sabato 26 febbraio 2011

2111. Memorie dell'Italia dei radical chic

I radical chic vissero a cavallo fra gli ultimi anni a.B. (prima dell’era berlusconiana, convenzionalmente coincidente con il 1994 d.C. , anno della discesa in campo) e i primi anni d. B. (dopo l’ avvento di Berlusconi). Il presente studio, a quasi un secolo di distanza dalla loro scomparsa, si fonda su materiali rinvenuti in salotti dell’epoca e nei luoghi tipici delle manifestazioni di questa curiosa tipologia umana (Piazza del Popolo a Roma, Piazza del Duomo a Milano, etc.).
Il look. Il loro aspetto era sciatto. Loro lo chiamavano “sobrio”. Portavano abiti ridicolmente semplici. Gli uomini: pantaloni, magliette, maglioni. Le donne: gonne al ginocchio, camicette. I colori erano quasi sempre tono su tono (beige chiaro e beige scuro, ad esempio). Gli uomini non si truccavano. Le donne si truccavano pochissimo.
Rifuggivano dalla chirurgia estetica. Le donne avevano quindi frequentemente labbra poco pronunciate e seni piccoli o cadenti.
Le pettinature erano senza fantasia. Non saprei dire se per provocazione o per un gusto malato. Le donne portavano capelli di lunghezza media, talvolta annodati a “coda di cavallo”; gli uomini li portavano più corti, se non erano calvi; anche i calvi osavano deridere la chioma del Grande Silvio.
Abitudini igieniche. Dovevano essere ossessionati da batteri e virus. Facevano la doccia almeno una volta al giorno. Si lavavano le mani dopo aver usato i servizi igienici: qualcuno – pare – anche prima, forse per evitare di infettarsi. Si profumavano con moderazione ostentata.
Studi e cultura. Coltivavano il dogma che le persone di maggior valore fossero quelle che perdevano tempo sui libri a studiare e nelle Università, prima che queste fossero cancellate dall’editto di Marina Berlusconi , come, nella vicina alleata Padania, da Renzo Bossi, il Magnifico, meritevole alfiere dell’analfabetismo militante.
I radical chic pensavano che si sarebbero dovuto conservare intatti monumenti e cosiddette opere d’arte. Non erano in grado di capire che tali politiche, trasformando in musei le città, sarebbero state di ostacolo allo sviluppo delle costruzioni ed all’occupazione.
Costumi e morale. Sostanzialmente monogami, erano inveterati moralisti. Benché inizialmente fautori del libero amore che insensatamente riconoscevano quale diritto da estendere al genere femminile, tradivano i partner con assurdi sensi di colpa. Quel che è peggio, combattevano colpevolmente pedofilia e prostituzione minorile ed ironizzavano sulla esemplare virilità di Silvio, invidiata e ammirata da uomini e donne del popolo. Pensavano invece di tutelare un presunto diritto all’amore degli omosessuali, categoria che infettava il paese prima di essere meritoriamente sterminata dal ministro Santanché junior.
In nome di qualcosa che chiamavano “legalità”, lanciavano anatemi contro la corruzione, malgrado questa pratica fosse, con ogni evidenza, insopprimibile motore dell’economia.
Classismo ed egualitarismo. Appartenevano prevalentemente alla classe media impiegatizia (insegnanti, tecnici), oggi, nell’era gloriosa del precariato universale, fortunatamente estinta, o a quella, a più alto reddito, degli odiosi intellettuali, artisti e comici di sinistra ( Eco, Saviano, Benigni, per fare qualche nome). Pur fingendo di parteggiare per la povera gente, questi ipocriti non disdegnavano, se potevano permetterselo, pullover di cashmere e gite in barche. Credo che da questo discenda l’appellativo infamante con cui li ricordiamo e che li marchierà per sempre.
Anche se cercavano di nasconderlo, erano chiaramente nostalgici del comunismo. Odiavano i miliardari e non comprendevano (o fingevano di non comprendere) che il lusso dei benemeriti ricchi era la principale fonte di lavoro di vasti strati popolari (cuochi, camerieri, escort, danzatrici di lap dance, spacciatori, etc.) .
Pensavano addirittura che le donne dovessero avere eguali diritti degli uomini. Le donne, a loro avviso, avrebbero dovuto realizzarsi nel lavoro e non solo nella cura di figli, mariti e anziani. Non si rendevano conto di violare le leggi naturali..
Politica e sovranità. Avevano un’idea curiosa della democrazia e della sovranità popolare. Pur riconoscendo che i partiti cui facevano riferimento rappresentavano solo minoranze, dopo essere stati battuti ripetutamente da Silvio con il 30% o il 40% dei voti, pretendevano di esprimere opinioni nei talk show televisivi. Lì venivano prontamente zittiti dai partigiani del popolo (Bondi, Cicchitto, Gasparri, La Russa, Sacconi, etc.) al grido di “Vergogna, vergogna: avete perso le elezioni!”. D’altra parte, quando si confrontavano con i loro avversari, cioè con le persone perbene, non interrompevano e non insultavano. Ascoltavano con attenzione. Probabilmente non avevano argomenti.
Dicevano di venerare un pezzo di carta che si chiamava Costituzione. Asserivano con improntitudine che le cose che vi erano scritte (non so da chi) erano più importanti della volontà popolare.

