venerdì 30 dicembre 2016

Gli anni che verranno


Eravamo più felici prima? Prima che il mondo diventasse un tutt’uno? Quando le frontiere erano difese da linee Maginot? Quando vivevamo venti anni di meno? Quando le epidemie e le guerre ci decimavano? Peccato che non siano disponibili indicatori storici del nostro trascorso grado di felicità da confrontare con gli opinabili indicatori attuali. Peccato non si possano fare confronti geografici misurabili fra la felicità di un “europeo medio” e di un “siriano medio”. Oggi sono portato a pensare che il meglio sia stato raggiunto in Occidente e che da un po’ sia iniziato il declino. Altrove il meglio non è mai iniziato. Altrove non è declino ma catastrofe. Ho smesso di credere in algoritmi che possano mettere ordine nel mondo. Credo di sapere che qualunque soluzione apre nuovi e spesso più gravi problemi. Le primavere preparano inverni bui. E stiamo per accettare definitivamente l’assunto per cui dobbiamo scegliere spesso fra due orrori quello più gestibile e rassicurante. Meglio Hussein, meglio Gheddafi, meglio Assad, meglio Putin che il caos, meglio addirittura Erdogan che, a prezzo ragionevole, ospita (si fa per dire…) chi fugge dai massacri. Il secondo dopoguerra, fino al 2008, è stato l’epoca felice dell’Italia e dell’Europa. Con la lunga pace della guerra fredda e poi con la fine dei blocchi. Pil e consumi sempre crescenti, la Terra sempre più spremuta, il territorio cementificato e il ceto medio protetto e garantito. Adesso, guardandoci indietro, anche le stragi terroristiche e di mafia appaiono solo incidenti da cui ripartire, sapendo dove andare. C’era un mondo di cui non sapevamo nulla mentre crescevamo e i Mac Donalds si moltiplicavano. C’era il genocidio in Ruanda, c’erano tsunami e pestilenze nell’altro mondo. Una notizia veloce sui giornali e via con i nostri riti del sabato sera, i nostri ragazzi che crescevano e trovavano prima o dopo lavoro. Intanto il mondo cominciava a diventare un tutt’uno. I salari non crescevano più, ma compravamo jeans economici prodotti da lavoratori, donne e bambini in Bangladesh. Sfruttati, ma qualcuno dice che guadagnare un dollaro al giorno è assai meglio che vivere con mezzo dollaro al giorno. Iniziava la grande osmosi della globalizzazione fra ex benestanti sempre meno benestanti e poverissimi che diventavano un po’ meno poveri. E in alto i ricchissimi sempre più ricchi. Quelli che non possono fallire. Quelli che hanno in ostaggio i lavoratori. O accettare di essere avvelenati dalle acciaierie o morire di fame. O accettare un taglio del salario o l’azienda andrà via dove folle denutrite e festanti l’accoglieranno. Osmosi. Tranne che per l’1% sottratto all’osmosi. L’1% , motore dell’osmosi. A questi dilemmi risposte assenti o regressive, terapie addirittura più distruttive della stessa malattia. Ecco il top del pensiero “ribelle”:
1. Antiausterity cioè stampare moneta, cioè indebitare i nipoti. E addio all'euro fonte di ogni male (come una volta le streghe)
2. Erigere steccati e fili spinati
3. Rimandare a casa quelli che non hanno diritto perché non fuggono da guerre e persecuzioni ma solo (SOLO) dalla fame (migranti economici)
4. Arrestare i traghettatori e i caporali che però le vittime considerano benefattori
 5. Non delocalizzare, reintrodurre dazi e comprare jeans prodotti in loco a 50 euro anziché a 10, come eravamo abituati, e liberare donne e bambini dai luoghi insani dove sono sfruttati e riconsegnarli alla fame
6. Lavorare meno per lavorare tutti perché il lavoro è una torta definita da dividere e non una torta che si fa più grande se molti e per più tempo vi lavorano. Ovviamente ribaltare la riforma della odiatissima Fornero e andare in pensione a 50 anni per far posto ai giovani quarantenni.
Indistinguibili ormai le proposte di destra e quelle di sinistra, un po’ tutte nel segno di un socialismo nazionale (dove l’aggettivo pesa assai più del sostantivo). Contro il centro dei poteri forti (Clinton, Monti e gente così…). E nell’assenza di un movimento socialista internazionale e di un movimento sindacale, internazionale come il capitale. Al mondo libero da confini e nemici inventati da chi prospera sui muri oggi guarda solo Francesco. E’ solo. Difficile, seppur necessaria, la speranza.

Per un felice 2017


Il mio augurio assai impegnativo è che il 2017 sia l’anno dell’avvento della Ragione. Che qualcosa (un evento eccezionale) o qualcuno (Francesco?) riveli al mondo l’impossibilità di essere felici circondati da infelici. Con alcuni corollari. Che è risibile il conflitto permanente fra naufraghi nella stessa zattera. Che non c’è premio all’ingordigia e all’obesità e che non ci sono vergini ( che, se mai ci fossero, sarebbero “accasate”) ad attendere i folli assassini-suicidi: c’è solo il nulla, come insegnava Sant’Epicuro.
Viva la Giustizia e viva la Ragione (che sono sorelle).

mercoledì 28 dicembre 2016

Voglio un centro di gravità permanente


Vorrei statisti, vorrei Stati non liquidi, vorrei che un Paese non invertisse la sua rotta per una elezione in cui peraltro il vincitore - Trump - ha preso tre milioni di voti in meno dell'avversaria sconfitta. Invece no. Cambia tutto e Trump, come il capo di una banda di briganti, può rassicurare Netanyahu: "STO ARRIVANDO, non mollare la preda dei territori occupati; l'astensione di Obama all'Onu non conta nulla".
Vorrei che un capo di Stato non dichiarasse guerra
Vorrei che un capo di Stato (Romania) non potesse far guerra addirittura ad una religione, negando l'investitura di governo alla più votata semplicemente perché musulmana.
Vorrei statisti nel mio Paese. Non politicanti che ieri erano per il maggioritario più maggioritario che si può (Berlusconi, Renzi) e oggi sono per il proporzionale più proporzionale che si può (Berlusconi) o non sanno più nemmeno cosa volere (Renzi) dopo che la legge più bella del mondo, l'Italicum, si è scoperto farebbe vincere M5S. Cercasi legge elettorale su misura, difficilissima da escogitare. Ed io cerco un centro di gravità permanente.Non per forza subito il socialismo. Almeno qualcosa che somigli un tantino alla democrazia.

La Capitale triste

"Non è colpa di Virginia Raggi". Pare si debba premettere prima di dire qualcosa su Roma. Visito il centro ieri fra pomeriggio e sera. In una giornata quasi festiva. Non vedo tracce di romani per strada o in metro. Solo turisti e neanche tanti. All'ingresso della metro di Piazza di Spagna, per qualcuno il posto più bello al mondo, collinette di cicche di chi spegne lì la sigaretta dopo l'ultima boccata e contenitori unti di cibi slow food. Sulla scalinata di Trinità dei Monti scorgo un vigile. Non vedrò altri vigili altrove. Tranne che davanti ai Palazzi della politica. Affollata veramente solo via dei Condotti. Con i negozi delle firme famose, una volta italiane, presidiati da vigilanti elegantissimi, muscolosi e nerissimi. E con nugoli di venditori africani che in strada ti sventolano in faccia la stessa sciarpa finto Burberry .Oggi il grande vecchio romano deve aver deciso così. Altri africani presidiano i siti del cartello delle carissime caldarroste. Poi a Piazza Navona pochi banchetti con cineserie orride. Con i camerieri buttadentro che ti abbordano per chiedere di consumare almeno un caffè al tavolino, se non puoi permetterti una pizza. Tutto alquanto triste. La sensazione di una capitale e di una nazione che perde anima e identità. Una capitale che non sa più difendere decoro e bellezza. Eppure so che si potrebbe. Sapere che si può e non si fa mi opprime. Ok, abituiamoci al peggio e torniamo ai riti degli insulti per web. Se non sappiamo far altro...

venerdì 23 dicembre 2016

Qualcuno da ringraziare


Utilizziamo il Natale anche per ringraziare qualcuno che merita il nostro grazie. Premesso che i migliori e i peggiori non sono divisi per categorie professionali, nelle forze dell'ordine nel nostro Paese si hanno ripetuti esempi di coraggio e di dedizione al bene pubblico. La presenza intollerabile di bulli, torturatori ed assassini nella categoria non mi fa dimenticare il sacrificio di uomini come il maresciallo Giuseppe Giangrande. Oggi egli vive una vita assai scomoda su una sedia a rotelle per un folle che quella mattina del 28 aprile 2013 voleva colpire un politico qualsiasi davanti a Montecitorio e invece colpì lui. Non va dimenticato. Egualmente ringrazio i poliziotti che oggi a Sesto San Giovanni hanno fermato la carriera criminale di un altro folle, prodotto di un'epoca folle. A tutti loro Buon Natale.

mercoledì 21 dicembre 2016

Buon Natale 2016


Ogni anno mi chiedo se abbia senso la Festa, se abbiano senso gli auguri. Quelli contro le ricorrenze dicono che è sempre Natale, è sempre Festa della donna, è sempre Resistenza. Sempre o mai. Ma forse la Festa ha senso come un appunto , come un ricorrente inforcare le lenti per abituarci a vedere poi, senza protesi alcuna, mondi diversi. Qualcosa sembra rendere impossibile festeggiare. E’ il dolore degli altri nel mondo. Da tempo poi non è più l’eco di dolori lontani, di sconosciuti. E’ sangue e lacrime di persone che sentiamo “nostre”. Ieri Valeria Solesin, oggi Fabrizia Di Lorenzo. La mente cerca una ragione. Ancora una volta la meglio gioventù, quella che studia, quella che pretende di lavorare nel nesso inscindibile di diritto e dovere di essere risorsa e non peso: non solo “posto” e reddito, bensì posto nel mondo. Non so se sia un caso o siano meccanismi ignoti a selezionare i migliori alla morte. Difficili più di sempre gli auguri di Natale quest’anno. Mi incoraggia qualcuno e qualcosa. Mi incoraggia un grande popolo, quello tedesco, che ammiro e che sa darsi una grande leader capace di tener fermo il timone. Da lì prendo l’ispirazione perché non siano i folli a decidere cosa faremo e dove andremo. Buon Natale allora alla Germania, all’Italia, all’Europa, al mondo. Buon Natale a Francesco, leader mondiale del cambiamento. E buon Natale agli amici della rete che spesso sono amici veri, anche quando mai incontrati in quella che si chiama “realtà”.

lunedì 19 dicembre 2016

Al deputato Giachetti (messaggio sulla sua pagina fb)

Deputato Giachetti, la stimavo per la sua autonomia e per il suo impegno. Ho conservato la mia stima per lei, anche dopo aver lasciato il mio partito, il PD, diventato il partito di un uomo solo, più chiaramente dopo l'indecente Italicum. Ed ho continuato a stimarla. Al punto di essere perplesso se votare lei o Raggi al ballottaggio romano, dopo aver votato Fassina. Ciò detto, la mia stima si volatilizza oggi con lo scempio della politica e del decoro che oggi lei ha rappresentato all'Assemblea Nazionale del PD. Quali che siano le colpe e l'opportunismo dei suoi avversari interni, lei è riuscito a liberarmi da una persistente inquietudine conseguente al mio voto a Virginia Raggi. Ora mi è chiaro: ho fatto benissimo a non votare Roberto Giachetti.

venerdì 16 dicembre 2016

Auguri, Francesco

I miei auguri sinceri a Papa Francesco. E' la mia prima volta. Mai fatto auguri ad un papa. Non solo perché non sono credente. Ma Francesco è oggi il maggiore e forse unico leader del cambiamento mondiale. E' il papa della misericordia. E' il papa che costruisce ponti fra le nazioni. E' il papa che costruisce ponti fra le religioni e con i senza fede.E' il papa di chi fugge in cerca di pace. E' il papa che disse: "Chi sono io per giudicare"? E' il papa che non ha respinto le ragioni del comunismo, dicendo, a ragione o a torto, che quelle ragioni Cristo le vide per primo. Lunga vita, Francesco.

