martedì 30 dicembre 2014

Norman Atlantic: per ricordare che la convivenza è un miracolo


Dopo le notizie dell'impegno e del sacrificio di molti soccorritori ora arrivano le notizie sgradevoli. La lotta dei passeggeri in pericolo per aggiudicarsi la salvezza. La lotta per raggiungere la fune dell'elicottero e la salvezza. Anche scavalcando e picchiando i più deboli. Così dicono i soccorritori: "Mai visto nulla di simile; minacciavamo di andare via". Nessuna sorpresa, vero? Io sono io e tu sei niente per me. Così è in fondo. E questo avviene nel piccolo senza autorità, e in grande senza politica. O senza quella rara "anomalia" chiamata altruismo, eroismo, etica, etc. Una lezione che si rinnova per ricordarci di apprezzare quella convivenza che ci sembra ed è di scarsa qualità, ma che è un miracolo conquistato per prove ed errori da generazioni di umani. Avevo appena finito di leggere Cecità di Saramago. Strana coincidenza. I grandi scrittori ci mostrano come altri non sanno fare quello che siamo e che continuamente dobbiamo domare. Inventando ogni giorno la convivenza civile, la civiltà.

lunedì 29 dicembre 2014

L'impotenza che sgomenta


Condivido lo sgomento dell'operatore turistico greco che si chiede come sia possibile. Passano le ore e la salvezza non arriva. La Norman Atlantic incendiata e alla deriva. Non nell'oceano ma quasi in una vasca da bagno. Nelle poche miglia di acque fra Patrasso e le coste italiane. La tragedia del Titanic sempre in agguato. La mobilitazione di navi, aerei, elicotteri e tecnologie del mondo intero assurdamente incapace di liberare dall'incubo centinaia di passeggeri esposti al gelo per sfuggire al rogo. Come il Titanic, come la Costa Concordia, come le Due Torri, come sempre. Come sempre imprigionati in scatole che si dimostrano mortali. Per imperizia. Perché ci crediamo onnipotenti. Perché non conviene rimandare un viaggio. Perché non vale la pena di pagare i costi per la revisione di paratie anti-incendio. Perché affidiamo la progettazione di piani di evacuazione al nipote del caro amico che ha assunto nostro cugino.

sabato 20 dicembre 2014

Archivio rossodemocratico: Ballarò e le due culture


Televisione:Ballarò e le due culture post pubblicato in diario, il 16 dicembre 2009 Ieri, 15 dicembre, a Ballarò un Floris meno timido del solito. Alla Gelmini che obietta a Rodotà di essere uomo di sinistra, Floris, sorridente: "E' una malattia?" 1) Alla Gelmini che risponde a Floris con una domanda "Pensa che basti spendere di più nella scuola per migliorarne la qualità?" Floris replica con altra domanda "Ministro, pensa che basti spendere di meno per migliorarne la qualità?" 2) 1) Lo scambio dialettico è sintomatico delle due culture, su alcuni piani assolutamente opposte, che oggi si affrontano. Per la destra la collocazione a sinistra è "contronatura". Politica é sinonimo di faziosità. Il magistrato iscritto a Magistratura Democratica é di sinistra, comunista e fazioso. Non può essere obiettivo. Intollerabile è altresì che un magistrato vada in televisione o esponga una tesi politica. Il magistrato non deve avere opinioni politiche ( cioè deve essere uno stupido?). O magari può averle, ma deve tenerle riservate e private, come la sessualità e le funzioni corporali. Perché la politica è una cosa sporca? Qui si evidenzia il frequente cortocircuito fra destra e qualunquismo. Per la destra in buona fede le opinioni espresse da un magistrato o (da un giornalista) di destra non sono parziali o "politiche", sono la rappresentazione obiettiva e naturale della realtà. Per un democratico l'orientamento politico é un diritto (ed un dovere civico, nel senso di attenzione alla polis) e non può entrare in conflitto con il dovere di imparzialità, nel senso di attenzione al prossimo - chiunque sia - e alla verità - comunque si manifesti. Vale per il magistrato, come per il giornalista, come per il chirurgo. 2) La critica ai tagli ed alla non riforma della destra, nulla toglie al bisogno di un'autocritica a sinistra per una politica della scuola troppo appiattita sulle posizioni del sindacato. Forte é invece la necessità di innovare nel sistema di istruzione, università e formazione in termini di valutazione (dei docenti e degli studenti), di nuovi obiettivi formativi e di spostamento di risorse nel comparto, per esempio verso la formazione permanente e degli adulti.

