per i paesini della Calabria, sarebbe il tour in moto per l'Italia del leader 5 stelle? E poi strane divagazioni. Penso proprio che la TV non sia adatta al protagonismo degli anziani. E' una preoccupazione personale però quella di trovare un ruolo per la terza età. Sulla carta stampata i rischi sono assai minori. Continuerò a leggere Scalfari la domenica.
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