venerdì 29 settembre 2017

La politica e l'amicizia


Essere stato “bannato” da una “amica” non mi ha sconvolto. Era una “amica” con virgolette o poco più. Lo stesso io per lei. Un po' più di una “amica” fb, perché a differenza di ciò che avviene (o non avviene) quasi sempre su facebook, in questo caso ci eravamo incontrati, ci eravamo sentiti al telefono, avevamo progettato gite insieme. Lo dico perché anche lei lo ha pubblicamente ricordato. Non sono sconvolto, dicevo. Sono perplesso e sollecitato a rimuginare su cosa significhi “amicizia”. Questo abbozzo di amicizia è stato bruciato dalla politica o da cosa? So bene che oggi l'alternativa “Minniti o Strada” divide quanto ieri quella “Renzi o Bersani”. Tempo fa bannai un “amico” facebook che mi aveva mandato letteralmente a quel paese per una mia critica (non insolita) a Renzi. Ero rimasto di sasso perché c'era stato un dialogo personale intenso fra noi. Eppure...Da allora ogni tanto sono indotto a pensare che forse non si può essere amici se non si condivide simile visione politica. E, dal suo punto di vista, bene aveva fatto quell'amico a mandarmi al diavolo se sentiva Renzi come spartiacque fra il bene ed il male. Per lui mi ero rivelato una forza ostile al suo mondo e ai suoi sogni. Altro che amico... Aveva ragione. Forse. Dico “forse” perché d'altra parte ricordo a me stesso che fra i miei più intimi amici il più intimo è il mio ex compagno di banco al Liceo. A lui “affidavo” (erano altri tempi...) la mia ragazza (ora mia moglie) quando ero lontano. Eppure politicamente eravamo assai divisi. Lui sempre a destra. Io sempre a sinistra, pur con i miei ondeggiamenti e tormenti. Lui berlusconiano, poi renziano e solo ora quasi vicino al mio mondo politico. Cosa è questa benedetta amicizia? Forse il bisogno di condivisione, il dialogo e la condivisione di emozioni, paure, desideri,speranze. Mai però una condivisione totale che ci renderebbe l'uno doppione dell'altro, reciprocamente non interessanti. Forse la politica può essere messa fra parentesi. Addirittura riconosciuta come ininfluente rispetto al condividere il gusto di un cannolo di ricotta, di un caffè, uno con tanto zucchero e uno senza, e ragionarci futilmente su. Beh, sì. Sto scoprendo che per me la politica non è la cartina di tornasole con la quale distinguere amici e no. Sto scoprendo che la politica è un'altra cosa e che la condivisione politica è solo una delle possibili fonti di amicizia. Sto scoprendo che facebook è occasione di amicizia e di distruzione di amicizie. Quando per ragioni che non saprei dire il nostro Io non tollera di essere contraddetto: su Minniti, Bersani e, più raramente, su una ricetta di pesce.
P.S. Ho fatto leggere il post a mia moglie, soprattutto per sapere se la disturbava la mia espressione “affidavo la mia ragazza” (cioè lei). Non la disturba. Capisce bene che rappresentavo la cultura di un'epoca lontana. Meno male. Un fraintendimento in meno.
P.S. 2. Ho scritto “forse” più volte. Sono ancora in fase di ricerca. E dubito abbastanza che benvenuti commenti riescano a farmi capire. Ma chissà...

sabato 23 settembre 2017

A proposito di Emma Bonino: "compagno/a", cioè...


L'altra  sera, dopo Mia Martini a Techeteche, ho seguito l'intervista ad Emma Bonino a Piazza pulita. Mi è sembrata stanca. Mi è sembrata pessimista. Mi è sembrata la solita Bonino. Che dice quel che pensa, al di là delle convenienze. Che pensa bene quel che dice. La sua è stata una requisitoria contro il larghissimo fronte dei propugnatori del respingimento: da Salvini, coi nuovi fascisti, fino a Minniti. Quest'ultimo incluso nella lista, pur con tono sommesso. Forse perché Bonino, come me, pensa che anche i toni contano. Quel che sta avvenendo, secondo Bonino, è di contenere gli sbarchi anche a costo di aumentare i morti: o in mare o nelle carceri libiche. La Libia inaffidabile più della Turchia che almeno ha una sola autorità La Libia in preda al'economia del malaffare e delle bande che intrecciano o alternano il business delle carrette del mare con quello del contenimento degli invasori disperati in cambio di denaro. E poi contrabbando di petrolio, droga, armi, etc. La Libia come "tappo" per togliere dalla nostra vista ciò che non vogliamo/sappiamo affrontare. Le soluzioni? Innanzitutto a casa nostra, sottolinea Bonino. Ad esempio impegnando gli 8000 Comuni italiani a far tutti la loro parte nella buona accoglienza. Tutti non 2000 come oggi. E quindi l'Europa. E infine "aiutarli a casa loro" con coerenza e con l'impegno di due generazioni, se non tre..Ascoltando quella che avrei voluto, dopo la diversissima Tina Anselmi, al vertice dello Stato, sento come di dover giustificare la mia vicinanza a lei e la lontananza da molti che oggi si definiscono "compagni". Mi sento filologicamente "compagno", se "compagno" è chi vuole che il pane sia condiviso: "cum-panis". Anche Emma vuole questo. Pane condiviso con tutti gli umani. Magari, da "liberista", lei non auspica che si divida il companatico. Ma troppi "rossi, anti- liberisti vogliono che si divida pane e companatico entro il confine nazionale. Allora, da socialista, preferisco Bonino a Trump, May, Minniti e anche rossobruni vari. 