Prima di immetterlo in rete, consentitemi di dedicare questo studio a un Santo venerando, massima, fulgida espressione dei convertiti sulla via di Arcore: San Giuliano Ferrara, fondatore della Chiesa cattolica edonistica e poligamica.

mercoledì 16 febbraio 2011

Magistrati e donne

Quello che dirò non potrà mai essere condiviso (almeno ufficialmente) da un dirigente della sinistra e forse neanche da un magistrato. E poi, lo so, ci muoviamo sempre in un terreno difficile quando parliamo di questione femminile (tanto più se siamo uomini a parlarne), in bilico fra principio di eguaglianza e valorizzazione dello specifico di genere. Comunque vorrei dare un contributo affinché siano tenute vive le riflessioni che la "festa" del 13 febbraio scorso ha suscitato in tante direzioni.
Premetto intanto di non credere ad una magistratura impermeabile agli umori dell'opinione pubblica e tanto meno alle pressioni dei potenti: l'autonomia è un obiettivo, un orizzonte, non una conquista compiuta.
Il Gip, Cristina Di Censo, ha rinviato Berlusconi a giudizio, accogliendo la richiesta del Tribunale di Milano in cui notoriamente spicca l'iniziativa del Pm Ilda Boccassini. Giudici, se il processo non sarà dirottato verso il Tribunale dei ministri, saranno: Giulia Torri, presidente, e, giudici a latere, Carmen D'Elia e Orsola De Cristofaro. Su facebook cliccherei "mi piace". Non tanto perché creda che, in quanto donne, avranno un pregiudizio avverso all'imputato premier. E' quello che mostra di credere Gaetano Pecorella, giudicando "non felice" quella scelta dopo una manifestazione di un milione di donne contro Berlusconi. E' quello che sembra auspicare Famiglia Cristiana che parla di "nemesi". Certo è verosimile, se crediamo che in ogni professione, magistratura compresa, ci si porta dietro intera la propria umanità, identità di genere compresa, che il giudice donna (e magari madre) abbia in dote una accentuata sensibilità verso delitti quale la prostituzione minorile. Credo però soprattutto che, nella tensione fra diritto ed opportunità, interesse, condizionamento, i magistrati maschi sarebbero più deboli. Perché l'arte del compromesso, della mediazione, del "tener conto di.." è un'arte (e una debolezza) maschile che segna non solo la politica. Segna anche la magistratura. E infatti ritengo, esattamente al contrario di quanto ritiene il presidente del consiglio, che finora Berlusconi l'abbia fatta franca anche grazie all'arte dell'accomodamento (e talvolta alla disponibilità ad essere corrotti) esercitata da giudici uomini. Perciò se tre magistrati donne giudicheranno Berlusconi mi sentirò più tranquillo, da cittadino, che esse vorranno e sapranno cercare la verità. Appartengono a quella generazione di donne che ha dovuto superare pregiudizi ed affrontare fatiche supplementari, nello studio e nella carriera, anche se ormai, almeno in magistratura, è maggioranza. E credo che chi conquisti con fatica e merito un ruolo di prestigio istituzionale non sia disponibile a svenderlo per un piatto di lenticchie. Insomma le donne, insieme a mille handicap, oggi godono di questo vantaggio di posizione. Non fossimo stupidi dovremmo approfittarne noi uomini. Non ci sono state e non ci saranno in altre epoche condizioni analoghe per esaltare la competenza femminile. Poi le donne potranno - chissà - diventare come gli uomini. Qualcuna anche peggio. A qualcuna è già capitato. Intanto qualche performance maschile nel mondo del diritto che ruota attorno al premier la registriamo. Vedi la dichiarazione dell'avvocato Pietro Longo: "Tre donne nel collegio giudicante? Benissimo. Sono gradite e potrebbero essere gradevoli". Scusate. Debbo smettere necessariamente con il bon ton: ma si può essere più co.....?

