mercoledì 27 ottobre 2010

Gli uomini che fanno, le donne che curano

Lo scorso 24 ottobre, a “Che tempo che fa”, Sergio Marchionne è intervistato da Fazio. Marchionne dice cose sgradevoli. Gli utili della Fiat si realizzano tutti fuori dall’Italia. La Fiat in Italia non sarà competitiva fino a quando sarà considerato normale assentarsi in coincidenza con una partita di calcio. Ok. Il grande manager ha un’alta opinione di se stesso. Certo fa esercizio di modestia: malgrado la sua laurea in filosofia, è un metalmeccanico. Lui è uno che “fa le cose”. E disfa anche: investe e disinveste Ribadisce il vanto di lavorare 18 ore al giorno.

Lo stesso giorno, subito dopo, a “Niente di personale”, Piroso intervista tre donne. Non sono metalmeccaniche e non fanno le cose. Se le fanno o le hanno fatte nel loro lavoro, comunque non sarebbe questo il loro segno distintivo. Scommetto siano impegnate anch’esse 18 ore fra lavori fuori di casa e impegni domestici e di cura. Sono due mamme e una sorella. Sono Cira Antignano, madre di Daniele Franceschi, Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi e Ilaria Cucchi, sorella di Stefano. Il comun denominatore è l’aver perso un congiunto – figlio o fratello – per mano di un potere dispotico e illegale: carabinieri, polizia, agenti di custodia, anche personale sanitario. Avete fatto caso che sono quasi sempre madri e sorelle a contestare ingiustizie e soprusi, esponendosi alla tv? Intanto gli uomini “fanno”, aprono e chiudono fabbriche. Le tre donne chiedono sobriamente giustizia.

Ilaria Cucchi è “giustizialista”, nell’accezione corretta, quella non logorata dalla politica. Ha scoperto, solo dopo la tragedia, che il fratello spacciava oltre che consumare droga. Ha denunciato la scoperta alle autorità semplicemente in nome della verità sfidando lo Stato alla stessa sincerità.

Patrizia Moretti, madre di Federico Aldrovandi, è l’unica ad aver ottenuto parziale giustizia. Quelli che massacrarono il figlio sul selciato sono stati condannati e poi salvati dall’indulto. Espone un dubbio e sembra chiedere conforto e consiglio all’opinione pubblica. Quando, successivamente,sono stati coinvolti e condannati, per depistaggio, i superiori degli agenti assassini, ha accettato di rinunciare a farsi parte civile negli ulteriori gradi di giudizio, in cambio del risarcimento offerto dallo Stato che così riconosceva le colpe dei suoi “servitori”. Chiede se questo offuschi la sua battaglia di giustizia. In questo caso è pronta a restituire l’indennizzo.

Cira Antignano ha perso suo figlio, Daniele Franceschi, in una prigione francese. Ripetutamente, inutilmente, il ragazzo, sofferente, aveva chiesto aiuto fino a morire – sembra - per un infarto sopravvenuto. La signora, anziana, è andata in Francia a chiedere giustizia, spiegando un lenzuolo bianco. Un piccolo lenzuolo, precisa, come per una richiesta di attenuante. Perché i gendarmi glielo hanno strappato e con calci le hanno fratturato le vertebre. Il corpo restituito alla madre, mal conservato e “svuotato”, forse non può più raccontare la verità. Cira ha scritto a Carla Bruni, consorte del presidente francese e italiana. “Non mi ha risposto” dice timidamente, come se non si aspettasse nulla di diverso.

Mentre la politica tira da una parte e dall’altra la stessa coperta troppo corta, oggi sollecitata dalle esigenze di equità, poi da quelle di produttività, infine da quelle ambientali, smarrendo nell’impotenza ogni filo di progetto, madri e sorelle si prendono cura, di figli e fratelli molto occupati con se stessi o smarriti. Madri e sorelle raccolgono i cocci, curano i feriti, lavano i corpi degli uccisi. Non tutte le donne somigliano a Patrizia, Cira e Ilaria. Alcune vanno oltre. Nei vicoli di Napoli le vediamo proteggere e fare scudo col loro corpo a congiunti camorristi e assassini. Perché nell’obbrobrio familistico può scivolare la dedizione e la cura dei propri cari. C’è un altro oltre però in cui aspettiamo madri e sorelle per cambiare la vita di tutti: la politica, quella “materna”, quella per tutti, quella che ci serve.

domenica 17 ottobre 2010

Battiato e Buttafuoco. Oltre destra e sinistra?