martedì 19 settembre 2017

Diritto a sinistra


Faccio fatica a seguire il dibattito a sinistra del Pd. Non capisco alcune cose. Non capisco perché si parli di partito o lista di centrosinistra. Ma il centro o il centrosinistra non c'è già? Alfano, Pd o giù di lì? Forse si vuole rassicurare che non sarà una “cosa rossa”. A me, da radicale ragionevole, pare che la “cosa” debba dichiararsi ed essere di sinistra. Dire e proporre cose chiaramente di sinistra. Puntare a prendere tutto (vocazione maggioritaria?) e, se non si prende tutto, allearsi responsabilmente con i meno lontani per governare. Soprattutto a ragione di una legge elettorale proporzionale. Non credo che i cittadini sentano bisogno di una forza moderata (nel senso di scolorita). Non credo che si vinca al centro. Credo si possa vincere con parole d'ordine forti: quelle che possono mobilitare precari ed esclusi. Io oserei dire: “Nessuno sia più sprecato”. Tutti al lavoro, con la leva pubblica. Tutti. Per rispondere ai bisogni del Paese che sono sterminati: l'istruzione per tutto l'arco della vita, presidi sanitari capillari, cura degli anziani e dei meno dotati, officina nazionale di restauro della bellezza italiana, prevenzione dei disastri ambientali con messa in sicurezza del territorio. Parlerei di introdurre, con il lessico di Enrico Berlinguer, “elementi di socialismo”. Magari chiamerei “Democrazia Socialista” la formazione che aspira a cambiare davvero il Paese.
Direi questo: da realizzare in una legislatura o almeno da avviare inequivocabilmente in una legislatura. Non perderei fiato in un antirenzismo ormai inutile e di maniera. Né direi pavidamente, come qualcuno a sinistra fa: “un po' di questo e un po' di quello”, un po' di consumi, un po' di lavoro in più. Gli esclusi non si consolano perché c'è un escluso in meno (e domani nuovamente uno in più), se restano nella quota sfortunata e non c'è la certezza che si va nella direzione “disoccupazione ed esclusione zero”. Direi chiaramente come si acquisiranno le risorse, a partire da una fiscalità a forte progressività. Non direi parole stupide ed acide come “anche i ricchi piangano”. Sorriderei ai ricchi spiegando che toglieremo loro l'adipe superfluo e malsano e saranno più felici in un Paese non più frustrato, impotente e incattivito. Dovrei annunciare anche le cose ovvie che si promettono e non si fanno. E che infatti è difficile nominare: lotta agli sprechi e ai privilegi, non solo dei benedetti politici, ma nelle Università, negli Ospedali, nelle nomine e nelle consulenze. Cose che non si fanno anche perché la competenza e la passione alla guida di progetti sono normalmente surrogati da trame amicali, spiegherei. Infatti facce credibili servono, soprattutto in una fase di transizione in cui l'identità partitica deve faticosamente riconquistare credibilità. Facce e parole con la bussola visibilmente orientata a sinistra.

sabato 16 settembre 2017

Nessuna paura della verità


Io mi sento antirazzista, malgrado...Ripudiando come cosa sciocca il razzismo (oltre che spesso criminale), non avverto alcun bisogno di nascondere agli altri e a me stesso la verità. Non mi salta in mente di partecipare ai giochi gladiatori fra chi vuole linciare livoriani e neri violenti e stupratori e chi obietta che i due celebri carabinieri non sono migliori. Non mi salta in mente di rilanciare le statistiche che spiegano che la violenza è più italiana che straniera. Perché in percentuale è più straniera che italiana. Sono razzista se penso che essere stranieri deprivati di diritti e servizi espone maggiormente al rischio di diventare criminali e stupratori? Sono razzista se sono propenso a credere che con maggiore probabilità fossero stranieri gli sconosciuti inseguiti entro il cortile del mio condominio stanotte e che fosse straniero senza casa e diritti lo sconosciuto che giorni fa ha lasciato sgradevoli tracce biologiche nei pressi della mia cantina? Lo escludo. Sarei razzista se pensassi ad un dna specifico dei migranti. Sarei razzista se pensassi che i neri non sono integrabili. Invece credo alla educabilità di ogni essere umano. Sarei stupido però se negassi l'evidenza. Non è negando l'evidenza che la sinistra e la visione di un mondo di eguali possono essere vincenti. Negando l'evidenza semplicemente si diviene non credibili. Questo penso nel mio esercizio di igiene mentale.