L’epidemia bulimica

Mi sforzo sempre di immedesimarmi negli altri, soprattutto in chi delinque. Non per giustificare alcunché. Solo per esercitare le mie capacità empatiche. Per capire. Ci riesco quasi sempre. Entro nei panni di ladri e assassini. E poi ne esco tranquillamente. Ma, appunto, qualche volta non ci riesco. Non ci riesco proprio coi corrotti e imbroglioni benestanti, se non milionari. A che diavolo serve vendersi per un milioncino, se di milioni ne hai già 5 o 10? Che diavolo di calcolo si fa rischiando di compromettere carriera e tutto e di passare anni in galera anziché negli hotel di lusso cui si era abituati? Pare che siamo secondi o terzi in Europa secondo varie indagini, per corruzione. Peggio di noi la Bulgaria o per altri la Grecia. Non riesco a credere ad un dannato Dna italico e non riesco a credere neanche ad un accanimento giudiziario. Prendo atto esterrefatto e basta.

Le periferie romane di Servizio Pubblico

I commenti alla pagina facebook di Servizio Pubblico sono prevalentemente insultanti verso Santoro. Avranno le loro ottime ragioni. Nella monografia “Italia”, trasmessa ieri e dedicata all’orrore romano, quello delle periferie, Saviano né ha dato ragione. Il livore investe ormai qualunque persona di successo. Si chiami Santoro o Saviano o con qualunque altro nome. Tutti colpevoli per il successo conquistato –si ritiene – con oscuri scambi di favore. Infatti la fanno franca i ricchi senza merito, quelli che hanno ereditato proprietà e denaro, senza impegno e senza colpa. Io non ho la pazienza e l’interesse ad esplorare le presunte sordide ragioni di Santoro. Mi limito a valutare il prodotto televisivo che ieri era ottimo. Le periferie romane erano esplorate da coraggiose croniste che entravano in appartamenti squallidi, con bagni senz’ acqua ridotti a depositi di vettovaglie, che camminavano per sentieri colmi di erbacce, siringhe e rifiuti vari, che erano minacciate dai boss di quartiere, che intervistavano tossicodipendenti e spacciatori. La sconvolgente normalità del degrado e dell’illegalità. Ho selezionato nella mia mente soprattutto le madri nel servizio. Le custodi delle famiglie criminali, le donne della cura e dell’inconsapevolezza. Tutte. Due soprattutto. Quella che trascorre la maggior parte della giornata su una sediolina di fronte alla lapide del figlio ucciso, lì sul marciapiedi, con una congiunta che ramazza la strada. E quella che si dice fiera dell’educazione impartita al figlio. Figlio in galera, spacciatore come lei. La evidenza di un mondo che è un altro mondo. La evidenza di periferie che appaiono perdute per sempre

martedì 13 dicembre 2016

L’Italia che forse respira

Che dire? Velocemente quel che è chiaro a tutti. Governo per non andare subito al voto. Governo fotocopia. Governo Renzi senza Renzi. E con Boschi che fa un salto di lato, ma non indietro. Una squadra pronta a ri-imbarcare il grande timoniere.
Poi lo sforzo di un pensiero positivo. Comunque lui non c’è. Per un po’, se non per sempre, l’Italia può respirare, sotterrare asce e scuri e pure tweet e spacconerie. Per un po’ l’Italia, se vuole, può confrontarsi su temi seri. Ad esempio sull’attuazione della Costituzione tradita. Può interrogarsi, ad esempio, su come attuare l’art. 4 che prometteva diritto effettivo al lavoro. Non ci sono alibi. Non si è costretti a perdere tempo per rispondere con una cretinata ad altra cretinata. Lo stile del premier non è tutto, ma è condizione necessaria, seppur non sufficiente. . Non immaginavo che un’Italia incattivata potesse prosperare. Riesco ad immaginare un’Italia seria, fecondata da conflitti seri e che ritrova una bussola. Perché non apprezzare questo piccolo passo avanti? Apprezzarlo significa riconoscere l’impegno di chi ha gridato No. Significa incoraggiare a nuove battaglie.

sabato 10 dicembre 2016

La mendicante italiana

Stamattina una mendicante formulava un appello che mi ha lasciato quanto meno perplesso. "Mi date qualcosa? Sono un'italiana come voi". Evidentemente la formula dovrebbe intenerire i nostri duri cuori. Non si può lasciare alla fame una italiana. Una straniera invece sì. Non sarò solo io a trovare triste un appello siffatto, probabilmente efficace. 
Anche questo mi appare un ulteriore segno di un Paese che affonda. Penso che a qualche zero virgola di Pil in meno si possa trovare rimedio, anche velocemente. Per ricostruire un'etica e un senso comune decenti occorreranno invece decenni, ammesso che si cambi rotta. Abbiamo ingoiato lo scempio di Gorino e di San Basilio, gente normale o normalmente disagiata che si rivale sui più deboli.Adesso mandiamo giù la guerra dei mendicanti, nel segno del sovranismo nazionale.
Toc, toc sinistra, la destra sta stravincendo. A meno che non dimostriamo ciò che è ovvio e che non crediamo più: c'è posto per tutti e non serve guerra alcuna, tanto meno fra poveri: serve solo giustizia, quella che fa bene agli obesi oltre che ai denutriti.

giovedì 8 dicembre 2016

Votare un populismo per tenere a bada l’altro

Sono convinto che siamo immersi nell’era degli inganni. Il nocciolo vero della diseguaglianza è occultato. Il Capitale è innominato e innominabile. Si può nominare solo aggettivandolo con “finanziario” . Ed anche il liberismo è contestabile solo come “neoiliberismo”. Siamo guidati per mano nello scegliere bersagli minori e che non possono farci male. Guidati a individuare nella casta politica il bersaglio. Casta che non è innocente, ma è necessaria ai superprivilegiati come bersaglio di comodo. Poi ci sono gli immigrati senza i quali un Paese record per calo demografico semplicemente si estinguerebbe, senza i quali dovremmo imparare a badare ai nostri vecchi, senza i quali dovremmo strapagare il nostro idraulico, etc. e che però – accidenti -in fase di ingresso talvolta ospitiamo in albergo. Inaccettabile! Scandaloso! Assai più dell’evasione fiscale, per dire. Poi c’è il bersaglio Europa. Anch’essa inadeguata e tutt’altro che innocente e comunque poco democratica e distante dallo spirito di Ventotene. Ma il populismo non ha l’assenza di democrazia come bersaglio. Semplicemente propone che torniamo a farci i fatti nostri. Il più acclamato amministratore di condominio è infatti quello che allontana dal condominio gli antiestetici bidoni di immondizia scaricandoli nel condominio di fronte. O che risolve il problema dell’allagamento di garage e cantine con pompe che scaricano sulla strada. Sembra incomprensibile ai più che la somma delle furbizie dei singoli e dei condomini realizzi superdisgrazie collettive. L’amministratore che evidenziasse questo sarebbe immediatamente cacciato. Quindi è cosa intelligente (o furba) allontanare dal palcoscenico la bandiera europea. E gridare all’ostile Europa che noi sceglieremo la sicurezza delle nostre scuole rispetto alla “burocrazia” europea. Stai sereno, caro leader, nessuno obietterà che Bruxelles ci chiede di riparare i tetti facendo pagare le tasse a chi non le paga o le paga poco o mettendo al comando i capaci anziché i raccomandati. Ci chiede di non far pagare i costi agli altri condomini e a quelli che verranno. Questo però può dirlo non già la sinistra che semplicemente non c’è. Lo dice l’odiatissimo Monti. Che l’altro giorno ci suggeriva quello che per me è evidente: l’esistenza di un gioco delle parti, con i governi che annunciano a Bruxelles: “Domani insulterò l’Europa: ho bisogno di consenso nel mio condominio; rimuoverò per qualche giorno la bandiera europea; non fateci caso” . Non posso far altro. Voterò 5stelle per contenere il populismo del leader PD; pronto a votare dopodomani PD per contenere il populismo 5stelle. In attesa della sinistra che non scorgo all’orizzonte.

martedì 6 dicembre 2016

Davide Serra: quello che gli occhi non vedono

Sono persuaso anch’io, come molti filosofi contemporanei, che la realtà non esiste. Esistono al più emissioni provenienti chissà da dove che tutti noi diversamente leggiamo , organizzandole col nostro ordine arbitrario. Sicché ieri, ascoltando Davide Serra, noto giovane finanziere italiano residente a Londra e noto come sponsor di Renzi, non ero scandalizzato ascoltando la sua realtà. Per Serra è innegabile il salto avanti del nostro Paese con Renzi. Il finanziere ha esibito dati decisivi che io non credo proprio né di dovere né di potere contestare. Confrontando gli ultimi quattro governi, da Berlusconi a Renzi, ogni giorno, da Berlusconi, a Monti, a Letta si perdevano centinaia di posti di lavoro. Con Renzi centinaia di posti si guadagnano ogni giorno. Con Berlusconi, Monti e Letta il Pil ogni anno scendeva. Con Renzi sale. Con Renzi infine il deficit annuo è più basso che con i tre precedenti governi. Gli occhi di Serra vedono questo nitidamente. E non vedono altro. Anzi, se l’intervistatore gli fa notare che gli occupati crescono con i voucher, egli replica“vouche r o non voucher, crescono”. I miei occhi disattenti alle evidenze di Serra vedono altro. Vedono che, pur minimamente crescendo, cresciamo meno degli altri: l’alta marea solleva tutti in alto, ma non riduce la distanza fra il pennone e la plancia; tutt’altro. I miei occhi scelgono di vedere i dati che significano aumento della popolazione a rischio di povertà, aumento della forbice fra più ricchi e più poveri. Vedono una generazione bruciata e perduta al lavoro che in parte fugge via portando con sé l’investimento che il Paese, cullato da battutine spiritose , allegramente va dissipando. Mentre la mia mente modesta calcola che, perdurando il miracolo di centinaia di nuovi posti di lavoro al giorno (voucher o non voucher), entro fine secolo l’ultimo dei giovani di questa generazione perduta avrà conquistato un lavoro, da godere da ormai ultracentenario. Già, questa generazione che non crede alla politica, forse perché fa calcoli non distanti dai miei, che non avrà letto il contenuto della riforma, ma si è scomodata a votare stavolta per dire NO.

domenica 4 dicembre 2016

La roulette democratica

Un altro pronostico sballato. In Austria vince il candidato verde Van Der Bellen sull'avversario nazionalista. Per fortuna anche stavolta i sondaggi avevano torto. Ma la democrazia nel mondo mi appare sempre più fragile. Le minoranze più grandi prendono tutto, più facilmente se la maggioranza non va a votare. La democrazia mi appare sempre più un futile gioco. Prima o dopo le elezioni saranno sostituite da una roulette o un testa a croce. Occorre solo trovare qualcuno affascinante e persuasivo che spieghi che eliminando il futile voto si risparmiano un mucchio di soldi. Altro che riformina del Senato...

sabato 3 dicembre 2016

Agnus dei: manifesto laico della cura femminile

Ho visto un film di grande intensità ed  utile: Agnus dei (Les innocentes) , coproduzione  franco-polacca, con la regia di Anne Fontaine.