venerdì 19 dicembre 2014

I paradossi di Luttwak e il sonno della ragione


Ad AnnoUno ieri esibizione di paradossi dello spregiudicato Luttwak. Si strappa platealmente l’auricolare per dire No agli argomenti della giovane islamica in studio. Lo fa più volta e curiosamente Giulia Innocenzi su limita a contestarlo educatamente ma non gli taglia il collegamento. Per Luttwak il velo dell’islamica in studio è un segno di identità paragonabile alla svastica. Addirittura. Come il velo delle suore cattoliche? O come tingersi i capelli di biondo? O come portare la coppola o il borsalino? La contro-obiezione di chi viene in soccorso di Luttwak è: “Ma noi siamo libere di colorare i capelli o non colorarli”. Un po’ vero. Un po’. Un po’ più libere. Fino ad un certo punto. Se non si è conformi ai modelli in Occidente non si rischia né di essere uccisi né di essere diseredati e cacciati da casa. Si rischia al più la solitudine, l’irrisione e il bullismo. Comunque qualche differenza c'è. E’ bene non rispondere alla faziosità para-razzista con la faziosità di segno contrario di chi nega ogni differenza. Infatti in Occidente quasi tutti (me compreso) siamo felici di non vivere in un Paese islamico pur relativamente tollerante che sia. Per quanto mi sforzi di entrare nelle ragioni dell’altro, mi è difficilissimo però prendere sul serio il secondo spregiudicato paradosso del divo Luttwak. Gli si fa notare che la civile America pratica spregiudicatamente la tortura: minacce di esecuzione, privazione del sonno, immersione in acqua per procurare panico da annegamento (waterboarding). Per conservare un minimo di stima sulla intelligenza di Luttwak avrei preferito una giustificazione del tipo: “Se anche una sola tortura è servita ad evitare un attentato terroristico, ben venga la tortura”. Un corollario possibile: “Comunque i sospettati non saranno certamente angioletti. O anche: “Al massimo ci saranno un paio di innocenti fra centinaia di torturati; pazienza”. Si sarebbe potuto contro-obiettare: “Ma questo scredita gli Usa, indebolisce la ragioni della democrazia e finisce per fornire alibi al terrorismo”. Sarebbe stato un utile dibattito. Niente di tutto questo però. Luttwak invece dice: “Non so se il waterboarding possa chiamarsi tortura. A queste pratiche vengono sottoposti i piloti americani. A scopo di esercitarsi al peggio in caso di cattura”. Mi assale il dubbio di averlo frainteso. Ciò che i piloti americani scelgono consapevolmente di subire in addestramento, sapendo – immagino – di poter in ogni momento dire stop, magari rinunciando a progressi di carriera , è davvero confrontabile all’arbitrio assoluto della tortura? Ma sì, ho capito bene. Luttwak ripete il suo spregiudicato concetto. Addestramento e tortura sono la stessa cosa. Come velo islamico e svastica. La ragione nel mondo si va appisolando.

martedì 9 dicembre 2014

IN MEMORIA DI LORIS: CHI DIFENDE I CUCCIOLI DELL'UOMO DALLA FAMIGLIA?


"Sono garantista, bla, bla, bla". "Aspettiamo di sapere, bla, bla, bla". Comunque non abbiamo protetto Loris. Eravamo occupati in altro. Anche io lo ero. Rispondere acutamente all'acuta provocazione dell'amico fb. Dividersi pro o contro il nulla del Jobs Act. Attaccare la Merkel che osa criticare l'Italia. E sciocchezzuole simili. Siamo impegnati a inventarci ricette per il lavoro, fingendo di avere ricette. La follia conquista le menti. Appare addirittura ragionevole pensare che scommesse, videogiochi, prostituzione (e anche guerre..) possono essere benedetti se "creano lavoro". E pare non ci venga in mente l'immenso lavoro di cura cui dovremmo chiamare legioni di psicologi, sociologi, educatori sessuologi. Quelli veri, da formare veramente. Non solo questo. Prima la fatica del pensare, dell'immaginare e del capire. Capire che è in atto il divorzio fra la famiglia come la abbiamo conosciuta e la vita disorientata fuori di essa, fra stimoli, seduzioni, valori incompatibili. Con l'infelicità invisibile di troppe donne, prive di aiuto in città amorfe che non vedono, non sanno e non aiutano.