sabato 12 febbraio 2011

Le vite degli altri, secondo Berlusconi e secondo me

Ormai sospettiamo di tutto e di tutti. Ho rivisto ieri in TV il bellissimo Le vite degli altri, emozionandomi come tempo fa al cinema. Ammetto di avere trovato sospetta questa proposta di RAI 2, come Santoro ad Annozero di giovedì 10 scorso. I cattivi nel film sembrano essere i comunisti e gli spioni della Stasi che intercettano le vite degli altri. Sembrano quasi gli avversari di Berlusconi, no? Lui stesso infatti con sospetto tempismo ha immediatamente suggerito l’analogia.
Come mai allora io, che, diciamo, non sono esattamente un seguace del premier, mi sono così emozionato e commosso alla visione del film? Come mai mi sono sentito confortato nelle mie convinzioni? Beh, anch’io ho pensato a Berlusconi. Solo non lo ho proprio confrontato alla vittima e alle vittime protagoniste di un film così coinvolgente. Il film è una denuncia spietata del clima oppressivo e conformista della Repubblica Democratica Tedesca. L’oppressore però non è la magistratura: è il partito, è il governo. La Stasi è al servizio di un ministro debosciato, non della magistratura che comunque immaginiamo non avesse grande autonomia dal partito e dal governo nella DDR. * E’ il ministro debosciato, avanti con gli anni, goffo nel suo amore frettoloso nell’auto pubblica, a disporre del corpo dell’attrice affascinante. Ne può disporre disponendo al contempo dei servigi dell’autista dell’auto di Stato (pensa un po’…). Può disporre di quel corpo solo in ragione del suo potere di premiare e punire, promuovere o spegnere una carriera. E può disporre della Stasi quel ministro perché trovi una colpa nello scrittore con cui non vuole più condividere la donna. Può alla fine quel potere senza controlli corrompere anche l’anima della donna, dopo averne sequestrato il corpo, inducendola a tradire il compagno. Insomma, gli amici del premier avranno promosso il film per suggerire Berlusconi vittima. Ma io ho identificato Berlusconi nel ministro sporcaccione e prepotente. Gli altri italiani hanno visto un altro film? Io mi sono sentito sollecitato a difendere la nostra Costituzione, quella vera, non quella “materiale” ed eversiva del premier. Mi sono sentito sollecitato a difendere l’autonomia della magistratura contro il totalitarismo e il dispotismo dei governi. *Con ragionamenti conseguenti peraltro il tentativo dispotico in atto mi sembra assimilabile al modello cinese, col partito unico (comunista? ) che amministra un capitalismo sfrenato, ancor più che al modello DDR dove almeno era presente l’alibi della sicurezza sociale dell’eguaglianza. Quando si dice eterogenesi dei fini! Chi ha proposto Le vite degli altri in TV pensava ad un manifesto pro premier. Io proporrei il film al movimento delle donne che domenica 13 manifesterà contro la prepotenza del potere che riduce la donna a cosa e la corrompe.

*Perciò, andando contro corrente, apprezzo come contributo alla chiarezza l’intenzione annunciata dal premier di far causa allo Stato. Forse contro le sue intenzioni, chiarisce almeno che Stato e governo sono cose diverse. Sembrava che il presidente del Consiglio si considerasse padrone dell’uno e dell’altro.

