sabato 30 gennaio 2016

Il mio abbraccio a Francesco Nuti, come in uno specchio


La notizia mi procura una tristezza senza pari che cerco di spiegare a me stesso. Francesco Nuti, malato e non autosufficiente, seviziato dal suo badante. Forse questo dolore intenso è particolamente egoistico. Cioè direttamente causato dal mio immedesimarmi in Francesco.A ragione dei rischi personali ai quali dovrei, per età, cominciare ad abituarmi. Ho però anche la certezza che questa storia è eguale a tante altre. Di non autosufficienti verso cui si scatena la vile cattiveria che infesta i cuori di quest'epoca. Storie di torture e violenze che si consumano, quasi sempre ignote, fra le pareti domestiche,verso invalidi, bambine e bambine, donne. O anche nelle carceri o nei posti di polizia. Penso che sceglierei di morire sotto un bombardamento, nemico o amico, o per l'esplosione di un kamikaze, piuttosto che subire violenze gratuite, essendo incapace di denunciarle. Poi, nel caso di Francesco Nuti, c'è una nota aggiuntiva e forse non condivisibile. L'uomo che era famoso, corteggiato ed applaudito ridotto così. La convinzione che non si può capitalizzare in nessun modo la propria sicurezza e la propria dignità. Ancor meno condivisibile -credo - la mia convinzione che piuttosto che accettare queste ignominie come fatali, come cose da mettere in conto, come cose nelle quali la politica nulla può, sarebbe bene maturare fantasie diverse. Paradossalmente l'eutanasia sarebbe più umana di questo rassegnato silenzio. A meno che la politica non smetta di occuparsi dello 0,1% di questo e quello e sposi l'impegno per proteggere ogni vita umana.

venerdì 29 gennaio 2016

Quanto vale Benigni


Un putiferio su Benigni che, in margine all'incontro con Renzi su provvedimenti per il cinema, dichiara che voterà Sì al referendum costituzionale. Grande delusione e rabbia dei miei amici di sinistra. Qualcuno rimpiange il Benigni che prende in braccio Berlinguer. Qualcuno dichiara che dopotutto "La vita è bella" non era affatto un capolavoro. Boh! Sarà che sono annoiato, ma non capisco proprio. Premesso che io sono assolutamente per il No e assolutamente lontano da Renzi, cosa c'è di strano se Benigni si aggiunge alla maggioranza attuale degli italiani che dicono di voler votare Sì? E cosa ci sarebbe di strano se fosse diventato renziano? Se ne prenda tranquillamente atto come si prende atto delle celebrità che sono per il No e contrari a Renzi. L'unica cosa di cui mi piacerebbe parlare è se è accettabile che le celebrità possano condizionare tanto le nostre scelte. Il problema insomma è nelle modalità con cui si formano le nostre convinzioni. Riconoscere che non è vero che uno vale uno. E fare l'enorme lavoro democratico affinchè uno valga uno. Rodotà, Benigni o Pinco Pallino che sia.