Venerdì 15 ottobre a OTTO E MEZZO su LA7, la Gruber intervista il musicista Franco Battiato. Le fa da sponda in studio Pietrangelo Buttafuoco, giornalista di Panorama e scrittore, uomo di destra, di destra “creativa”.
Osservo subito che un artista – questo è Battiato – rischia di deludere quando non parla attraverso la sua opera. Ha ragione Buttafuoco che ricorda la intensità dei suoi componimenti capaci di dare forma immediata alle nostre idee confuse. Di questo però non c’era traccia nel linguaggio esibito nell’intervista.
Annoto quindi la curiosa coincidenza di Battiato e Buttafuoco che rifiutano di collocarsi nelle categorie destra/sinistra della politica da cui si smarcano. “Non sto né a destra né a sinistra, dice Battiato, sto in alto”. Poi curiosamente, dimentico di quanto appena affermato, ad altra domanda risponde di avere votato Bersani alle primarie del PD e poi ancora che non lo voterebbe più ma sceglierebbe Vendola. Più tardi Buttafuoco risponderà allo stesso modo alla stessa domanda. Anche lui non sta né a destra né a sinistra ma “in alto”.
Darò due interpretazioni, non alternative, ma complementari. La prima è la presunzione dell’uomo (se è possibile dir male di Garibaldi, cioè di Battiato e Buttafuoco) che può illudersi di guardare dall’alto gli ometti che quaggiù faticano e si dividono su piccole cose. La seconda riguarda l’oggettiva crisi delle categorie destra e sinistra. Pur senza presumere di stare in alto, molti oggi non vogliono collocarsi, altri non riescono a collocarsi secondo quelle polarità.
Quelli che non vogliono cercano con tale stratagemma di spiazzare l’avversario e di “pescare” un consenso trasversale, sapendo che collocarsi nelle tradizionali polarità farebbe pagare il prezzo che pagano le appartenenze “ideologiche”. Grillo è fra costoro: anche lui dice di stare “in alto”, per quanto, da attore, riesca ad esorcizzare il rischio di supponenza con la mimica e il sorriso. E’ comunque una tendenza sempre più diffusa: soprattutto a sinistra, segno evidente della crisi di quest’area politica sempre più sulla difensiva e paga di proporre buona amministrazione. La sicurezza non è né di destra né di sinistra, la giustizia lo stesso, etc. etc. Bella scoperta! I temi, forse, non hanno appartenenze. Fino ad un certo punto, perché le priorità nella scelta dei temi è inevitabilmente orientata. Le soluzioni poi vanno sempre in una o l’altra direzione. Privilegiando la prevenzione o la punizione, scegliendo di esercitare la massima severità sul furto con scasso o sulla bancarotta fraudolenta, etc. Nella misura poi in cui davvero le soluzioni alternative non siano percepibili, questo è un pessimo segnale, il segnale di un dominio esterno alla politica che non consente più di scegliere se non su cose accessorie.
Il moltiplicarsi di quanti non sanno collocarsi rappresenta ancor meglio questo segnale: la crisi delle ideologie e delle appartenenze. Sostituite da cosa? Dal tifo politico o dalle scelte di volta in volta. Nel primo caso la politica è ridotta a spettacolo fra spettacoli. Nel secondo non esiste coerenza e tessuto connettivo fra una scelta e un’altra. L’ideologia è (era) un tessuto connettivo e insieme inevitabilmente un “pregiudizio”. Oggi il collante, quando c’è, è personale, nel segno di un nuovo pregiudizio rappresentato da figure carismatiche. Oppure appunto è l’atomizzazione delle scelte.
Ragionevolmente però destra, sinistra, centro (eventualmente) possono essere polarità sinteticamente rappresentative di orientamenti? Penso di sì, magari accompagnate ad altre coordinate. Battiato e Buttafuoco mi offrono ancora un esempio. Da cosa proviene l’evidente feeling fra i due che pure, a loro dispetto magari, collocheremmo su due polarità opposte? La sicilianità forse? No, certo. Rischierei anch’io peraltro, da siciliano, di esservi coinvolto. Forse il misticismo, dichiarato e noto, di Battiato e la vaga religiosità nell’enfasi della tradizione del secondo. Forse. L’ipotesi mi serve comunque per suggerire che destra e sinistra sono simboli da non sopprimere, ma che vanno accompagnati ad altre coordinate: laicità/confessionalismo, ad esempio. O localismo/nazionalismo/internazionalismo. Insomma non abbiamo bisogno di abolire simboli o punti di riferimento, ma, ragionevolmente, di aggiungerne altri ai più antichi, se non vogliamo immaginarci tutti solitari compositori di irripetibili spartiti politici. Resto convinto che destra/sinistra non si debbano buttar via. Per me sinistra continua a significare l’orientamento di chi ritiene che il destino di ognuno sia un prodotto sociale. Anche se può essere utile per motivare l’individuo “fingere” che egli sia artefice del proprio destino, l’imprenditore ha successo grazie ai suoi collaboratori e al volo di una farfalla in Cina (a cicli e movimenti economici effetti di scelte di uomini lontani) e lo scienziato scopre la genesi del cancro grazie ai docenti che lo appassionarono alla biologia o gli insegnarono a leggere e ai braccianti che faticarono senza sosta sotto il sole per raccogliere i pomodori che nutrirono il suo cervello. Egualmente il fallimento dell’imprenditore o dello scienziato sono responsabilità diffuse nel corpo sociale. Corollario 1: impossibile valutare il peso dei componenti la catena, tutti indispensabili. Corollario 2: è giusto ed utile che tutti ci sentiamo responsabili di ognuno. Quando allora si scoprisse un nuovo zio pedofilo e omicida in qualche provincia pugliese, la sinistra (quella che io potrei chiamare sinistra) conquistato il governo, dopo aver punito duramente il “colpevole finale”, in ossequio all’utile finzione della responsabilità personale, comincerebbe a disinvestire risorse dal circuito mediatico per interrogarsi sulla sessualità degli anziani in una società erotizzata e per investire nelle risposte possibili.
N.B. Chiedo scusa a Battiato e Buttafuoco per averli “strumentalizzati” e rinnovo a Battiato, musicista, la mia ammirazione, consigliandogli di astenersi dalle interviste.