P.S. Nel proibire la proiezione a Parla con me dei minuti conclusivi del Caimano di Moretti gli amici del premier sono stati più bravi. In effetti l’aggressione della folla contro la magistratura che ha osato condannare il caimano ha il sapore di una profezia e quella guerra civile è l’asso nella manica di un premier disperato, la minaccia latente che tutti dobbiamo sentire. Non dobbiamo rappresentarla però e Moretti l’ha rappresentata rendendo il re nudo e noi un tantino più consapevoli. Un bravo di cuore a quelli che hanno tagliato la scena. La DDR è più vicina.

venerdì 11 febbraio 2011

La riforma dell'articolo 41: il manifesto dei barbari

Articolo 41
L’iniziativa economica privata è libera.
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recar danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana.
La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
Il “progetto” di riforma costituzionale dell’art.41 della Costituzione è chiaramente un manifesto ideologico: una battaglia che si sa perduta in partenza ma che serve a vincere la guerra della conquista dei cuori, insomma del consenso e della costruzione di un nuovo senso comune. La destra berlusconiana, non si è mai riconosciuta nella nostra Costituzione, sofferta come una bardatura in conflitto con l’investitura popolare del capo. E’ la destra di quel tale che qualche anno fa all’esterrefatto Fausto Bertinotti che aveva parlato dell’assassinio dei fratelli Cervi diceva con grande apertura: “Voglio proprio incontrare il papà di quei poveri ragazzi” mentre l’esterrefatto leader della sinistra gli suggeriva sommessamente: “Ma è morto trent’anni fa”. E’ una destra estranea alla Costituzione e alla Resistenza che ne è la radice. Già lo scorso anno esponenti del Pdl, Brunetta in particolare, avevano lanciato messaggi “rivoluzionari” denunciando l’enfasi retorica ed arcaica della Carta costituzionale, financo nel suo art.1. Avevo preso sul serio quei messaggi, discutendone due volte sul mio blog, a gennaio e giugno dello scorso anno.
L’Istituto di ricerca Demopolis (l’abbiamo sentito lo scorso martedì 8 a Ballarò) segnala che solo il 5% degli italiani sa qualcosa dell’art. 41. Brutto dato che mi conforta in quanto mi capita spesso di affermare: la priorità da assegnare in una riforma del sistema di istruzione alla conoscenza (vera, non quale sterile filastrocca) della nostra Costituzione. Peraltro un episodio di mercoledì 9 a Otto e mezzo conferma che anche fra i più prestigiosi parlamentari la Carta non è proprio familiare. Cicchitto parla dei tre commi dell’art. 41. La “nostra” Finocchiaro lo corregge severa: “sono due i commi”. Cicchitto prova ad insistere, ma non è molto convinto e alla fine desiste. (Bel paradosso: proprio la volta in cui “the others” hanno ragione battono in ritirata).
Nella dichiarazione/interrogazione presentata per il PD da Ceccanti ed altri (Ichino fra gli altri) si segnala nitidamente la strumentalità dell’operazione governativa. Provi a dire il governo in quali casi le liberalizzazioni che dice di voler realizzare sarebbero state inibite dall’art. 41. E il PD incalza con 41proposte di liberalizzazioni. Io magari, impegnando solo me stesso, annoterei con rammarico la – ahimè - insufficiente incidenza dell’articolo in questione nel prevenire danni “alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” o nell’indirizzare “a fini sociali” l’attività economica. Come ricorda la dichiarazione/interrogazione del Pd, nell’art. 41 – e in tutta la Carta - si confrontarono e trovarono sintesi le due grandi correnti della Costituzione, quella cattolica liberale e quella socialista (il Dc Taviani e il socialdemocratico Ruini, nella circostanza). E, mi pare voglia sottolineare il documento Pd, di fatto la prima corrente ha prevalso nelle interpretazioni . Sull’opportunità della semplificazione e sull’inopportunità di una riforma costituzionale argomenti sono nel pezzo di Nicola Rossi su Italia Futura. Di segno diverso è il pezzo su L’Occidentale che propongo come esempio di un diverso sentire..
Si dice di voler spostare i controlli a posteriori (dopo che i buoi sono scappati?), consentendo l’avvio di impresa con procedure di autocertificazione. Ovvio che lacci inutili inibiscano l’attività imprenditoriale. Va sottolineato però “inutili”. Il controllo preventivo su sicurezza e ambiente mi pare che poco abbia a che fare con le duplicazioni di funzioni, i troppi sportelli, le costose vischiosità notarili.
Su quale senso comune fa leva il governo? A quale blocco sociale strizza l’occhio? Il ritorno del discorso sul piano casa è un chiaro esempio. In un paese che già possiede una metratura media per abitante sproporzionata si ripropone cemento aggiuntivo. Si fanno così felici o si rassicurano gli imprenditori dell’edilizia e dell’abusivismo e i disperati delle periferie degradate e illegali. E’ l’ideologia velenosa del “lavoro comunque” che la crisi fa penetrare anche a sinistra. Se prevalesse bruceremo foreste per fare uova al tegamino, come nuovi barbari faremo del Colosseo una cava per edificare discoteche e sale di gioco. Ci troveremo impoveriti, immemori di essere stati abitanti del paese della bellezza e dei viaggiatori. Non con più occupazione ma con un’occupazione fondata più sulla manovalanza clandestina e sempre meno sul lavoro qualificato.
1. http://rossodemocratico.ilcannocchiale.it/2010/01/10/se_vincesse_brunetta.html
2. http://rossodemocratico.ilcannocchiale.it/2010/06/18/lucchetti_e_la_nostra_vita_ill.html
3. http://ceccanti.ilcannocchiale.it/2011/02/02/art41_governo_spieghi_quali_li.html
4. http://beta.partitodemocratico.it/doc/203226/professioni.htm
5. http://www.loccidentale.it/node/102175
6. http://www.italiafutura.it/dettaglio/111202/una_scossa_ad_effetto_ritardato?utm_source=newsletter&utm_medium=email-dol&utm_content=link-nl&utm_campaign=liberiamo-imprese-201102010