sabato 23 gennaio 2016

La noia


Sfogo e confessione. Forse sarebbe il momento di rileggere "La noia", il romanzo di Moravia che tanto mi interessò decenni fa. Perché è un momento così per me. Caduta di interesse per ciò che fino a ieri mi interessava e coinvolgeva: politica, leggere, scrivere, cinema. Cerco di capire se dipenda da me o dall'offerta. Non ci riesco. Politica. Continuo a dissentire da tutti. Anche se lo manifesto minimamente. Perché mi manca il gusto di litigare. Ho poche idee ferme, pochissime. Forse una sola: l'eguaglianza. Credo di stare nettamente a sinistra. Lontano da Renzi e da ciò che sta per così dire alla sua destra. Ma la sedicente sinistra, a parte che divisa, mi appare sconfitta in partenza. Per mancanza di radicalità e per mancanza di sostenibilità. Dispero della mia capacità di espressione. Spiegare, ad esempio, che continuo ad apprezzare Ichino pur essendo più convintamente socialista di prima. Leggere. Mai mi è capitato prima di cominciare e non completare la lettura di tanti libri, romanzi e saggi. Volendo recuperare classici non letti sono riuscito a leggere interamente "Linea d'ombra" di Conrad. Ma è un romanzo breve. Però ho smesso di leggere l'altrettanto breve "Sonata a Kreutzer" di Tolstoi. Riguardo la saggistica ho interrotto da mesi la lettura di "La maggioranza invisibile" di Farragina. Eppure mi interessava molto. Cosa è successo ad un tratto? Scrivere. Penso sempre di scrivere qualcosa di organico e di respiro; ma mi fermo a fb e al blog. Cinema. Sarà imbarazzante dirlo, ma negli ultimi mesi l'unico film che mi ha "preso" facendomi pensare, oltre che ridere, è stato "Quo Vado". Tutto il resto mi è sembrato freddo, intellettualistico, inutile. Così "Macbeth", dal mio amato Shakespeare. Ben recitato, bei panorami scozzesi, freddi e umidi, bella fotografia, forse bella regia. Ma mio coinvolgimento pari a zero. Lo stesso per "Revenant", con Di Caprio candidato all'Oscar. Anche qui bei panorami, bella fotografia, bello tutto, ma non mi dice nulla. Peggio ancora "Assolo" con Laura Morante regista. Una Moretti al quadrato, quasi una parodia. Un po' meglio, molto meglio "Il ponte delle spie", grazie a Spielberg e grazie a Mark Rylance, per me sconosciuto fino a ieri, interprete della spia russa Abel, un miracolo di talento e misura. Come evidente, cerco e trovo faticosamente qualcosa da apprezzare. Spero mi passi.

giovedì 21 gennaio 2016

Quanti e quali passi avanti contro il maschilismo


Sono convinto che per la pari dignità dei generi e degli orientamenti sessuali in Italia, in Europa e nel mondo siano stati fatti passi giganteschi negli ultimi decenni. Prima era ovvio ovunque attribuire alla donna diritti minori come era ovvio il disprezzo per gli omosessuali. Non è così ora. Ma l'etichetta e il politicamente corretto sono cambiati più della sostanza del nostro vero sentire. Che è cambiato un po' meno. Fra ieri ed oggi due conferme. La prima in Italia con l'allenatore del Napoli il quale, dovendo scegliere l'invettiva più dura contro l'avversario dell'Inter, lo apostrofa come "frocio e finocchio". Quindi, l'emozione e la rabbia mettono a tacere i freni inibitori e svelano i pensieri veri. Ora addirittura Juncker che, per far pace con Renzi spiega che "A volte nel dibattito si usano frasi maschie e virili". Assai peggio Juncker di Sarri, giacché l'allenatore ha l'attenuante relativo di non aver parlato a freddo. Insomma, molta strada si è fatta ma ancor più strada si ha da fare per seppellire il maschilismo da strapazzo. P.S. Mi accorgo mentre scrivo che proprio ora Otto e mezzo dibatte sull'analogia Sarri-Juncker. Non sono abbastanza originale...

mercoledì 20 gennaio 2016

Il mio omaggio a Ettore Scola


Ci lascia un autore da me fra i più apprezzati. Uomo dalle forti convinzioni a sinistra. Nell'album dei film che mi sono più cari due sono suoi: "C'eravamo tanto amati" e "Una giornata particolare". Nel primo un efficace affresco del dopoguerra e delle delusioni della sinistra sconfitta, con lo sguardo amaro rivolto anche ai molti che si riposizionano e vendono l'anima. Lo associo in questo all'altrettanto efficace ed amaro "Una vita difficile" di Dino Risi. Il secondo, "Una giornata particolare" giocato in una dimensione intima e claustrofobica con i due protagonisti che appaiono gli unici a non partecipare all'evento totalizzante della visita di Hitler nella Roma fascista, lui anche perché omosessuale, lei anche perché donna. Grazie ad Ettore Scola per la sua intelligenza, il suo impegno e la sua sobrietà.