E’ ambientato nella Polonia del finire del  45, a guerra appena conclusa. Una Polonia occupata dall’Armata Rossa e dall’incerto futuro, con i segni dolenti della violenza. Film utile come tutti i film che ci fanno ricordare gli orrori che abbiamo attraversato e ai quali potremmo tornare. Qui tre culture si confrontano. Quella del vincitore, l’Armata Rossa, che trova risarcimento nello stupro. Quella polacca, cattolica e bigotta. Quella francese ovvero laica, atea, illuminista, anche comunista.  Una dottoressa francese è coinvolta  per una emergenza parto in convento di clausura. Scoprirà una storia di stupri ripetuti degli occupanti sovietici. E dovrà farsi carico di sette suore incinte. Complicatissimo il confronto fra la cultura laica e quell’universo chiuso.  Lì nel convento la convinzione è che lo stupro è scandalo e vergogna più per chi lo subisce che per i suoi autori: una cultura di cui tutti conserviamo memoria attraverso le storie delle nostre nonne, se non delle nostre madri. Ma progressivamente  il femminile  prevale. Prevale il femminile della maternità, dell’accudimento, e dell’apertura alla vita. Da vedere: per la storia, la regia, le interpreti e la splendida fotografia.

sabato 26 novembre 2016

A proposito di Fidel: la complessità e il cerchiobottismo

Vedo in un TG nazionale cubani piangenti e cubani espatriati esultanti per la morte di Fidel Castro. Non sorprende. Nessuna politica fino ad oggi ha fatto felici tutti i cittadini. Domani, ovvero fra 10 o 100 anni, vorrei che succedesse finalmente. Poi sento uno strano commento giornalistico che non è - benché lo voglia essere - la difficile sintesi della complessità della storia di un uomo e di un Paese. Il giornalista così si esprime: "dittatura mitigata da grandi riforme come quella dell'istruzione e del sistema sanitario". Mitigata. Beh, no. Sintesi infelicissima. Per alcuni dittatura è male assoluto. Anche se realizzasse il paradiso in terra. Perché non c'è paradiso possibile per alcuni se c'è un uomo solo al comando. C'è "solo" un sistema universale di istruzione e sanitario. Di cui ai "democratici" nulla interessa. Per gli altri invece quel sistema che non abbandona gli uomini alle discriminazioni insite alla nascita è positivamente incomparabile a quello dei sistemi che hanno stretto d'assedio Cuba. Punti di vista incompatibili e senza sintesi possibile.E nessuna operazione algebrica è consentita fra la felicità degli emancipati e il dolore vero di chi fuggì per buone ragioni oltre al dispetto di quelli che fuggirono per pessime ragioni. Non si "mitiga" niente. L'unica sintesi che riesco a formulare è questa: Cuba ha realizzato enormi conquiste di emancipazione grazie a quell'uomo al comando. Senza di lui probabilmente i conflitti della politica politicante avrebbero compromesso la rivoluzione. Però l'avvenire non può e non deve essere la replica di quella storia che sarebbe rischiosa, come già altrove verificato. . Per me l'avvenire è in comunità ad alto livello di istruzione politica tali da essere governate a turno dalla cuoca, dal contadino, dal tecnico informatico, non già da capi car

venerdì 25 novembre 2016

Il culto barbarico

I miei coetanei ricorderanno ancora quando si irrideva al culto della personalità. Anche chi stava a sinistra, come me, faceva spallucce verso i poveri sovietici e i poveri cinesi affetti dal morbo del "culto della personalità", l'adorazione acritica di Stalin e di Mao Tse Tung. Pensavamo che noi rossi di Occidente eravamo vaccinati. Consideravamo carenti di autostima, un po' barbari, gli adoratori del Grande Leader, del Grande Timoniere. Eravamo vaccinati dalla filosofia greca e dalla cultura democratica di stampo ateniese. Dove uno valeva uno, il modesto ciabattino poteva dirigere l'assemblea e le cariche erano sorteggiate.Al più, credo di ricordare, ci sforzavamo di capire e storicizzare l'altrui culto della personalità. Necessario forse per "loro", improponibile per noi, come per i greci che fecero resistenza al pretesa del grande Alessandro di ricevere l'omaggio della genuflessione tipica dei barbari. Deduzione. Non essere presuntuosi: non eravamo immuni come credevamo; quando succede a noi ci sembra un'altra cosa.

Due donne grandi ed io


Oggi voglio riferire di due interventi di donne famose in politica. Laura Boldrini, Presidente della Camera, ha meritoriamente deciso di pubblicare, con nomi e cognomi, i molti insulti e oscenità ricevuti sul web nell'ultimo mese. Ben fatto, anche se gli odiatori professionisti e sessisti ovviamente non capiranno. Poi ho sentito l'intervento di un'altra donna che stimo. Emma Bonino ribadiva la sua posizione aperta sul tema immigrazione. Ci ricordava una cosa che vogliamo ignorare: che i 160,000 immigrati l'anno in Italia che ci fanno entrare in panico rappresentano proprio il quantum necessario perché il nostro Paese non si avviti in una recessione demografica che lo porterebbe all'estinzione. Purché si voglia e si sappia integrarli. Al contrario, il boom demografico in Africa è una bomba che non può essere disinnescata solo con le politiche di cui si dice (e che poco si fanno). Non basterà cioè un generico aiuto economico. Solo la libertà femminile in quei Paesi potrà promuovere l'indispensabile controllo delle nascite. Un grazie a Laura Boldrini e ad Emma Bonino. La mia personale proposta, nella giornata contro la violenza praticata verso la metà del cielo, è questa: insegnare alle nostre bambine che "amore" è parola da interpretare bene; che l'amore è un sentimento largo che non può indirizzarsi verso una persona sola; che nessun uomo deve riceverlo intero ed esclusivo da una donna perché l'esclusiv

mercoledì 23 novembre 2016

Economia reale e riforme vere contro lo spread



Voglio solo capire e vorrei vivere accanto a persone che vogliono capire. Del tifo faccio a meno. Ad esempio vorrei capire quale rapporto esista fra esito referendario e indicatori economici (spread, indici di borsa, etc.). A differenza di molti amici che come me voteranno No,  io penso che qualche rapporto  debba pur esserci. Sarebbe strano il contrario. Una qualche minima correlazione ci sarà pure fra il volo di una farfalla nella foresta amazzonica e il nostro benedetto referendum.  I miei amici invece oscillano fra il disconoscimento del nesso e gli improperi al famoso capitalismo finanziario che punirebbe l’esito NO. Gli avversari del Sì, al contrario,  lo agitano. Però senza  esagerare,  perché l’alleanza implicita fra Sì e finanza suonerebbe male nell’era anticasta, antibanche, antitutto.   Io mi chiedo semplicemente: “Perché mai la finanza in caso di vittoria del No dovrebbe attribuirci un rating in peggioramento, in peggioramento rispetto allo stato attuale delle cose in cui la riforma non c’è?”. Capirei meglio se il rating sull’Italia in un immaginario futuro peggiorasse  nel passaggio da un Paese riformato (secondo il modello renziano) ed una vincente controriforma. Non capisco un default conseguente ad un restare come prima. Capisco al più  una punizione dei mercati dovuta all’incertezza.  Che allora stiamo già “scontando” nella logica della speculazione. E la stiamo scontando a causa di chi l’incertezza ha procurato. O no? Insomma, al più posso prevedere che l’esito No porti all’incasso la scommessa speculativa. Ma credo che poi l’economia reale dovrebbe avere la prevalenza. E magari un’ Italia che respinge il cosiddetto ”ricatto” , che se ne infischia, che non chiede più flessibilità (cioè deficit, cioè interessi,  cioè “pizzo” sulle generazioni future) , ma riduce il debito con belle tasse progressive e azzeramento dei privilegi (assai più numerosi dei 200 o 300 titolari delle famose poltrone) e prende il gusto del merito, dell’eguaglianza, del recupero delle sue risorse umane sprecate, sarebbe un’Italia che porterebbe pian piano a zero il suo spread con la Germania. Sbaglio? Mi appello agli economisti. 

martedì 22 novembre 2016

La psicologia e l'estetica sterili

Ad Otto e mezzo D'Alema risponde alle solite insinuazioni.Non sarà diventato un fiero antagonista di Renzi e della sua riforma per mero dispetto? Forse perché Renzi gli rifiutò un ministero o altro incarico prestigioso? Interessante. Magari si potrebbe chiedere viceversa agli amici e fan di Renzi se per caso non stiano con lui perché ebbero da lui un dono insperato: un ministero cui mai avrebbero osato aspirare. Non sapremo mai la verità né riguardo D'Alema, né riguardo Franceschini, Finocchiaro, Madia o altri. Ma poi arriva la constatazione di Gruber, con la collaborazione di Severgnini, giornalista, , educato militante del Sì. "Letta però ha detto che voterà sì, malgrado i torti subiti, ricorda Gruber". E Severgnini le fa da spalla: "una lezione di stile, quella di Letta", dice con un sorriso, sapendo di provocare. Si dà. il caso che io ritenga probabilissimo il No di D'Alema per dispetto e rivalsa. Ritengo egualmente che il Sì di Letta non sia dettato da una valutazione meramente di merito. Sento il suo Sì e la sua lezione di stile una replica più sofisticata e "cattiva" allo staisereno di Renzi e al brusco congedo. Ma è sempre così. C'è sempre una ragione personale, consapevole o inconsapevole, in ogni scelta politica. Perché le idee, tutte le idee, di cambiamento, di conservazione, di libertà, di giustizia, camminano sulle gambe degli uomini e sono metabolizzate nelle loro pance piene di umori. Ma se è così perché mescolare storie di pance ad idee? Scegliamo una bussola e manteniamo la rotta: oggi si parla di idee, domani si parla di pance. Furbesco e antipatico mescolare a convenienza pance ed idee. Ma lo fanno quasi tutti, giornalisti e politici.Preferisco quelli che non lo fanno.