giovedì 3 febbraio 2011

Cuffaro, Socrate e le leggi

Si continua a parlare dell’esito della vicenda Cuffaro. Confermata in Cassazione la condanna a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato alla mafia, l’ex presidente della Regione Sicilia, che aveva trascorso una mattinata a pregare in attesa della sentenza, non attende i cinque giorni disponibili per consegnarsi. Si consegna subito ed entra a Rebibbia, dopo aver dichiarato: “Adesso affronterò la pena come è giusto che sia. Questo è un insegnamento che lascio come esempio ai miei figli”. E ancora: “Sono stato un uomo delle istituzioni; la magistratura è una istituzione, quindi la rispetto anche in questo momento”. Poi in cella confiderà di sentire il bisogno di chiedere scusa ai siciliani.
Spiazzato il centrodestra per la reazione di Cuffaro che appare un’oggettiva provocazione rispetto all’atteggiamento del capo. Carlo Giovanardi è “allibito” ed esprime “sconcerto e preoccupazione per la condanna”.
Per Calogero Mannino la sentenza è “sproporzionata”. L’affermazione è culturalmente più sgradevole di quella di Giovanardi che ovviamente allude al solito complotto. Mannino invece esprime lo stupore tipico della “gente bene” (si fa per dire…) quando viene colpito uno che non si sporca le mani come un volgare scassinatore.
Gli umori prevalenti a sinistra e fra i “legalitari” non sono particolarmente elogiativi per il comportamento di Cuffaro. Come incisivamente scrive un avvocato ad Augias (la Repubblica del 26 gennaio) egli si è comportato esattamente come il 99% dei condannati che vanno in carcere senza inveire contro i giudici comunisti. E non capisce l’avvocato come il presidente della seconda sezione penale della Cassazione che aveva giudicato l’imputato possa giudicarne “meritevole” l’atteggiamento. Certo, dice, è segno di “tempi burrascosi per la giustizia”.
Di segno diverso la dichiarazione di Rita Borsellino, sconfitta da Cuffaro alle regionali del 2006:”Rispetto per come, a differenza di altri politici, ha affrontato il processo e non si è sottratto alle conseguenze, anche se sono gravi i crimini commessi.”
E’ chiaro che il sottinteso è sempre “lui”. La reazione di Cuffaro non piace ai berlusconiani perché è troppo diversa e troppo facilmente paragonabile, per contrasto, a quella del capo. La sinistra invece tende a sminuirne il significato – cosa ovvia, cosa doverosa, cosa normale – proprio per accentuare l’anomalia berlusconiana.
Io non credo che la reazione di Cuffaro, oggi 2011, fosse così scontata. E’ scontato che il 99% dei condannati vada in carcere senza inveire contro i giudici. Perché un “normale” candidato dovrebbe farlo? Chi ascolterebbe il suo grido di dolore? Cuffaro però, politico ormai allontanatosi dal partito di Casini in direzione Berlusconi, avrebbe avuto un’autostrada aperta denunciando nequizie, parzialità, etc. Avrebbe ricevuto conforto e solidarietà ribadendo la presunta innocenza. Non ha scelto la strada più facile. Sono portato a credere che sia stato sincero sia nel riferimento all’esempio verso i figli che nell’ossequio alle istituzioni. Aggiungo che l’apprezzamento per un gesto dell’avversario politico sta diventando sempre più raro nel popolo della sinistra (più che nei vertici, voglio dire). La risposta più frequente nell’Italia bipolare è l’indifferenza