domenica 17 gennaio 2016

La libertà di Aylan


Ho saputo della vignetta di Charlie Hebdo da Gramellini, ospite di Fazio. Critici l'uno e l'altro verso la provocazione, fermo l'omaggio rituale alla libertà di pensiero, di espressione, di satira, etc. Critici quasi tutti , mi accorgo ora navigando in rete. Inaccettabile o indecente che si immagini il piccolo Aylan, consegnato cadavere dal mare sulla spiaggia turca, diventato grande e partecipare ad happening di molestie e violenze sul modello Colonia. Solo qualcuno assolve Charlie Hebdo, con spericolate argomentazioni. Charlie intendeva irridere all'ipocrisia di chi prima piange le vittime innocenti della fuga da un mondo ostile e poi esercita il suo razzismo col pretesto dei fatti di Colonia. La bellissima, indignatissima e impegnatissima regina di Giordania invece replica che il piccolo Aylan forse sarebbe stato un medico o non so cos'altro. Beh, no. Poco probabilmente Aylan si sarebbe liberato dal suo destino. Non so quali fossero le intenzioni del vignettista. So quello che la vignetta suggerisce a me. Mi suggerisce la durezza di un destino (o di una storia) che non lascia scampo. La durezza delle parti assegnate per cui si è bambini innocenti e poi molto probabilmente maschi molestatori o femmine kamikaze. Rischio che non corrono i figli della regina di Giordania. Cui suggerirei non di essere buona ma di lavorare per un mondo buono.Un mondo in cui ai piccoli come Aylan e ai figli della regina fosse data la libertà vera di essere medici o insegnanti piuttosto che molestatori sessuali,