Napolitano da Vespa: la riforma oltre Renzi

Premesso che non mi ha fatto cambiare idea e voterò NO, per me Napolitano ieri è stato il più convincente sponsor della riforma. So che è antipaticissimo agli amici di sinistra. A me lo è solo qualche volta. E continuo tranquillamente i miei esercizi di auto-educazione al pensare non fazioso. Anche a rischio di valutare positivamente pensieri critici verso 5stelle dell'impresentabile De Luca, come mi è capitato sfortunatamente alla vigilia della sua orrenda performance contro la Presidente dell'antimafia. Ieri ho visto un Napolitano sincero e sereno. Che portava benissimo i suoi 90 anni, assai più del coetaneo Scalfari e anche di De Mita e del "giovane" Zagrebelsky. Lucida e puntuale la sua difesa della riforma. Soprattutto perché la ha liberata dalla stucchevole e volgare narrazione renziana. Ha liquidato infatti nettamente la futilità populistica dell'argomento della riduzione dei costi della politica, delle "poltrone"e sciocchezzuole simili. Argomento centrale per lui sopprimere i rischi delle incompatibili maggioranze fra Camera e Senato, oltre al riordino di competenze centrali e periferiche (Stato e Regioni). Come se leggesse nel mio pensiero ha osservato che anche l'abolizione del Senato sarebbe stata una risposta adeguata. E tranquillamente ha preso atto che pure su questo sono in campo opinioni opposte di costituzionalisti dei due fronti. Ha cercato quindi di liberare la riforma dal devastante protagonismo renziano. Bravo. Se non mi ha fatto cambiare idea lui ieri nessuno potrà farmi cambiare idea domani.

lunedì 21 novembre 2016

Salvini da Fazio:segnali dal futuro prossimo

Per me Salvini è uno che dice immediatamente quel che pensa. Non sembra studiare e non cerca mossette scontate. Dice le solite cose che non possono dispiacere a nessuno. Contro la legge Fornero ad esempio. Per tutti è ok andare in pensione presto: a chi può andarci e a chi pensa di prendere il posto di chi va in pensione. Così dice il pensiero comune; quello stesso che dice di chiedere più flessibilità all'Europa. Chi ci perde? Apparentemente nessuno. Poi c'è la flax tax al 15%.Chi ci perde? Non chi paga il 45% ma neanche chi paga il 16%. In compenso botte da orbi all'anonima finanza che se ne infischia proprio perché anonima. Elogi sperticati a Putin, Trump, Le Pen e addirittura al giovane dittatore nordcoreano. Cosa hanno in comune? Sono alfieri della sovranità nazionale. Messaggio chiarissimo. Infine a domanda di Fazio sul centrodestra, la risposta più innovativa e coraggiosa: "Sono cose vecchie la destra e la sinistra. Oggi la differenza è fra chi difende gli interessi nazionali e di chi lavora e chi difende le banche". L'ho preso sul serio. Da tempo sono evidenti le convergenze fra destra e cerca larga sinistra che dice di comprendere il voto a Trump ma vuol dire forse che lo condivide. Salvini ha esposto un progetto rosso-nero con efficacia. P.S. Io non sarò con quel progetto rosso-nero.

domenica 20 novembre 2016

Lui solo?

Una riflessione serena sull’ultima narrazione renziana, a Matera. Dice il segretario premier: “
Se viene fuori un’accozzaglia di tutti, tutti contro una sola persona…” Cerco allora il significato di “accozzaglia su Treccani: accozzàglia s. f. [der. di accozzare]. – Turba confusa di persone spregevoli, o massa discordante di cose: a. di gente varia d’età e di sesso (Manzoni); un’a. di loschi individui; a. di oggetti di ogni genere.
Bene. Se il segretario-premier-titolare del sì ha letto Treccani a riguardo, intendeva offendere molto pesantemente. Dubito un tantino solo perché a volte ho l'impressione che Renzi usi termini a sproposito solo per ignoranza. L'ho notato soprattutto nell'uso di "burocrazia" riferito al confronto parlamentare. Non conosce molte parole. Usa le poche che conosce. E questo gli giova perché poche parole (anche sbagliate) si imprimono nella mente altrui assai più delle molte parole e sfumature di Civati. Questa volta ha scelto bene e con efficacia. Anche le repliche di Civati e di molti amici sono corrette ed efficaci. Denunciando l'accozzaglia renziana (Civati) o ricordando l'accozzaglia resistenziale contro il fascismo. D'accordo con tutti. Mi fermerei un attimo però sul resto della frase. "Contro una sola persona..." Tutti contro uno. Così Renzi percepisce la battaglia. "Tutti, tutti (ripetuto) contro uno". Scommetterei che lì in quel "una sola persona" Renzi abbia commesso una gaffe. Ha detto quel che pensa ma che avrebbe preferito non dire. Immagino aspre proteste della ministra delle riforme, di Napolitano, di Orfini e dei tanti impegnati nel fronte del Sì. "Tu solo? Noi non contiamo niente"? Credo nelle proteste se lì c'è ancora una comunità di teste pensanti, dotate di sufficiente autostima.

sabato 19 novembre 2016

Siamo impazziti

Spero che gli impazziti siano solo su fb. Che quella di facebook non sia solo l'avanguardia di un popolo che ha perso la testa. Ma qui, se esco dalla mia pagina e dai miei pochi gruppi, è un inferno. Le ultime due. Un tale che sulla sua pagina casualmente incontrata mi rimbecca dicendomi che dico "cazzate" (così, senza sinonimi o abbreviazioni) riferendosi ai miei argomenti anti Renzi. Controllo chi sia e scopro che è nientepopodimenoche un giornalista economico di Repubblica. A parte il linguaggio resto molto molto perplesso giacché mostra di non capire che esistono teorie economiche al mondo diverse dal laissez faire, insomma con gli imprenditori che scelgono sempre per il meglio. Poi, in altra pagina un'amica si dice comunista, ma propensa al Sì. Un tale interviene e la insulta addirittura più pesantemente di quanto il giornalista economico iper-renziano di Repubblica aveva prima fatto con me. E aggiunge: "Ti cancello dalle mie amicizie". Se vado per strada o al bar mi sembra che tutti condividiamo eguali piccoli piaceri e sapori. Cosa diavolo ci divide? Non pare sia la lotta di classe. Che diavolo è? Chi diavolo è stato?

Genius: quanti sono gli autori?



Ho ripensato al film non imperdibile visto giorni fa. Ci ho ripensato leggendo qualcosa sulle lettere di Céline  ai suoi editori. Leggevo delle sue aspre minacce. Che non si azzardassero  a toccare una virgola del suo romanzo.  Invece in Genius  Thomas Wolf (Jude Law), potenziale scrittore di talento,  in parte subisce,  in parte  chiede l’intrusione  dell’editor. Lo chiede come in rapporto col padre che non ha avuto.  E Max Perkins (Colin Flint), già editor di Hemingway e Fitzgerald,  trova  nel geniale autore il figlio che non  ha avuto.  L’editor   lavora di accetta più che di cesello. Così una disordinata e mostruosamente sovradimensionata opera diventa leggibile e diventa un best seller. Mutatis mutandis,   mi sono ricordato della mia tesi di laurea.  Mancavano pochi giorni e la relatrice mi impose  di sforbiciarla  di  almeno un terzo. A mia  discrezione cosa tagliare. Tagliai il capitolo  sul tema della professionalità al femminile. Che mi piacerebbe oggi rileggere, ma non trovo.  Beh, del film mi ha interessato questo. Perché di fatto sempre in un’opera cogliamo pezzi trasfigurati delle nostre esperienze. Quanti sono davvero gli autori di un’opera (film, romanzo o altro)?  Non  solo lo scrittore, non solo il regista: sceneggiatore, produttore, editor, insieme agli incontri diretti  dal Caso, grande autore occulto,  ed oltre ai lettori  o spettatori, ognuno di fronte ad un’opera di fatto diversa.  Sicché poco mi hanno interessato   i rapporti della moglie di Wolfe  (Nicole Kidman) con il marito  e l’editor. Il tema della vita divisa  fra amore/famiglia e passione fagocitante  per l’arte resta come sovrapposta nel film. Forse per  un regista teatrale -  Michael Grandage  - alle prese con la sua prima opera cinematografica. Beh, cercherò ancora il capitolo soppresso della mia tesi di laurea. 

mercoledì 16 novembre 2016

Il Veltroni di “ma anche”: più con me che con Renzi

E’ la mia sintesi disinvolta dell’intervista di ieri sera di Gruber a Veltroni.  Che Veltroni votasse Sì  lo immaginavo bene.  Lo  davo meno  scontato per Letta.  Che però votando Sì fa un figurone di uomo  sopra le meschinità degli uomini comuni e degli “staisereno”. Spiego a me stesso allora perché io sento Veltroni più vicino al mio mondo che a al mondo di Renzi.  Malgrado il suo Sì e il mio No.  Veltroni, dopo aver illustrato le scontate ragioni del suo Sì, denuncia il clima di rissa e personalizzazione di cui fa carico a Renzi e ai suoi avversari. Ma implicitamente più al primo che avviò la personalizzazione. Poi dice che a  referendum concluso la sinistra  dovrà occuparsi dei problemi della sofferenza di milioni di cittadini. Alla domanda se Renzi sia sinistra non risponde apparentemente , ma in pratica risponde  dicendo che “sinistra” non è parola da cancellare dal vocabolario del Partito Democratico.  Tutt’altro. Serve una risposta di sinistra alla sofferenza. E alla domanda di Gruber “Cosa pensa della rimozione della bandiera europea  nell’ufficio del Presidente del Consiglio?” risponde che ne pensa malissimo. Più o meno come aveva dichiarato Prodi. E ancora: “Sbagliato confondere Grillo con Salvini. Da una parte ci sono contraddizioni ed un programma confuso ma con idee  rispettabilissime. Dall’altra parte  c’è  il populismo della destra”  . E infine : “Non si debbono rincorrere i populismi sul loro terreno. Bisogna proporre  visioni diverse”.  Insomma tutta l’intervista è una polemica netta contro il renzismo.  C’è anche in Veltroni la nota rivendicativa del suo “ma anche”. E’ connessa all’aspirazione maggioritaria del partito che aveva fondato. Che voleva essere maggioritario  nel senso di aperto all’ascolto delle ragioni altrui e intenzionalmente inclusivo. Perché “E’  così…ma anche…”. Nessun rapporto, a mio avviso, con gli  stratagemmi di leggi elettorali truffa che trasformano in maggioritaria una corposa minoranza.  Sento invece un’assonanza con la rivendicazione della locuzione “nella misura in cui”  di Berlinguer in un’intervista di tanto tempo fa. Berlinguer  che quietamente  difendeva quella locuzione  con l’intervistatore che la riteneva vaga. 

lunedì 14 novembre 2016

Disperazione ed astensione

Alle prossime politiche sempre più probabile un mio sterile voto di testimonianza ad una sinistra che non deve vincere o non riesce a vincere restando sinistra. Oppure l'astensione.
Intervistato da Gruber ed altri sul direttorio "abrogato" da Grillo, Fico, fra gli ex del direttorio, risponde: "Non c'è mai stato. E' una invenzione. Il direttorio di M5S è M5S". Risposta suggestiva. Però che il direttorio non ci sia mai stato lo scopro stasera. Pazienza. Ma poi Gruber incalza chiedendo in cosa M5S o Fico si senta vicino a Trump. E lì salto dalla sedia. Perché Fico risponde come temevo. Dà proprio la risposta che io gli imploravo di non dare. "Trump ha rinunciato alla indennità presidenziale di 400.000 dollari annui". 400.000 dollari, quanto potrebbe servirgli per aggiornare la rubinetteria d'oro di uno dei suoi bagni. Mia autentica disperazione.

domenica 13 novembre 2016

Burocrazia" = Senato?

