martedì 16 giugno 2020

Picconare la Storia è Storia


Il revisionismo storico, nella sua accezione più larga, c'è sempre stato. In genere procede a piccoli passi. Molto piccoli. E passa molto tempo prima che la revisione degli storici diventi nuovo senso comune. Scoprii all'Università con la Storia Romana di Santo Mazzarino che Nerone non era stato il depravato imperatore romano che diede fuoco alla città, come avevo appreso al Liceo e come tutti ritenevano o ancora ritengono. Era stato invece l'imperatore che più efficacemente favorì la plebe. Con una riforma monetaria che deprezzò l'oro e valorizzò la moneta di bronzo. Colpa imperdonabile per i senatori-storici. Con ciò che ne conseguì, in attesa di nuovi storiografi critici e in attesa che i nuovi saperi conquistino le menti comuni.
La furia iconoclasta e la damnatio memoriae non sono cose nuove. Statue di imperatori e di santi divelte, in ogni dove, da fedi contrapposte a fedi. Non molto tempo fa ci siamo indignati per la distruzione delle statue del Budda ad opera dei talebani. Si sono indignati anche quelli che oggi abbattono altre statue. Ora c'è lo schiavista negriero, Edward Colston, a Bristol, che ebbe una statua – ora abbattuta e buttata a mare- perché benefattore della sua città. Poi ci fu il sovrano belga Leopoldo II e Churchill e addirittura Colombo . Erano colonialisti. Anche se il secondo guidò il Regno Unito nella vittoria contro il nazismo ed il terzo congiunse l'America al resto del mondo. Prima dell'omicidio di Minneapolis recentemente il politicamente corretto in Italia e nel mondo aveva colpito soprattutto per colpe sessuali. Oggi Montanelli, pedofilo disinvolto, disinvolto perché "con le bambine nere è normale" e che però era un grande giornalista. Prima ci furono Polansky, Allen, etc. Di infamia politica fu colpito Pound. E sempre si ricorda che Caravaggio fu un assassino. Pochi geni si salvano dall'infamia.
A me pare che ogni generazione giudichi il suo passato, che abbia il diritto di farlo e che sia bene che lo faccia. Peggio sarebbe l'ignoranza della Storia e l'indifferenza. Insomma simpatizzo più coi ragazzi che hanno imbrattato la statua in memoria di Montanelli a Milano che con quelli perduti fra birrette ai Navigli. Conoscere la Storia significa anche comprendere che era normale per l'epoca che Montanelli avesse rapporti con una dodicenne (o quattordicenne) africana. Normale come fu normale ancora dopo che le donne non votassero e ancora l'altro ieri che non potessero essere magistrate. Come fu normale lo sconto per il “delitto d'onore” e il matrimonio riparatore. “Normale” però non vuol dire “giusto”. Significa solo consono alla cultura del tempo. E' normale e giusto invece che oggi giudichiamo ed esecriamo la Storia di ingiustizie e violenze che ci precede e che ci accompagna ancora. Pur sapendo che per quelli prima di noi era difficile liberarsi della cultura del proprio tempo. Lo era anche per i santi: Paolo che aveva uno schiavo, Cirillo che ispirò la lapidazione dell'atea Ipazia. Che fare allora? Le alternative sono queste:
1. Rispettare la Storia. Ovvero lasciare le statue come sono e dove sono.
2. Fare una nuova Storia. Ovvero abbatterle.
3. Contestualizzare. Ovvero conservare la narrazione infame accompagnandola con una contronarrazione coerente con i nuovi valori. Sia musealizzando le statue ove possibile (vedi parco dell'era sovietica a Budapest), sia opponendo in loco targhe e narrazioni che esprimano la nostra etica contemporanea e democratica. Contro le polarizzazioni faziose che alimentano social e media, è la linea che propone Michele Serra, ispirata all'idea di Banksy, il geniale artista di strada dall'identità ignota, che vorrebbe il ripescaggio della statua di Colston, circondata però da sculture che narrino l'evento della sua demolizione.
P.S. Prepararsi al giorno in cui gli storici rileggeranno radicalmente i nostri giorni e nessuna statua si salverà dal furore lucido dei nostri nipoti contro gli avi perché nessuno ebbe l'intelligenza ed il cuore per rifiutare l'esistenza dei senza tetto, come ieri nessuno rifiutò la schiavitù.

venerdì 5 giugno 2020

Dove sto? Con chi sto?