lunedì 11 gennaio 2016

Zalone che divide l'Italia


Vabbè, ne parlo. L'Italia divisa su Checco Zalone e su "Quo Vado?" Pubblico italiano prevalentemente favorevole con primato assoluto di incassi. Critici divisi fra pro e contro, ma nessuno - mi pare - rischia giudizi drastici. Per timore di irritare il "popolo" o per timore di irritare gli "intellettuali". Mi colloco fra i favorevoli, fra il pubblico favorevole. Al solito, faccio parlare prima il mio istinto giudicando un film. Ho pianto? Ho riso? Mi ha emozionato? Ha innescato riflessioni e rimuginamenti? Se sì, cerco di spiegare dopo perché questo mi è successo. Terapia contro il pre-giudizio. Mi è successo di ridere molto con "Quo Vado?", ciò che mi accade non raramente al cinema, come a tutte le persone semplici. Mi è successo anche di riflettere e rimuginare. In genere trovando nel film conferma a miei punti di vista e mie emozioni (o ossessioni). Non è il regista ad entusiasmarmi. E neanche Zalone attore. Mi convince di più la storia e la sceneggiatura. Qua è là con trovate banali, e però con momenti didascalici forti. Zalone è un "posto fisso" educato al posto e al corredo dei suoi "valori": nessuno ti toglie il posto fisso, neanche se eviti di andare in ufficio, incaricando qualcuno di timbrare per te o se passi al bar le ore che dovresti dedicare all'ufficio. Comune di San Remo docet. Nessuno ti toglie il posto neanche se non fai nulla o compi azioni ripetitive e inintelligenti, come fa Checco, timbrando autorizzazioni. Nessuno per la verità ti toglie il posto fisso neanche se arrotondi lo stipendio depredando i bagagli a Fiumicino. A maggior ragione nessuno ti toglie il posto fisso fra le forze dell'ordine se torturi un arrestato. Questo non era nel film di Zalone, ma non potevo non pensarci. Pensarci rimuginando sulla dinamica perversa per la quale le tutele dei lavoratori riguardano gli indifendibili e dimenticano i precari. Rimuginando sul destino della sinistra che con apparente saggezza dice: "Non si difendono i precari, diminuendo i diritti di chi ha un lavoro; si estendano invece a tutti i diritti". I diritti non si estenderanno affatto. I tutelati saranno sempre meno anche per semplice questione anagrafica. E sempre meno saranno quelli chi si sentiranno rappresentati dalla sinistra: gli insegnanti aspramente difesi contro il preside padrone, i pensionati mal difesi dal blocco delle rivalutazioni. Ma torniamo a Zalone che intercetta la novità del nuovo governo che potrebbe chiedere sacrifici ai "posti fissi". Di accettare un trasferimento, ad esempio, oppure un indennizzo economico alle dimissioni. Perché certamente, anche se il sindacato e la sinistra sembrano ignorarlo, non solo le industrie possono chiudere o riconvertirsi, ma anche l'apparato amministrativo pubblico. Infatti Checco, impiegato in un ufficio delle Province da abolire, è convocato, con i suoi colleghi, per l'annuncio del nuovo corso. Mobilità. Mobilità per tutti. Tranne le eccezioni. Molte. Quasi tutte. E' stata per me la scena più godibile del film. Un collega è salvato perché invalido, l'altro perché con familiare invalido, l'altro ancora perché anziano, etc. etc. I salvati man mano lasciano con sollievo l'assemblea finché in assemblea rimane il solo Checco. Molto efficace. Molto vero. La dialettica fra le esigenze pubbliche e la tutela dei lavoratori fa prevalere tutele assurde e stratificazioni di norme che ignorano sia le ragioni dei più deboli che le ragioni della competenza. C'è un'altra verità suggerita da Quo Vado. Trincerati in difesa di quanto abbiamo non esploriamo altre nostre risorse. Un po' perché nessuno ci aiuta a farlo. Un po' perché ci appare inutile farlo. Saremmo pazzi ad abbandonare le garanzie che ci conservano il posto di insegnante o di timbracarte solo perché scopriamo che le nostre competenze sono nella ricerca o in qualsiasi altra cosa. Perché i tutelati della ricerca non lasciaranno spontaneamente il posto ai più bravi e saranno protetti dai loro tutor-protettori. Anche Checco ha un tutor politico, nel cammeo di Lino Banfi, che gli suggerisce di non svendere le prerogative del posto fisso. Solo casualmente Checco, trasferito al Polo Nord ad occuparsi di cose di cui nulla sapeva, scopre di poter fare cose diverse dalle timbrature. Magari cose che altri non osano fare. Ad esempio masturbare un orso per recepirne lo spermagramma (se si dice così...). Cambiare latitudine insieme a lavoro ci fa scoprire anche la futilità delle nostre abitudini. Qui il film prudentemente critica il costume italico. Lo critica cioè anche con qualche stereotipo. Tranne l'episodio che mi ha divertito. Checco che, in auto, nel Paese scandinavo al semaforo diventato verde, immediatamente usa il clacson per sollecitare chi gli è davanti. Per poi scoprire, con l'aiuto della ricercatrice italiana civilizzata nel nord, che chi gli è davanti non si sposterà prima neanche di una frazione di secondo. Quanto tempo perso nella carriera di automobilista, clacsando ad ogni verde al semaforo...Beh, vorrei dire che oltre la patologia del posto fisso difeso dal sindacato e dalla vecchia sinistra e oltre la patologia della precarietà permanente e della opprimente incertezza che entusiasma i moderni (quelli che la guardano da fuori) esiste un luogo della ragione che aspetta di incarnarsi. Il luogo della flessibilità ovvero della libertà vera che non ammette conservazione e pigrizie e quello dell'interesse pubblico che vuole che nessuno sia sprecato. Il tema non è in "Quo Vado?", ma il film, al di là delle intenzioni, certamente me lo suggerisce.