Avevo detto più giù delle mie perplessità sull'uso ossessivo in Renzi di parole come "poltrone". Manco a dirlo poco fa a Napoli il premier mi dava ancora ragione. Per la milionesima volta il suo discorso citava le maledette poltrone (quelle degli altri). Ma, riflettendo, vorrei dire che evidentemente un problema è costituito dalla scarsa padronanza lessicale del segretario-presidente: ampiezza del vocabolario e proprietà di linguaggio. Altra parola infatti che gli è molto cara è "burocrazia". Quasi quanto "poltrone". Non so se capita a voi. A me qualche volta capita che se una persona (soprattutto se affidabile e/o presuntivamente colta) usa una parola cui dà significato diverso dal mio, resto in imbarazzo, col dubbio di mia grave lacuna personale. Renzi dice spessissimo che la riforma vuole ridurre la "burocrazia". Ma non lo dice parlando di impiegati o dirigenti. Lo dice parlando di senatori o di consiglieri provinciali. Almeno quando ha intenzione di parlarne in senso dispregiativo: cioè sempre. Ogni volta ho avuto il dubbio di fraintendere o di essere ignorante. Finalmente oggi, stremato dal dubbio, ho controllato su qualche dizionario. No, accipicchia, negli esempi di "burocrazia" gli eletti del popolo non sono citati. Vedi ad esempio la definizione: "Burocrazia è L'insieme degli uffici e dei funzionari della pubblica amministrazione: b. statale, regionale; l'organizzazione e le pratiche cui costringe, spesso con valore spreg.: c'è tanta b."
Così ho capito: Renzi ha frainteso. Ciò che è una conseguenza possibile della burocrazia, l'eccesso di pratiche, con conseguenti lungaggini, diventa per lui l'essenza della parola. Ogni cosa che richieda tempo, troppo tempo, diventa burocrazia. Quindi il Senato,soprattutto il Senato, e i consiglieri provinciali e forse la democrazia per come l'abbiamo fin qui interpretata. Domani - chissà - anche la lunga gestazione di un figlio.

Le maledette poltrone

Forse Renzi coordina, dirige, lavora e produce tweet seduto su uno sgabello oppure addirittura in piedi. Perché non mi ero accorto di queste fantomatiche poltrone che affollano gli incubi del segretario-premier. O forse Renzi non è così fantasioso come si crede. In un messaggio alla nazione e in un altro pure, in un twett e nell'altro pure c'è l'invettiva contro queste benedette poltrone. Il Paese è paralizzato da mesi per un referendum che ci chiede se vogliamo togliere poltrone. Ebbene sì. Le vogliamo togliere. Tutti su sgabelli o in piedi. Poi facciamola finita e occupiamoci di cose serie.

sabato 12 novembre 2016


Il duello dei populisti e il popolo assente

Le parole si logorano. Nell’era del politicamente scorretto quel che era denigratorio è rivendicato come merito. Così avviene per “populismo”. Grillo è stato forse il primo a rivendicarlo come merito:  “Siamo populisti”. Forse quindi sarò costretto a cercare un’altra parola per  indicare chi seduce il popolo per distrarlo dai suoi interessi e dalle sue battaglie. Come dovrei chiamare chi suggerisce bersagli facili per ricevere consenso esplicito dal popolo e consenso implicito dai privilegiati risparmiati dal grande Vaffa?  Non mi arrendo al politicamente scorretto e non  dico quindi “imbroglioni”.

Alla vittoria di Trump Grillo ha manifestato compiacimento ed esultanza. “E’ stato un grande vaffa all’è lite” ha detto. Alla è lite politica forse sì. Non alla élite dei multiproprietari di ville e palazzi, con le rubinetterie dorate però.  Quella è una élite “popolare” forse.   Ma Grillo si è accorto che il vaffa di Trump è rivolto anche e soprattutto ad un pezzo caratteristico del programma 5Stelle? Lo è, a meno di credere che l’ecologismo del M5S non sia solo un orpello raccattato per riempire le pagine del programma. Lo è perché, al di là della xenofobia e del sessismo che magari potrebbe apparire un gioco innocente (e non lo è) ,il nucleo concretissimo del programma di Trump è l’esatto opposto dell’ecologismo dichiarato di Grillo. E’ la scelta del carbone. E’ la scelta delle trivelle. E’ la scelta di denunziare gli accordi di Parigi sul clima.  E’ la scelta di sfamare il suo popolo saccheggiando il pianeta. E’ la scelta di fare pagare i costi del saccheggio a quelli che ancora non votano e a quelli che verranno. Quest’ultima  è la scelta peraltro del populismo contendente: quella di Renzi. Anche lui per grandi opere e trivelle. Lui impegnato nell’appassionata contesa con Junker. Lui che non la manda a dire. Lui che –oibò – alla “burocrazia” di Bruxelles antepone la sicurezza delle scuole e il popolo terremotato. E quindi pretende flessibilità, cioè deficit,  cioè debito da scaricare  al governo prossimo venturo, nonché ai posteri.   Mentre nessuno osa ribattere che le risorse per la sicurezza e per i senza tetto potrebbero essere recepite  con la reintroduzione  della tassa sulla prima casa  per i più abbienti, con la reintroduzione della  tassa di  successione che penalizzerebbe un  tantino la povera milionaria erede di Esselunga o  gli eredi di Briatore,  e  con la revisione della curva dell’Irpef,   accentuandone la progressività .  Oltre che abbattendo le pensioni d’oro. Oltre che abbattendo le remunerazioni d’oro di troppi dirigenti. Oltre che bonificando l’Italia da consorterie familistiche, amicali, paramafiose,  mafiose. Tranquillo, Presidente, nessuno proporrà nulla di simile.  Il senso comune vincente che ha disarmato il “popolo” non consente di parlare di tasse e sul resto si può parlare senza essere obbligati a fare. La narrazione renziana è assai intelligente. Infatti  nessuno osa contraddirla davvero. Al più si può rilanciare più in su o denunciare l’insufficiente determinazione del premier: “Io pretenderei di più, io userei parole più pesanti contro la tecnocrazia”: insomma variazioni sulla stucchevole narrazione.  Il senso comune in compenso  consente di proporre impunemente la flax tax al 15% per tutti, poveri e ricchi, escogitata dal terzo populista, Salvini,  fra gli applausi di chi paga il 16% e pagherebbe con  il taglio radicale al welfare lo sconto miserabile dell’1%.   Mosse tutte  intelligenti   (cioè a loro  convenienti) quelle dei duellanti populisti come quando si nasconda la polvere sotto il tappeto, sapendo che altri, futuri odiosi governanti che saranno chiamati “tecnocrati” dovranno fare pulizia perché la nave non affondi. Duellanti ma ispirati da valori largamente condivisi come (absit iniuria verbis) i duellanti delle gang  che si contendono il territorio bevendo le  stesse birre e sognando gli stessi sogni.  No, mi rifiuto di corteggiare il popolo di Grillo, Renzi e Salvini.  Aspetto che il popolo scopra l’inganno.  Forse dapprima  il popolo che non vota.  Con un pizzico di fiducia in alcuni leader veri interessati al cambiamento vero: Francesco, forse Sanders, forse lo scamiciato  Mujica  che però chissà se lascerebbe la sua casetta con l’orto da coltivare. 

venerdì 11 novembre 2016

Il falso bersaglio

Allora. Con la Presidenza Obama il benedetto Pil americano è risalito. La disoccupazione si è più che dimezzata. Però i processi lunghi della globalizzazione hanno tolto il lavoro a molti americani, in numero minore di chi un lavoro ha ottenuto, ma molti. Lo ha tolto a quelli che lavoravano nelle acciaierie giacché l'acciaio cinese, assai più economico, sostituisce in America quello americano. Per inciso qualcuno annota che Trump riceve il voto degli operai dell'acciaio licenziati o a rischio di licenziamento e però costruisce Trump Towers altissime grazie a quell'acciaio economico. Ma il punto vero è che chi perde nella globalizzazione protesta mentre i nuovi occupati non sanno di dover ringraziare la globalizzazione ed Obama. Né, tanto meno, la potenziale erede Clinton. Bisognerebbe che qualcuno lo spiegasse loro. Poi servirebbe riattrezzarsi bene in Usa e nel mondo per una globalizzazione più morbida e/o per ammortizzare l'impatto della mobilità di merci e di uomini: cosa sì e cosa no, chi sì e chi no. E soprattutto come e a quali condizioni. Per me, ad esempio, i negozi cinesi no, il mega Mc Donald a Borgo Pio assolutamente no.

Stop the hate

E' un cartello agitato in una manifestazione a New York di cittadini shoccati dalla vittoria di Trump. Mi ha colpito e mi è piaciuto. Come un programma politico. Breve, intenso e tutto da sviluppare. Per l'America, per il mondo. Anche per la rete, direi, dove l'odio è di casa. Non è neanche un cartello contro Trump. E' un monito a tutti. Per iniziare un nuovo corso. Penso che sarà piaciuto a Francesco, se lo ha visto.

mercoledì 9 novembre 2016

Trump: nuntio vobis gaudium magnum

Trump, quindi: “Nuntio vobis gaudium magnum”. Vi do notizia della scoperta. Il Grande Vecchio non esiste. Se esistesse sarebbe rincoglionito (pardon). Non c’è. Non c’è nessun onnipotente che potesse decidere la narrazione della prima donna dopo il primo nero alla Casa Bianca. Il Grande Vecchio non c’è. Non avrebbe scommesso e perso tanto denaro puntando sulla perdente. Non c’è. C’è l’onnipotente Caos. Lì, fra le pieghe del Caos (che si può chiamare “caso”), ci sono al più alcuni sapienti. Sapienti abbastanza nel fare affari e difendere privilegi. Ma che litigano fra loro, fra grossi e piccoli. Quelli interessati alle frontiere aperte e quelli che le frontiere le vogliono chiuse. Tutti a reclutare adepti fra noi, il 99%. Noi che combattiamo le loro battaglie, sempre meno nelle piazze, sempre più su facebook. 
Ogni tanto, raramente, forse i sapienti convergono. Ci hanno lasciato una politica piccola, piccola, in gran parte meramente simbolica, bianchi contro rossi, Renzi contro Grillo, sì contro no. Non si allarmano certo per questo i sapienti. Combattiamo battaglie per loro o come mero passatempo per ingannare la paura della inattività e della morte. Solo se tocchiamo il tema proibito dell’eguaglianza di tutti gli uomini, TUTTI, non i connazionali, allora è come se i sapienti smettessero i loro conflitti e facessero quadrato. Migliaia o milioni di volontari, giornalisti, blogger, internauti, perditempo, sono stimolati ad indossare veri elmetti di guerra per deridere e stroncare le vecchie, minacciose ideologie: la pace, la decrescita felice, il socialismo. No, è un modo di dire. Non c’è nessuna riunione di saggi. C’è un pilota automatico congegnato per intervenire al bisogno. Per la contesa Clinton- Trump non serviva intervenire. I sapienti sono stati liberi di confliggere fra loro, sapendo che nessuno si sarebbe fatto troppo male.

lunedì 7 novembre 2016

Onida versus Boschi: il primo impedito, la seconda straripante

Boschi televisiva, brillante e sicura, come sono anche quelli che non sanno di non sapere. Onida più televisivo di Scalfari e Zagrebelsky. Gruber mai vista tanto parziale: largo spazio alla ministra e interruzioni intempestive ad Onida. Sicché non riesco a sentire e capire le spiegazioni del costituzionalista riguardo l'accusa di incoerenza rivoltagli dalla ministra rispetto sue precedenti posizioni. Ministra che protesta, con grande sorriso, ma protesta alla minima interruzione. E però interrompe spessissimo. Oltre - purtroppo - ad esibire scuotimento di capo ("ma che dice"?) ad ogni affondo di Onida. Un po' - ahimè- stile Santanché. Solo un po' però. Onida riesce a dire che è futile e improprio per un quesito referendario costituzionale parlare di riduzione dei costi della politica. Un argomento populista e che implicitamente delegittima la funzione parlamentare. Osa dire anche, come a suo tempo Padoa Schioppa, che la politica oggi non osa essere impopolare perché deve essere simpatica. Infatti non osa decidere oneri fiscali per rispondere all'emergenza terremoto e sicurezza. Onida avrebbe detto forse, se Boschi e Gruber glielo avessero consentito, che il governo preferisce sfondare sul deficit e far crescere il debito a spese di quelli che verranno. Col vantaggio aggiuntivo di poter litigare con Junker, mostrare sovranismo e bullismo che spiazza leghisti e grillini e raccogliere ingenui consensi nazionali.