Se dovessi tentare di dire tutto ciò che penso ovvero i miei dilemmi, la mia difficoltà a leggere, interpretare e dire la complessità come la sento, i miei post sarebbero illeggibili. Dovrei premettere un "forse" ad ogni cosa che dico. Sono sicuro solo di questo: se non si sceglie la guerra di tutti contro tutti, non esiste diritto alcuno ad essere titolari di felicità, per il luogo in cui si è nati o per chi ci ha generati. Credo invece che abbiamo tutti eguale diritto alla felicità. Tutti la stessa felicità e tutti il massimo possibile. Ma qui è già il problema: nel rapporto fra eguaglianza e massimo. Quelli che la pensano diversamente da me, a Destra, ritengono che il “massimo” sia incompatibile con l'eguaglianza. La competizione e l'ineguaglianza – dicono - producono il massimo medio (Pil pro-capite e felicità pro-capite). A Sinistra spesso entro in conflitto con chi invece ritiene l'eguaglianza il solo obiettivo, a maggior ragione se intende solo l'eguaglianza economica e mette fra parentesi malattia e salute, solitudine e solidarietà. Ma il conflitto è anche nella frequente indifferenza al quanto. Per semplificare, indifferenza all'efficienza, alla produttività che io invece voglio inglobare nell'orizzonte socialista. Anche la scelta della “decrescita felice” per me richiede efficienza: per combattere spreco e per contenere, se si vuole, il tempo del lavoro e della fatica. Invece efficienza e austerità sono state categorie consegnate alla Destra, la prima da esaltare, la seconda da squalificare.
Sotto sotto l'eguaglianza predicata dai miei interlocutori a sinistra è spesso eguaglianza solo dei nostri simili: occidentali, ceto medio garantito. Perciò c'è talvolta in loro un eccesso di realismo ovvero di arrendevolezza sui diritti e i bisogni degli altri, migranti, senza tetto, disabili, deboli in genere. L'impegno pare essere quello di tenere saldi i nostri diritti di occupati dipendenti (l'art. 18 è l'esempio più facile): gli altri vi accederanno un giorno, quando lavoreranno, se lavoreranno. Intanto ricevano la nostra simpatia e la nostra sterile solidarietà. La ridefinizione delle protezioni in senso universale è cosa che i garantiti di sinistra guardano con sospetto. Anche se molti (o alcuni), che si dicono comunisti auspicano la Rivoluzione che cambierà tutto. Auspicano e basta. Non credono veramente che avverrà né sanno quale contributo dare al suo avverarsi. Sono paghi di insultare i fascisti, inveire contro i padroni ed i politici senza falce e martello. Nient'altro. Sono paghi di avere ragione. Non posso stare con loro. Io tengo fermo l'orizzonte della massima felicità universale, con strumenti che da subito combattano il dolore e trattino ogni uomo come fratello e con narrazioni persuasive.

Non sprecare la crisi


Soprattutto nuovi disoccupati. Ma anche pensionati medici che tornano al lavoro, specializzandi che il lavoro lo anticipano, la proprietaria di boutique che spera di trovare un lavoro da puliziera, quelli che facevano motori che ora fanno mascherine, operatori di call center che ora raccolgono fragole, variamente abilitati della scuola che troveranno posto nelle aule - concorso o no - perché la pandemia - come già prima , ma inutilmente, l'efficacia didattica - suggerisce piccoli numeri. Insomma la pandemia ci fa scoprire che è troppo vecchio e sbagliato il paradigma "prima studio, poi lavoro, poi pensione". Pare lo abbia scoperto anche Landini che ora parla di formazione permanente come il compianto De Mauro. Ed è sbagliata l'idea di una carriera solo ascendente. Ed è sbagliato avere un solo profilo professionale. Domani avremo patenti multiple e costellazioni certificate di competenze. Se avremo anche l'appropriazione collettiva degli strumenti di produzione, potremo dire di non avere "sprecato la crisi".