sabato 9 gennaio 2016

A proposito di Colonia ed altro: dare senso alle parole


Un post per litigare un po' su facebook può dire dei fatti di Colonia. E proseguire con la tiritera sui barbari, islamici e immigrati. Metterli al muro o contenere l'immigrazione e variazioni sul tema. Oppure un post, di opposto orientamento, può dire della vigilessa romana che ieri ha rischiato lo stupro. E poi, a sorpresa rilevare che l'aspirante stupratore non era libico o siriano, ma di Torre del Greco. Si può proseguire col ricordare gli stupri occulti nelle famiglie italiane e variazioni sul tema. Allora? Dico la mia. Presa Diretta l'altro giorno ha ricordato gli stupri al Cairo nella piazza affollata che festeggiava la caduta di Mubarak. A spese di donne evolute che credevano alla rivoluzione avvenuta. Ad opera di uomini repressi cui non pareva vero di approfittare della confusione e della libertà femminile. Giudizi razzisti? Mettiamo a posto cose e concetti. Razzismo è credere che nel dna etnico sia implicito un destino e una vocazione, alla violenza o alla pace o a qualunque altra cosa. Razzismo non è credere che nell'anno del signore 2016 un arabo, un musulmano o un nero immigrato possano più facilmente essere indotti a rubare o stuprare per mille ragioni culturali e sociali. I più non lo faranno. Ma i meno che lo faranno oggi saranno percentualmente più numerosi dei bianchi, cittadini variamente integrati. Se cammino a tarda sera per le strade di Ostia e scorgo venirmi incontro un gruppo di "stranieri" il mio sano pregiudizio mi fa essere più accorto di quanto non avvenga se incontro un gruppo di ragazzi nostrani. Che poi magari mi sferreranno un cazzotto in faccia come è di moda da un po' nella movida romana. Non è razzismo comunque credere all'evidenza dei numeri, delle percentuali e della storia. E' razzismo credere che sarà sempre così. E' razzismo escludere che domani gli incivili saranno i nostri figli dopo decenni di buona scuola (?), di paghette elargite per pagarsi birrette e slot machine, di inoccupazione e di modelli lassisti. Quindi razzista è Salvini che vuole l'albergo pagato all'italiano potenziale stupratore della vigilessa e non all'immigrato che rischia la vita per sventare una rapina o per salvare un italiano che rischia di annegare. Non io che trasalisco se di notte incontro figure nere. Non io che trasalisco ancor più se faccio l'incontro ad Ostia Ponente dove fu ammazzato Pasolini. Perché io sono preparato ad imparare fra qualche anno a trasalire scorgendo di notte venirmi incontro dei brutti ceffi bianchi, frutti di un'epoca che perse il dono dell'intelletto.

mercoledì 6 gennaio 2016

Mi piacciono i politici che piangono


Non credo sia facile simulare il pianto. E' facile simulare riso, disprezzo, irrisione. Credo quindi alle lacrime di Obama. Credo al suo dolore e al suo impegno contro la strage degli innocenti che la lobby vincente delle armi impone all'America. Col consenso convinto della maggioranza degli americani. Perché quasi tutte le malattie sociali e politiche avvengono per consenso, per consenso indotto, ma comunque per "consenso". Come l'antisemitismo, il fascismo, il nazismo, lo schiavismo, l'omofobia e le infinite infezioni dell'animo, delle quali qualcuna predilige il mondo arabo, qualcuna l'Europa, qualcuna gli Usa, etc. Grazie ad Obama quindi per la sua battaglia impossibile e necessaria. P.S. Solo per buttarmi la zappa sui piedi aggiungo che a suo tempo osai parteggiare per le lacrime di Elsa Fornero. Forse fui il solo in Italia (se non appaio presuntuoso). Perché rabbia e imprecazioni si sprecarono contro la ministra e la sua discutibile riforma. Sia che si pianga per una battaglia impossibile da vincere, sia che si pianga per una battaglia vinta con troppi caduti, la politica si svela umana col pianto. Non con lo sberleffo.