Fuori, fuori: da che?


Il “fuori fuori” della Leopolda urlato contro i protagonisti del primo PD ha un suono sinistro. Lo ha per l’apparato narrativo, non già per il merito. Chi disegna il recinto rispetto al quale ci si possa dire dentro o fuori? Si potrebbe dire lo Statuto o il Manifesto dei valori. Ho provato a rileggere il Manifesto dei Valori del PD (2008). Beh, mi è sembrato che dentro possano starci comodamente sia Renzi che Bersani. E anche Fassina e Civati. E anche Alfano. Magari Monti. Magari addirittura Meloni. Nessuno legge manifesti e statuti. Neanche prima di chiedere una espulsione dal recinto. Perché i manifesti sono vaghi e hanno bisogno di interpreti. Nel PD oggi l’interprete è Renzi. Come nel M5S è Grillo. Con la differenza che il secondo, da fondatore (id est “da padrone”) del movimento, decide chi è fuori linea, chi da ammonire, chi da perdonare, chi da espellere. Io non credo affatto che le espulsioni siano in sé non democratiche. Mi pare ovvio e desiderabile che si dimetta o sia espulso chi fuoriesce dai valori del recinto. Renzi però non ama le espulsioni. Preferisce le dimissioni. Ancor più preferisce che gli oppositori ci siano, che schiamazzino e non contino. Perché i “traditori”, quelli non obbedienti al leader, sono indispensabili per aizzare la folla. Il “traditore” interno al partito è figura assai più stimolante del normale avversario esterno (Berlusconi, Salvini, Grillo). Più stimolante per stringere le fila attorno al capo. Così il capo, novello Marco Antonio scespiriano sul cadavere di Cesare (il partito), aizza la folla contro i traditori, magari dopo professioni di rispetto (formula usata e abusata da Renzi e consapevolmente ipocrita). “E Bruto è uomo d’onore” diceva Marco Antonio. Lo diceva da spregiudicato provocatore fino a indurre la folla ad apparentemente contraddirlo: “Non uomini d’onore sono; traditori sono”. E si dispiaceva –così diceva Marco Antonio - di aver provocato tanta ira e rivolta. Lui uomo buono e aperto, circondato da traditori.
Ecco, questo apparato narrativo mi sconvolge assai più delle arbitrarie espulsioni grilline. Forse è un problema di estetica. O forse no. Mi sconvolge forse l’immagine del partito in cui ho militato, ridotto a figuranti che fischiano, applaudono e gridano “fuori” secondo un copione scritto da altri.
Credo di capire che oggi i recinti statutari e valoriali sono vaghi perché i partiti sono scatole vuote acquisibili dal miglior acquirente. Forse è inevitabile così perché nulla come una faccia può disegnare oggi i confini del recinto. Solo l’arbitrio personale cioè. Le narrazioni vincenti hanno sconfitto la storia lenta dei partiti, i partiti che evolvevano con te sicché non avvertivi discontinuità e sconquassi ad ogni nuovo segretario. Oggi un leader nuovo pretende un partito nuovo. conservando il marchio del vecchio e del suo patrimonio di fedeli alla Ditta. Pessima parola “La Ditta” vorrei dire al Bersani dai troppi errori. “Ditta” sa di bandiera futile del tifo per una squadra in cui siano cambiati giocatori e proprietari. Bersani disse qualcosa anni fa che mi piacque. Disse: “Sinistra è credere che non puoi star bene se gli altri attorno a te gli altri non stanno bene”. Io mi riconosco in quel valore, non in una bandiera che passa di mano in mano. Perciò chiedo a quel Bersani di non permettere più agli invasati di gridargli ”fuori”, mentre Marco Antonio volge il capo per celare il sorriso compiaciuto. Chiedo a Bersani di uscire da quel recinto e cercare i compagni con cui costruire la sinistra.

sabato 5 novembre 2016

In guerra per amore: fra grottesco e militanza

Cerco di capire perché il secondo film di Pif mi è piaciuto meno del primo, “La Mafia uccide solo d’estate”. Molte cose in comune: la Sicilia, la mafia, la struttura narrativa alquanto favolistica. Nel primo film di Pif la mafia è quella sanguinaria di Riina, quella di Ciancimino e del sacco edilizio di Palermo. Nel secondo è la mafia prevalentemente agraria dell’inizio degli anni ’40.
Pif, italo-americano, o meglio siculo- americano, che si arruola nell’esercito americano che si appresta a sbarcare in Sicilia. Lo fa per amore, per chiedere la mano dell’amata al padre che vive nell’Isola. Come nel primo film l’ingenuo protagonista scoprirà pian piano il dominio mafioso che governa l’Isola. Nel film i comprimari, a partire dall’interprete del mafioso boss e poi sindaco del paesino dal nome inventato, sono più efficaci degli stessi protagonisti. Sempre sul piano del grottesco e di allusioni molto plateali. Vedi il discorso del neo sindaco mafioso con l’elogio della democrazia…cristiana, nella Sicilia liberata. Liberata dai tedeschi e consegnata alle cosche. Ove la platealità grottesca diventa un lasciapassare alla scelta militante. Toni “militanti” ed epici in entrambi i film. In “ La mafia uccide solo d’estate” mi colpì molto e mi emozionò la conclusione col protagonista, diventato padre, che guida il figlio per la Palermo delle stragi mafiose a mostrargli le targhe sui muri di cui è disseminata la capitale siciliana in ricordo degli eroi uccisi: un pellegrinaggio martirologico. Qui la conclusione vede il protagonista aspettare imperterrito davanti alla Casa Bianca di consegnare a Roosvelt la lettera testamento del tenente italoamericano assassinato, venuto anche lui in Sicilia per amore, ma per l’amore della libertà. L’allusione è al rapporto Scotten oggi desecretato in cui il governo Usa manifesterebbe di scegliere la mafia per il governo della Sicilia occupata. Ancora una volta Pif sceglie dunque il registro favolistico e grottesco, prossimo al rischio di addolcire l’orrore. Un po’ come nel Benigni di “La vita è bella”, che infatti a molti piace, a molti no. Qui si spinge un po’ oltre e forse è per questo che il film di Pif mi convince meno del primo. Poi c’è la lettura di un siciliano come me, che lasciò anni fa la Sicilia della mafia per trasferirsi nella Roma di mafia capitale e che va a vedere i film di Pif per rivedere paesaggi dimenticati e riascoltare parlate locali. Di uno come me che si infastidisce abbastanza ascoltando gli interpreti ipoteticamente concittadini del paesino del sudest parlare uno con accento palermitano, l’altro catanese, l’altro siracusano. I “continentali” non ci faranno caso.

giovedì 3 novembre 2016

Di Battista versus Scalfari

29 anni contro 92. Come nel confronto Renzi De Mita mi è capitato di condividere le ragioni dell'anziano politico contro le ragioni del Sì e di Renzi, anche ora ad Otto e Mezzo riconosco la fondatezza degli argomenti del vecchio giornalista, fondatore della Repubblica, contro M5S. Ma ora come allora mi resta lo sgomento per le patologiche amnesie che attribuisco all'età. Di Battista in bicicletta per i paesini della Calabria, sarebbe il tour in moto per l'Italia del leader 5 stelle? E poi strane divagazioni. Penso proprio che la TV non sia adatta al protagonismo degli anziani. E' una preoccupazione personale però quella di trovare un ruolo per la terza età. Sulla carta stampata i rischi sono assai minori. Continuerò a leggere Scalfari la domenica.

sabato 29 ottobre 2016

Renzi versus De Mita: psicopatologie a confronto

Questa campagna referendaria è un incubo. Per la sua lunghezza, per la sua ripetitività, per la sua forza micidialmente distraente riguardo i problemi del Paese. 
Ripeto che vorrei sapere chi sceglie e con quale criterio i rappresentanti dell’eterogen
eo fronte del No impegnati nei confronti televisivi. Immagino che non si scelgano i più adatti ma che si usi il manuale Cencelli. In questo il fronte del Sì ha l’innegabile vantaggio del solo uomo al comando e di un criterio di selezione più prossimo al criterio dell’efficacia. 
Riguardo il confronto Renzi-De Mita, penso che il primo lo abbia vinto, limitatamente al criterio della efficacia persuasiva. Magari sottovaluto i miei concittadini, chissà. 
Il confronto non ha aggiunto un bel nulla agli argomenti stranoti. Fra questi l’ennesimo scontro fra “cambiamento” e non cambiamento. Sinceramente è su questo che faccio la maggior fatica a comprendere la consistenza argomentativa del fronte del Sì. Sembra proprio incredibilmente che si affermi che COMUNQUE si deve cambiare. Che il cambiamento possa verificarsi in peggio non è ipotizzato. Boh! Su questo De Mita ha replicato ragionevolmente. Ma temo inutilmente. Non è tempo di argomenti ovvi e seri. Il confronto però è stato interessante più per lo scontro fra le patologie di due personalità che per altro. Ho provato addirittura un po’ di empatia (quasi simpatia, diciamo) per Renzi, imbarazzato nella ricerca di un equilibrio fra l’esigenza di strapazzare l’avversario e il “rispetto per l’età e la storia dell’avversario”. Quando però il segretario-premier premette (lo fa sempre prima di fare il duro) : “Col massimo rispetto per …” diventa insopportabile. Di fatto dice: “Col massimo rispetto per gli imbecilli”. Giustamente irritato De Mita. Soprattutto quando Renzi gli contesta acidamente l’opportunismo politico nell’ aver lasciato il PD ove non gli era assegnato un posto in Parlamento per passare all’Unione di Centro. De Mita ha replicato che è importante essere fedeli ai propri valori e non ad un logo e che cambiare punti di riferimento (e amici: Berlusconi, Verdini) è più grave che cambiare logo (la scatola vuota dei partiti odierni). Però lo ha detto perdendo il controllo e l’osservanza del galateo. Ha dato anche del “patetico” all’avversario. Problemi psicologici di scarso autocontrollo tipici dell’età avanzata. Condivisibile e corretta invece la diagnosi: “Parli come se con te iniziasse la nuova Storia”. 
Ho visto e “ammirato” in Renzi l’energia vitale e la freschezza mentale che gli consente addirittura di memorizzare la cronaca (dati e nomi) della Prima Repubblica, fin dalla Costituente. Viceversa grave default da “anzianità” in De Mita che parla di fiducia imposta sul testo della riforma. Un vero sgobbone comunque Renzi: giudizio del tutto disgiunto dall’impiego catastrofico di tale energia rispetto al Paese. Che non sia in grado di comprendere ciò che De Mita cercava di dire è altra cosa. La qualità delle mediazioni e dell’incontro fra culture diverse ma capaci di trovare punti di contatto e dialogo è filosofia politica incomprensibile per Renzi. In sintesi lo spettacolo di ieri rafforza il mio pessimismo sul futuro che ci attende. E continuo a fare appello a quanti coltivano ragionevolezza, sobrietà e dialogo, pur guardando magari, come mi sento costretto a fare io, verso orizzonti lontani, incompatibili con la cultura dell’epoca attuale.