e la diffidenza. L’ho verificato, ad esempio, quando ho scritto della conversione di Fini e del suo rigetto del fascismo e del berlusconismo 1); allo stesso modo discutendo della conversione della Carfagna riguardo l’iniziale omofobia 2). Nell’un caso e nell’altro ricevendo prese di distanza e garbate critiche dagli amici. Continuo nondimeno a credere che modelli “alti” e difficili – la democrazia, la legalità - si impastino nell’animo umano con i modelli del tornaconto. Quando i primi prevalgono, magari per un momento, dovremmo compiacercene. Il tornaconto è tutto sommato la scelta più facile ma non necessariamente più utile ad una tutela degli interessi più profondi della propria identità che sono suggeriti da quel qualcosa che Socrate chiamava dàimon, spirito quasi divino, Kant imperativo categorico, altri coscienza, io semplicemente intelligenza (quell’intelligenza che indirizza l’egoismo verso percorsi più sofisticati che non la tutela del proprio denaro e del proprio potere).
Nel Critone Platone narra il dialogo fra Socrate e l’allievo che tenta di persuaderlo alla fuga dal carcere per sfuggire all’ingiusta condanna a morte attribuitagli per aver corrotto i giovani criticando le divinità della città e introducendo nuovi dei. Critone ha peraltro la certezza della corruttibilità del carceriere. Socrate replica a Critone immaginando le Leggi e lo Stato che contesterebbero di essere state calpestate e rese vane dall’imputato che si fosse sottratto alla sentenza. “Non devi a noi il matrimonio dei tuoi genitori, la tua nascita, la tua educazione?” domandano le Leggi “E se lo Stato ti manda in guerra ad essere ferito o ucciso, ha ragione di farlo?”. Insomma le Leggi spiegano a Socrate e questi a Critone che non è lecito ribellarsi solo perché un tribunale le ha malamente applicate. L’inosservanza costerebbe la dissoluzione di un bene più grande di una vita umana, la dissoluzione dello Stato. E poi quale vantaggio ne avrebbe Socrate? Prolungare malamente una vita ormai al finire, inviso e non credibile alla città che dovesse ospitarlo? Essere accolto nell’Ade come uomo ingiusto? Lasciare ai figli l’eredità di una vita macchiata dal disonore?
Non c’è in Socrate opposizione fra felicità personale e osservanza delle leggi. Diciamo piuttosto che la scelta di chi si sottrae alle leggi gli appare il risultato di un calcolo miope che sopravvaluta la vita come tale e sottovaluta l’eredità che lasciamo con una vita ben spesa.
Non so se Cuffaro abbia mai letto Il Critone. Mi sembra probabile lo abbia letto, magari un po’ prima di finire invischiato nella seduzione del potere e del consenso clientelare che non si arresta davanti ai patti con le cosche. In ogni caso è stato formato da educatori che lo avevano letto o che a loro volta avevano avuto maestri che lo avevano letto.
Non so se Berlusconi lo abbia mai letto. Propendo per il no o che non lo abbia capito o che abbia avuto maestri di furbizia che gli insegnavano l’uso del bignamino per superare l’esame. Non ha avuto maestri di felicità che gli insegnassero a irridere alla bulimia di vita che si accompagna alla stolta furbizia.


*http://rossodemocratico.ilcannocchiale.it/2010/08/05/fini_becket_e_il_suo_re.html

**http://rossodemocratico.ilcannocchiale.it/2010/05/20/mara_carfagna_e_il_fascino_del.html