Democrazia e disarmo nucleare

Premetto che detesto i dittatori, soprattutto i figli e nipoti di dittatori come l'incredibile Kim Jong-un. Li detesto più dei presidenti da operetta eletti da una democrazia che si dà come un numero al lotto un Trump voluto dalla minoranza degli americani fortunosamente distribuiti negli Stati Usa.
Ciò detto, se il mondo non esplode domani, impieghiamo queste ore per pretendere il disarmo atomico generale subito. I trattati di non proliferazione non bastano più a salvare il mondo. Non sono credibili. Non è credibile il "noi sì, tu no". Dopo le litigate sul nulla assoluto, impariamo la democrazia e chiediamo l'impossibile. Il realismo ci ha condotto alle soglie del disastro.

venerdì 8 settembre 2017

Quale militanza


Nella ricerca di un ruolo minimo ma decente nel confronto civile, parto dall'assunto che sono inadatto alla politica. Assolutamente inadatto alla politica del tempo presente e comunque abbastanza alla politica in genere. Credo di aver capito che in politica non si possa essere sinceri, non troppo almeno. Se si sposa una causa o si sposa un leader (che oggi sostituisce la causa), militando, non è pensabile tradirla o tradirlo dicendo in pubblico che il leader sta sbagliando in qualcosa. A meno che non si tratti di un dettaglio da niente. In tal caso riconoscere l'errore serve ad essere più credibili. Viceversa non si può mostrare apprezzamento per qualcosa dell'avversario. Direi addirittura che non si può pensare - e non solo dire - alcunché di divergente. Perché senza intima convinzione è troppo difficile convincere simulando. Alcuni sono bravissimi ad auto-convincersi. Io no.
Ieri a In Onda sentivo Giorgia Meloni. Il Ministero dell'Interno aveva diffuso dati sull'incidenza degli stranieri nella criminalità a sfondo sessuale. l dati dimostrano che delinquono più gli italiani. Bella scoperta, osservava Meloni. In proporzione alla popolazione i delitti degli stranieri immigrati (nordafricani in particolare) sono assai più numerosi. Inappuntabile. Non mi distinguerei da Giorgio Meloni su questo. Anche se i miei amici e compagni di sinistra – i militanti – mi rimprovereranno. Mi distinguerei e mi distinguo da lei sulle cause e sui rimedi. Ecco, penso che alle spalle della politica militante qualcuno debba esercitare studio e ricerca per contribuire ad un progetto credibile di governo. Senza timore di recepire frammenti di verità dell'avversario.
Il giorno prima, ancora sulla 7, Bersani, che mi è simpaticissimo e che probabilmente voterò in assenza di meglio, diceva cose popolari ma per me inaccettabili. A proposito della rivoluzione informatica e robotica che sottrarrebbe lavoro. La proposta conseguente sarebbe ridurre gli orari di lavoro. Vecchia storia luddista. Sembra evidente. Ma è una balla per me. Se fosse vero che il progresso della tecnica produce disoccupazione, dalla prima rivoluzione industriale ad oggi l'occupazione sarebbe del dieci per cento, se non zero. La tecnologia sposta l'occupazione da un settore ad altri nuovi. E' importante riconoscerlo per una sinistra radicale, ma responsabile e di governo. Si rischia diversamente l'impoverimento generale in cambio di niente. Per me la soluzione è il Socialismo, non il luddismo. Tutti al lavoro (che è non è una torta standard da dividersi in competizione, ma è smisurato, con tante cose da fare, con tanti bisogni cui rispondere). E governo collettivo delle tecnologie.
Ho fatto due esempi. Discutibili. Non sono gli esempi il punto. Il punto è però quel che prima suggerivo. Alle spalle della militanza e del tifo politico serve un impegno della ragione. Serve militare nella produzione di un nuovo sostenibile senso comune, oggi purtroppo impensabile. Preferirei dedicarmi a questo piuttosto che agli applausi a Bersani o Pisapia. Peraltro penso che ci avviciniamo alla democrazia reale quanto più si accorcia lo spazio fra ciò che sentiamo vero e ciò che è utile dire.