mercoledì 26 ottobre 2016

Tutti innocenti a Gorino

Poiché sono assolutamente determinista assolvo facilmente gli invasati indigeni di Gorino. Anch'io avrei festeggiato con loro la vittoria contro 12 donne e 7 bambini stranieri con braciole alla piastra,salame e vino rosso. Momento conviviale piacevolissimo, immagino. Sarei stato come loro se fossi nato lì. Innocenti anche i governanti che non pensano di investire nell'educazione permanente e degli adulti. Pensano che la buona scuola debba riguardare solo i giovani. Poi ognuno si educa da solo o coi pari o con internet. E se non è preparato ad affrontare i nuovi eventi della Storia sempre più veloce, pazienza. Innocenti i governanti: a loro hanno insegnato che non è un problema. Nessun merito viceversa per il "cittadino"  governatore della Toscana cui forse i genitori permisero buoni studi e che lo dimostra semplicemente esibendo i numeri:11.000 immigrati in una Regione di 3 milioni e 750.000 abitanti come possono essere un problema? Lo sono solo se c'è incompetenza. E volgare speculazione politica, aggiungo. Ok, tutti innocenti comunque, me compreso, da perdonare se da ieri soffro di nausea.

lunedì 24 ottobre 2016

Io, Daniel Blake: versione britannica dell’inferno classista-burocratico

Non una critica cinematografica giacché critico non sono. Dico che è la seconda volta che mi capita di dibattere su un film con tanta naturalezza e voglia di condivisione, con una coppia di sconosciuti coetanei all’uscita dalla sala. Io col nodo alla gola, come –immagino – mia moglie e gli altri. Parto da qui allora. Tutti sorpresi a constatare: “ Ma allora l’inferno non è solo italiano”! Film premiato con Palma d’oro a Cannes, quello di Ken Loach è più efficace di un manifesto politico. Miracolo del cinema vero, assolutamente “impegnato” e assolutamente non intellettualistico. Manifesto rivolto a giovani e anziani, con la storia dell’incontro di un uomo maturo e di una giovane donna. Lui operaio carpentiere, lei disoccupata con figli. Lui che ha perso il lavoro per problemi cardiaci. Entrambi vite ed intelligenze più che normali stritolate da un welfare complicato, invadente, iper-burocratico, cieco. Loach mostra di comprendere assai bene le buone ragioni della burocrazia. Quelle buone ragioni che portano ad un richiamo severo dell’impiegata che tenta un rapporto di aiuto col protagonista da parte dell’implacabile dirigente. Non sono ammesse deroghe e falle al sistema burocratico. Quella ragione burocratica che costringe Daniel a navigare fra centro per l’impiego alla ricerca del lavoro e centro pubblico sanitario per il riconoscimento di una pensione di invalidità. In una drammatica alternativa. Ma, benché malato di cuore, con un infarto pregresso, Daniel non supera l’esame dell’intervistatrice. Per il fatto di non dichiarare problemi di incontinenza probabilmente perde quei 3 punti che gli avrebbero fatto raggiungere i 15. Perché la burocrazia adora i punti che peraltro sono un antidoto all’arbitrio. Ma anche all’intelligenza. Qui è il dilemma difficilmente risolvibile. Egualmente il centro per l’impiego pretende che Daniel dimostri che si sta impegnando nella ricerca di un lavoro. Lo dimostri portando esempi di curriculum inviato ai potenziali datori di lavoro o certificazioni di appuntamenti realizzati. Però Daniel che sa fare quasi tutto con le mani, ma anche col cuore, è un uomo dell’epoca analogica, visceralmente refrattario ai saperi digitali: il mouse, il blocco improvviso del software. Impensabile per lui redigere e inviare un curriculum in rete. Accanto a lui c’è la disperazione di lei, disperazione splendidamente rappresentata da Loach. Con la fame che la induce ad aprire la lattina appena ricevuta dal banco alimentare per ingurgitare pomodori . O ancor più con la sommessa domanda “Potrei avere degli assorbenti”? C’è infine attorno la solidarietà vera dei pari e di quelli esposti come i protagonisti al disastro. Esempi felicemente incarnati di una solidarietà di classe che Loach fa apparire tutt’altro che “ideologica”.

domenica 23 ottobre 2016

Il grande vecchio e il giovane esecutore


V. Veniamo al sodo. Ti ho chiamato perché tu sarai il padrone dell'Italia.
G. Io? Scherzi? In che senso? E perché?
V. Sarai capo del governo, di un governo che governerà davvero. Per tutto il tempo necessario. Almeno due legislature.
E. Pensi che ne abbia le qualità?
V. Tutte quelle che servono. Praticamente non sai niente. Anche questa può essere una qualità. Le tue caratteristiche personali sono ciò che conta. Sei sveglio. Energico. Non sprechi energie con le donne. Non stimi nessuno. Benissimo. Non fai lunghi discorsi. Anche perché non sapresti farli. Benissimo. Non credi in principi e ideologie. Benissimo. Sai sfottere, sai essere insensibile, sai essere spregiudicato. Usi slide e tweet. Ti fai capire da tutti. Perché non sei tentato dai discorsi difficili. Benissimo. Hai tutto.
G. Se lo dici tu... Ma avrò un partito alle spalle? Se sì, quale?
V. Quello in cui stai ora va bene. E' il più grosso ed è anche quello più scalabile. Con le primarie lo scalerai facilmente. Primarie aperte, molto aperte.
G. Come farò a vincerle?
V. Con pochi e ripetuti argomenti. Il principale è la rottamazione. Parola che già ti ho visto usare. I nostri concittadini ormai non capiscono nulla. Quando non si capisce nulla di un auto che va male l'unica soluzione è cambiare autista. Via i vecchi allora, quelli che hanno sempre governato non realizzando un bel niente. E largo alle giovani leve: ragazzi e ragazze, preferibilmente di bell'aspetto.
G. Ma ci ha provato già Berlusconi così…
V. Sì, infatti io puntavo su di lui. Ma è entrato in confusione. Ha pensato di potersi permettere tutto. Potere e giovani donne e notti insonni. E sbeffeggiamenti a quelli più potenti di lui. Ha dilapidato un patrimonio.
G. Ma io sto a sinistra.
V. Sì?
G. No?
V. Stai in un partito che si dice di sinistra. E' un vantaggio. Erediterai l'elettorato di sinistra e conquisterai quello di destra. Li avrai tutti, per fedeltà alla bandiera o per convinzione.
G. Facendo politiche di destra?
V. Vedi? Hai già capito.
G. E' facile tenere insieme destra e sinistra?
V. Per te sarà facile. Puoi usare due argomenti. Il primo: io sono la sinistra che vince. Facendo politiche di destra. Ma questo non occorre che tu lo dica. Eventualmente puoi usare il secondo argomento.
G. Quale?
V. Potrai citare il grande Teng Siao Ping, quello che riportò la Cina alla ragionevolezza. Lui diceva: “Non importa se i gatti sono bianchi o neri. L'importante è che acchiappino i topi”. Puoi costruire le varianti che vuoi a questa geniale affermazione.
G. Fammi qualche esempio.
V. Potrai dire: “Non perdo tempo con discorsi inutili: destra, sinistra e stupidaggini simili. Io penso all'Italia”. Fai qualche smorfietta ogni tanto, per far capire che potresti dire di peggio.
G. Praticamente quale programma attuerò?
V. Liberalizzerai il mercato del lavoro. Solo con la fiducia di poter licenziare si possono fare assunzioni. Ridicolizzerai il vecchio Statuto dei lavoratori. Accidenti: è del 70. Il mondo è cambiato e noi ci teniamo ancora quel ferro vecchio? Liberalizzerai l'uso dei contanti e l'uso del territorio. L'economia riparte se ripartono i consumi: paninifici, sale scommesse, casinò, barche e case. Non è una bugia. E' così. E' il pensiero comune ormai. Solo pochi pazzi pensano alla decrescita felice e cavolate simili.
G. Poi?
V. Subito devi occuparti di una nuova legge elettorale. Una che ti assicuri di vincere anche con 1/5 degli elettori. Si può fare. Quando avrai vinto anche i 4/5 passeranno con te. Mostra i muscoli. Agli italiani piacciono quelli muscolari. E fatti beffe di chi si oppone. Quelli sono gufi. Tifano contro l'Italia. Puoi anche inventarti riforme senza senso. L'importante è che tu le realizzi. Gli italiani apprezzeranno chi fa le cose. Quali che siano queste cose. Anche orrende. Realizzale con le brutte, se serve. Col voto di fiducia e minacciando di mandare tutti a casa. Riforma il Senato, ad esempio. Magari riducendo il numero dei senatori. E' un argomento che manderà in brodo di giuggiole i cittadini. Risparmiare 100 milioni. Chi può essere contrario? I politici che si opponessero si brucerebbero per sempre.
G. Ma, scusa, 100 milioni sono niente.
V. Sì. Ma tu credi che i tuoi concittadini sappiano cosa sono 100 milioni rispetto ai miliardi della spesa pubblica o ai miliardi del debito pubblico? Queste cose non si insegnano a scuola. I cittadini capiscono solo che sono “tanti”: pochi milioni o molti miliardi che siano. A proposito di debito pubblico e di deficit: infischiatene. Fai ai cittadini tutti i regali che servono. Qualche spicciolo ai poveracci e diversi miliardi a quelli che fanno l'economia, che ti possono sorreggere o farti cadere. E – mi raccomando – se l'Europa si oppone, va avanti lo stesso. Anzi, se Bruxelles si oppone è un terno al lotto per te. Avrai la strada spianata. Apparirai il fiero difensore della Patria. Spiazzerai del tutto la destra. E anche la sinistra. Tutti si dicono contro Bruxelles. Tu lo sarai davvero. Impara a dire: “Qui in Italia, non comandano i burocrati di Bruxelles. Nessuno puoi farci la lezioncina”. Conquisterai tutti.
G. Sembra facile.
V. Lo è. Comincia subito. Non mi deluderai.
P.S. Un po' per gioco. Ma nella sostanza è andata così.

sabato 22 ottobre 2016

Romano versus Ferraresi: selezione della classe dirigente ed altre cose

Ieri ho seguito assai poco il Sì o No di Mentana. Sicché aspetto pareri più che dare risposte. Ho seguito il confronto non tanto per verificare tesi ormai più che consolidate e ripetitive. Mi interessava e mi interessa altro. Vorrei sapere chi sceglie i protagonisti dell'incontro. La 7 o gli schieramenti contrapposti? Apparentemente il confronto era squilibrato. Da una parte il quarantanovenne Romano, condirettore dell'Unità, professore e politico di lungo corso e di storia politica fortemente evolutiva: da Bordiga a D'Alema a Renzi. Politico comunque fra i più presentabili, a mio avviso, nel PD. Dall'altra parte il ventinovenne deputato M5S, noto - ho controllato- per essere il parlamentare che meno ha chiesto di rimborsi (quasi niente). Pare che questo sia un titolo di gran merito oggi nel Paese, oltre che in M5S. In attesa che torni la politica vera e che la mitica onestà diventi ovvia e scontata. Mi sono chiesto quanto conti e debba contare l'esperienza e il professionismo della politica (Romano) e quanto la politica come servizio a termine nelle istituzioni, un po' come il vecchio servizio di leva (Ferraresi). I rischi della seconda opzione sono evidenti. Però io simpatizzo per la politica politicante a termine, insieme ad una dimensione politica costante nella vita dei cittadini. E simpatizzo per il ricambio costante della "oligarchia" dirigente. Però certamente il M5S che meglio (o forse solo) sposa tale filosofia si avvolge in contraddizioni macroscopiche. A partire dall'irrinunciabile garante e padrone del marchio, fino al blog proprietario, fino alla ereditarietà del blog, fino alla risibile selezione online dei candidati, scelti magari con 50 voti contro 49, fino all'ancor più ridicola multa per chi, eletto, non rispetti il programma. Fino al mix di idee preziose (salario di cittadinanza, sguardo ecologico) e idee regressive (riguardo euro, immigrati ed altro). Sto a guardare cercando di capire se prevarrà il meglio o il peggio. E cerco di capire perché i "miei" (fino ad un certo punto...) Civati e Fassina restano ai margini e chi e cosa decide che non debbano contare. Nient'altro. Ma è anche troppo.

giovedì 20 ottobre 2016

Il quesito truffaldino

Prendo atto. Il TAR ha respinto il ricorso di M5S e Sinistra Italiana contro il quesito referendario perché il Tribunale Amministrativo sarebbe incompetente in materia. Sarebbero stati competenti invece Cassazione e Presidenza della Repubblica. Qualcuno ha sbagliato e qualcuno ha fatto il furbo. C'è stato di peggio e di più tragico nella storia del mio Paese. Però quale che ne sia l'impatto sugli elettori, dico senza sfumature che la forma del quesito referendario mi appare il massimo esempio di pratica truffaldina fino al ridicolo di cui io abbia memoria.

Renzi-Bersani oppure la politica

Sui giornali fiumi di parole sulle ultime guasconate di Renzi che da Washington non le manda a dire all'Europa. "Bruxelles ci manderà una letterina e noi risponderemo".Bravo, così si fa! Bruxelles contesterà la flessibilità oltre il concordato cioè il deficit cioè il debito aggiuntivo assegnato alle future generazioni e noi risponderemo. Adeguato spazio anche ai mal di pancia di Bersani così attento a replicare agli insulti senza arrivare alla rottura. Dicono che questa si chiama "politica". In spazi minori e senza apparente relazione con le gesta del premier e dei suoi educati oppositori, veniamo informati che i poveri sono ora quattro milioni e mezzo e che nell'Italia dei primati abbiamo superato l'ultimo record di denatalità, nonché prevedibilmente il record di saldo negativo fra nuovi nati e morti. Senza l'invasione degli immigrati fra non molto l'Italia sarebbe una landa disabitata. Però non ci pensiamo troppo. Abbiamo lo spettacolo divertente della politica politicante a distrarci. E continua da mesi l'appassionante dibattito sul Sì e sul No. Ecco, vorrei scoprire che questa politica è solo gioco consapevole e distraente. Vorrei che contemporaneamente, magari in una Italia parallela, come in certi film di fantascienza, noi fossimo impegnati a dividerci e poi decidere su ciò che conta. Immagino una forza politica che propone l'eutanasia dei poveri o propone di organizzare l'accompagnamento all'estinzione dell'Italia, della sua gente senza figli (magari con obbligo di anticoncezionali o sanzioni per chi fa figli, secondo il modello cinese). E propone l'estinzione della sua lingua già tanto bistrattata da Jobs Act e cose così rigorosamente in inglese. Immagino una forza antagonista che riscopre ciò che era dimenticato. Che è logico e possibile chiedere ed ottenere il contributo di milioni di disoccupati per risanare il Paese. Che il lavoro non va inventato con guerre e cemento. Che c'è enorme lavoro per tutti. Che l'ingiustizia fa male agli obesi,oltre che ai denutriti. Ecco, aspetto un confronto su cose serie, fra suicidio e rinascita.

martedì 18 ottobre 2016

Lettere da Berlino: dalla resistenza dei pochi alla Germania dell’accoglienza


Dopo Frantz del francese Ozon ancora un film che prende avvio da un soldato tedesco ucciso. Anche qui, nella trasposizione filmica del romanzo (Ognuno muore solo) che Hans Fallada aveva tratto da una storia vera, la morte di una persona cara avvia una conversione degli animi. Perché la ragione pare incapace di voltarsi verso l’evidenza se non sollecitata da una dirompente emozione. Nella Berlino in festa per i primi successi sul fronte francese, nella Germania adorante il Fhurer e apparentemente priva di opposizione , la morte del figlio risveglia la coscienza dormiente di un padre (Brendan Gleeson, efficace). Che darà un senso al lutto impegnandosi a disseminare la città di cartoline pacifiste e di invettive contro il regime. Scopriremo i risultati di quell’impegno, insieme ai segni di una opposizione latente, nelle sole 18 cartoline –su 285 - che i bravi cittadini tedeschi non consegnano alla polizia. Film utile, questo di Vincent Pérez anche se di pregio discontinuo. Pregevoli certamente due frammenti. Il primo è il ritratto del poliziotto che scoprirà l’autore delle cartoline , mandandolo a morte con la moglie (la bravissima Emma Thompson). Decisiva nella sua conversione che lo porterà al suicidio la violenza su di lui della Gestapo che gli fa scoprire che non c’è salvezza certa per nessuno nel dispotismo, neanche per i piccoli funzionari del terrore. Il secondo frammento è la sobria seduzione della moglie che invita il protagonista ad una pausa di sesso consolatorio: il sesso perenne consolazione del dolore. Vedendo il film mi sono sorpreso a riconoscere vie conosciute nel mio viaggio a Berlino, in concomitanza coi mondiali di calcio . “Quel ristorante cinese era la casa di Hitler a Berlino” mi diceva la guida. “Lì la Gestapo aveva suoi uffici”. Mi consolò aver visto attraversate da folle sorridenti manifestanti per la vittoria tedesca ai mondiali di calcio. quelle vie che il film mostra popolate di folle inneggianti ad Hitler. Ora penso semplicemente che quelle 18 cartoline non consegnate alla polizia furono fra i semi che, dopo la liberazione dalla vergogna nazista, restituirono la Germania al consesso civile, facendola oggi protagonista nella resistenza alla xenofobia in una Europa nuovamente minacciata dal virus nazionalista e dimentica delle tragedie recenti.

sabato 15 ottobre 2016


Due anni e mezzo fa l'Avvento


Il premier, prima insiste nel porre il discrimine fra tempi nuovi e tempi vecchi a due anni e mezzo fa, casualmente la data del suo avvento. Con grande gioia del predecessore Letta con la cacciata del quale si chiuse il tempo della crisi. Grande esempio di amicizia e rispetto del premier verso il predecessore del suo stesso partito. Poi presenta la manovra con l'ennesima spiazzante battuta rivolta a chi critica la politica dei bonus. "Criticate pure i bonus, ma sono meglio dei malus". Anche se non mi è chiaro cosa e di chi siano i malus, quella del premier è una battuta che da sola vale un governo e vale la defenestrazione di Letta. Non mi è chiaro nemmeno per la verità perché mai il Pil nazionale e pro capite sia stagnante malgrado la pioggia di bonus. Forse i bonus non sono calcolati nel Pil pro capite dei bonificati? Non mi è chiaro neanche il motivo per cui malgrado l'Avvento il Paese resti fanalino di coda, anzi perda ulteriori posizioni, in una Europa che cresce poco, ma cresce più dell'Italia.Tutto il resto mi è chiaro. Se governare è divertire, questo è un governo da ringraziare.

Café Society, la nostalgia come terapia


Ho visto, da “cultore” di Allen, Café Society. Non fra i suoi imperdibili, ma certamente gradevole. Per i dialoghi precisi ed eleganti, con gli immancabili aforismi, per l’ottima fotografia di Storaro, per la colonna musicale anni 30 che è quasi mezzo film. La storia di Bobby, un giovane normale, o meno che normale, cioè “sprovveduto” ed impacciato, spedito dal Bronx alla ricerca di un lavoro qualsiasi nella realtà aliena di Los Angeles presso lo zio, manager hollywoodiano. Lì il protagonista troverà lavori mediocri e un amore vero. Un amore che lo deluderà ma di cui non si libererà davvero, tornando nella sua New York. Nella metropoli troverà un amore normale, una famiglia normale ed anche il successo lavorativo occupandosi di un night club per conto del fratello gangster, di cui, come sempre accade, la famiglia preferisce ignorare il mestiere. C’è in Café Society qualche momento di empatia profonda. Dell’autore verso le sue creature che debbono farsi ragione della rinuncia ai sogni ed empatia della protagonista verso il protagonista che non conviene amare. Perché nel mondo laico di Allen l’amore è poliamore ed è amore intrecciato alla convenienza che suggerisce chi amare. La metafora che ho preferito in Café society è quella amorosa (nel senso di dolcemente “pietosa”) di Vonnie che paragona lo stordito Bobby ad un cervo abbagliato in autostrada.
C’è anche nell’ultimo Allen il sempre presente tema della morte che fa paura e per la quale si irride ad ogni tentativo di consolazione. C’è nell’ultimo Allen la nostalgia come sentimento prevalente. Parigi di Midnight in Paris o frequentemente New York e gli anni 30, luoghi dell’anima, come si suole dire. Nostalgia come fuga da un presente privo di fascino, incomprensibile e ingestibile. La nostalgia rende ancor più belli i colori della città e i tramonti. Rende affascinanti le inutili mega dimore di Hollywood . Rende simpatici anche gli assassini di una volta e divertenti i rituali dell’occultamento dei cadaveri. Mi chiedo se ci sarà fra 50 anni un regista che avrà nostalgia per gli anni che stiamo vivendo. Anticipare il suo sguardo sarebbe terapia radicale per il malessere attuale.